martedì 18 giugno 2013

DIO KANYE E SUO FIGLIO YEEZUS


Kanye West “Yeezus”
Dio Kanye è diventato papà. La madre del bebé non è la Madonna, è Kim Kardashian. Non proprio la stessa cosa. È da lei che il rapper sabato scorso ha avuto una piccola baby girl, ma non è l’unico figlio che ha visto nascere in questi giorni. Il suo altro bebè è il suo nuovo album, che ha chiamato “Yeezus” e che è stato partorito dallo stesso Kanye West. Questo sì che è un miracolo!
Come mai un titolo poco impegnativo del genere? A spiegarlo è stato lo stesso Kanye in un’intervista: “Simply put, West was my slave name. Yeezus is my god name.”

Dopo aver realizzato il disco più importante del nuovo decennio insieme al nuovissimo “Random Access Memories” dei Daft Punk, ovvero il capolavoro “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, un album in grado di portare la musica hip-hop a un nuovo livello, questa volta West è andato ancora oltre. Il suo nuovo lavoro “Yeezus” è un puro delirio, è sperimentale come nessun disco rock ha più osato essere da parecchi, parecchi, ma parecchi anni a questa parte, e ne è uscita una roba che non è nemmeno definibile come hip-hop. Ci sono molte parti rappate, è vero, ma non è per nulla il classico disco hip-hop. È un oggetto misterioso che sembra provenire da un futuro lontano e che al suo interno contiene di tutto e di più: le produzioni dei Daft Punk così come la supervisione di Rick Rubin (storico produttore non solo rock, ma anche del rap 80s di Beastie Boys, Public Enemy, LL Cool J e Run-DMC), sintetizzatori alla Suicide e R&B, una folle attitudine punk, o meglio post-punk, e allucinate atmosfere rap-horror alla Death Grips o alla Tyler, the Creator. E persino industrial alla Nine Inch Nails.
Di tutto e di più, al punto da sembrare persino troppo per un disco solo. Nonostante questo, non disperate. Non perdete la Fede in Dio Kanye. Ascolto dopo ascolto, Yeezus walks with us e ci rivela in pieno i suoi piani divini.

E ora, vai di autopsia del disco track-by-track

L’apertura con “On Sight” è all’insegna dell’elettronica più spinta, con un beat fornito dai divini Daft Punk. Rispetto al loro ultimo “Random Access Memories”, questo sound devastante sembra rispolverato dall’era del loro precedente lavoro “Human After All”. In ogni caso, una roba potentissima. Il delirio può avere inizio.

Black Skinhead” campiona il ritmo di “Beautiful People” di Marilyn Manson, trasfigurandolo in un tribal-rap selvaggio e malato. C’è ancora lo zampino dei Daft Punk, c’è persino qualche eco di “Disturbia” di Rihanna però riletta in una chiave molto più disturbata, in quello che è il brano di maggiore impatto di un album che, come vedremo, si rivelerà arduo da decifrare. Se non altro al primo ascolto, perché già a partire dal secondo comincia a diventare famigliare. Non dico easy, dico famigliare.
"Black Skinhead" è un pezzo enorme, appena uscito e già diventato colonna sonora (perfetta) di un trailer. Mica di un film a caso, bensì di The Wolf of Wall Street, il nuovo di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio. Per una pellicola yuppie del genere, chi meglio del rapper yuppie Kanye?



I Am a God”: fin dal titolo, Kanye West dimostra tutta la sua enorme modestia. D’altra parte, il rapper è già pronto per partire con il suo “Resto umile World Show” personale. Musicalmente siamo dalle parti della follia più completa, tra sintetizzatori, urla terrificanti, un ritmo che cresce sempre più e un’atmosfera che farebbe cacare sotto persino Dario Argento. Che sia la soundtrack della sua vita da incubo con Kim Kardashian? Ma poi di che cosa parlerà un genio come Kanye West con una decerebrata (con tutto il rispetto per i decerebrati) come la Bagashian? Probabilmente non parlano. Trombano come conigli e basta.
Alla fine dell’incubo, firmato ancora Daft Punk, la salvezza finale per l’American Psycho Kanye Bateman arriva sotto forma della voce salvifica di Bon Iver.
Non c’è un cazzo da fare: he is a god. O, meglio ancora, he is God.





New Slaves” è l’inno minimal dell’album. Padre Kanye West fa il suo sermone anti-razzismo sopra una distesa di bassi, con l’aiuto di Frank Ocean. “Fuck you and your Hampton house, I'll fuck your Hampton spouse. Came on her Hampton blouse and in her Hampton mouth”. Kanye Unchained contro tutto e contro tutti. Fuck yeah.



Hold My Liquor” è aperta dalla voce di Justin Vernon al secolo Bon Iver, ormai immancabile e onnipresente al fianco del rapper. Che Kanye tradisca la Kardashian con lui? Non solo Bon Iver, comunque, perché arriva anche il featuring del lanciatissimo rapper Chief Keef, in un pezzo rap alcolico non troppo distante dai sentieri del precedente “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, solo ancora più dark.

I’m In It” si sviluppa come un nuovo incubo, tra urla, trombette da stadio, lampi melodici, accenni dancehall reggae forniti dal featuring di Travis Scott. In fondo in fondo, si tratta di una romanticissima dichiarazione d’amore nei confronti della compagna Kim Kardashian, o qualcosa che nel mondo di Kanye più si avvicina a una tenera serenata: “Your pussy's too good, I need to crash. Your titties, let 'em out, free at last.”

Blood on the Leaves” va di campione di “Strange Fruit” di Nina Simone che canta il classico di Billie Holiday ed è uno dei pezzi più accessibili, relativamente accessibili, della raccolta. Per quanto possa esserlo un jazz autotunizzato da Kanye e con una base di Hudson Mohawke dei TNGHT. Un frullato di suoni post-moderno che sarebbe suonato perfetto nella colonna sonora de Il grande Gatsby di Baz Luhrmann. Fanno sempre in tempo a girarne un sequel ambientato ai giorni nostri e intitolato Il grande Kanye, con Kim Kardashian che potrebbe rendere il personaggio di Daisy Buchanan ancora più insopportabile di quanto possa averlo concepito Fitzgerald.

Guilt Trip” è un altro viaggio totale dentro la mente malata di Kanye, con la partecipazione straordinaria di Kid Cudi. Nonostante il titolo no, non ha niente a che fare, almeno non credo, con il film “Parto con mamma - The Guilt Trip” con Seth Rogen e Barbra Streisand. Apparentemente un brano minore del disco, in realtà conduce delicatamente (più o meno delicatamente) dritti per dritti verso il grande finale.

Send It Up”, ancora una volta prodotta dai due genietti francesi Daft Punk, ti entra dritta in testa. II rap del futuro passa per di qua, per sta roba che non è manco più hip-hop. E che cos’è?
Kanye West con questo album si propone come il Messia di una musica nuova. Il rap così come lo conoscevamo è solo un lontano ricordo, le concessioni pop sono state del tutto accantonate, l’elettronica qui proposta non ha niente a che vedere con la dance tradizionale, e insomma questo disco sta alla musica commerciale come American Psycho sta a una commedia romantica.

“Yeezus” è un disco punk, è un disco electro, è un disco dark, è un disco minimal ed è un disco hardcore. È un lavoro notevole, estremo, a tratti, molti tratti geniale, che sposta i confini dell’hip-hop, ma in generale della musica di oggi, più in là. Oltre. Solo il tempo potrà dirci quale sarà la sua importanza, per ora comunque non si può certo accusare Dio Kanye di non aver avuto coraggio o di essersi adagiato sulla sua popolarità. Dentro “Yeezus” non troverete manco un accenno di un singolo commerciale o di un brano radiofonico, un po’ come nel recente e altrettanto folle “Shaking the Habitual” dei The Knife. L’unica mezza concessione melodica arriva solo con la conclusiva “Bound 2”, scritta con John Legend, che al suo interno contiene la voce di Charlie Wilson della The Gap Band e un paio di campioni irresistibili da “Bound” della poco conosciuta band anni ‘70 Ponderosa Twins Plus e dalla splendida “Sweet Nothin’s” di Brenda Lee. Gran finale, per un disco che non è un disco è una bomba.

“Yeezus” potrebbe essere il “Kid A” della musica hip-hop?
“Yeezus” potrebbe essere il “Kid A” della musica hip-hop.
Qui lo dico e qui lo nego.
Ah ah, honey.
(voto 9/10)



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