giovedì 18 settembre 2025

Da Venezia 82 una recensione seria di Duse, così, tanto per cambiare





Oggi su Pensieri Cannibali c'è una recensione seria. Così, tanto per cambiare. Sul serio, non è uno scherzo. Una rece così professionale che guarda caso non l'ho scritta io, bensì Domitilla Romanazzo, una giovane studentessa di cinema che presto si laureerà in regia e che mi ha chiesto di poter collaborare con il mio blog. Cedo quindi volentieri a lei la parola, con un'opinione che arriva direttamente da Venezia 82 di Duse, film diretto da Pietro Marcello e con protagonista Valeria Bruni Tedeschi nei panni di Eleonora Duse.
Tranquilli, comunque, io non vado in pensione, quindi non prendeteci troppo l'abitudine alle recensioni serie qui su Pensieri Cannibali.

"Una recensione seria su Pensieri Cannibali?!?"
"C'è davvero una prima volta per tutto"

Duse

All’inizio del film Marcello sembra un bambino ingenuo, incantato a fissare le sue stesse immagini, talvolta troppo belle, troppo vivide, seducenti come gli occhi neri della Duse. Ma laddove questo atteggiamento d’auto-inganno gli fa perdere la gestione degli spazi nelle scene, dei tempi e del ritmo della narrazione (che risulta leggermente zoppicante nei primi venti minuti), Valeria già sta iniziando a tessere la sua personale trama, a palesare i dualismi del film (Eleonora - Valeria, Realtà - Finzione, Arte - Vita) riuscendo a riconnettere questi fili tramite la potenza pura della performance attoriale.

Laddove Marcello si perde un po’ nella costruzione, nella potenza centrifuga degli alti e bassi del film, Valeria ci restituisce l’unità. A volte occupa tutto lo spazio delle scene, tanto che si avvertirebbe quasi la necessità di lasciare solo lei ad esplodere sullo schermo, di oscurare gli altri attori durante le dolorose prove iniziali, nei suoi piccoli deliri che presagiscono già l’ispirazione e la visione quasi divine che la caratterizzeranno fino alla fine (austerissima) della pellicola.


Può una personalità del genere resistere allo scorrere del tempo? Oppure Eleonora sarà costretta a stare scomoda nella sua stessa epoca, così come l’arte che fatica ad evolversi con il presente, sentendosi talvolta in difficoltà nell’esserne riflesso? Ed è a partire da questa sorta di dichiarazione programmatica (racchiusa nella scena di dialogo sul disvelamento dell’autentico e sul ruolo dell’arte in un contemporaneo in crisi con Sarah Bernhardt), che anche Marcello riesce a trovare la verità del suo film, scoprendone tramite la stessa scelta degli episodi biografici da includere o escludere, tutto il metaforico, che non scade mai nel simbolo.


Al cospetto dell’arte, tutto il resto (la politica, la vita familiare, la salute stessa) diviene superfluo, ed il film (cosi come Eleonora) si comincia pian piano a spogliare di questi orpelli.
Se all’inizio il set up della trama sembra essere preponderante, dando l’apparenza di essere nulla più che un film su un’attrice e sul teatro, si comincia piano piano ad insinuare la sensazione che ci sia altro da scoperchiare: dal teatro si passa al cinema, alle loro divergenze d’intenti che ai tempi li rendevano inconcilliabili (l’uno specchio della società borghese dell’ante-guerra, ancora chiusa nella sua torre d’avorio rappresentata da un’arte in cui rifugiarsi; l’altro futurista, sgangherato, sporco, commerciale e, proprio per questo suo esser niente, capace di divenire ancora tutto, una potenziale forma entro la quale riporre la speranza di dar voce ad un popolo distrutto).
E allora a chi dei due, ci si domanda, è assegnato il compito di dire la verità? Come facciamo a liberarci dall’illusione dell’arte come menzogna e a scappare dalla sua necessità di raccontare ed essere specchio (anche tramite la pura finzione) del vero? Di certo non al cinema degli anni venti, ma a quello di oggi?
Sembrerebbe quasi uno scacco matto quello che Marcello si gioca nella scelta del racconto biografico: una biopic nel 2025, l’era delle biopic fini a se stesse, che faticano ad uscire dalla fascinazione del personaggio per dirci qualcosa in più. L’era della necessità di fare film che urlino il non esimersi dal parlare direttamente di ciò che sta accadendo al mondo.


Eppure, Duse, raccontando quell’allora che è la disgregazione della storia tardo-ottocentesca (che vede il suo definitivo tramonto proprio dopo la Grande Guerra), pare più che mai parlare dell’oggi, di un mondo che al crollo delle certezze va a rifugiarsi nella violenza o, al contrario, nella disillusione (in tal senso è emblematica la presenza di D’Annunzio, dapprima simbolo dell’intellettuale vanaglorioso e fantoccio nelle mani del potere ma che, una volta scalfito proprio da quest’ultimo, dopo il celebre lancio dal Vittoriale, si lascia andare ad una quasi chiaroveggente pazzia sollevando il velo che offuscava la visione di Eleonora dalle manovre politiche nelle quali era incastrata).

Con un film che riesce a superare le convenzioni del puro biografismo, Marcello ci ricorda che il reale non è mai veramente tale senza prima attraversare la sua rappresentazione, per poi trovare il suo spazio altrove.
(voto 8/10)




1 commento:

  1. Benvenuta, Domitilla! Ho già il biglietto per domani sera (ci sarà anche Bruni Tedeschi in sala). Spero mi piaccia quanto è piaciuto a te!

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