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venerdì 25 settembre 2015

Rudderless

Regia: William H. Macy
Origine: Usa
Anno: 2014
Durata: 105'




La trama (con parole mie): Un ragazzino con la passione per la musica se ne sta nella camera del dormitorio del suo college a strimpellare la chitarra e a cantare stonato come un ubriacone, quand'ecco che succede una tragedia. Un pazzo fa irruzione armato nel campus universitario. Tra i morti c'è anche il ragazzino stonato.
La pellicola ci racconta il modo di affrontare la perdita del figlio da parte del padre, che affoga il dispiacere nell'alcol e va a vivere su una barca nel porto di un paesino dimenticato da Dio. Fino a che un giorno entra in un bar dove si esibiscono dei musicisti locali e lui realizza: “Se quegli sfigati possono suonare e cantare in pubblico, perché non posso farlo anch'io?”.






Ogni tanto ricordo ancora di quando fui giovane.
Non è facile. È passato tanto tempo. Ma proprio tanto tanto tanto. Erano gli anni ottanta. Di quale secolo, preferisco non rivelarvelo.
Per un certo periodo, comunque, anche io sono stato giovane, per quanto sia difficile da credere. È stato un periodo durato davvero poco. Quando ai miei coetanei cadevano i denti da latte, a me cadevano quelli del giudizio. E quando ai miei coetanei spuntavano i primi peli sul pube, a me spuntavano i primi capelli bianchi.
Per un brevissimo periodo, ricordo però di essere stato giovane e la prima scena del film Rudderless me l'ha riportato alla memoria. Anche io strimpellavo la chitarra, seguendo il modello del mio mito Brus Pristi. Anche io scrivevo canzoni. Era roba profonda. Un mio brano ad esempio faceva:
Magari ti chiamerò:
“Trottolino Amoroso, Dudu dadadà”
ed il tuo nome sarà
il nome di ogni città,
di un gattino annaffiato
che miagolerà.
Poi però me l'hanno fregato e ne hanno realizzato una versione davvero splendida. Certo che avrebbero potuto almeno citarmi tra i crediti della canzone.
A proposito, la canzone della prima scena di Rudderless mi ha ricordato la mia giovinezza. Ve l'ho già detto?
Può darsi, visto che ripeto sempre le stesse cose. Tipo che Sylvester Stallone è l'attore migliore del mondo ed è anche un gran bell'uomo, me lo farei troppo, e che il wrestling è uno sport vero, non solo una pagliacciata più finta di Beautiful come credono tutti.
Dopo la prima scena, comunque, è terminato l'amarcord di quando ero giovane e mi sono ritrovato ad immedesimarmi nella figura del padre, interpretato dal Billy Crudup di Almost Famous. Perché anche io sono un padre, questo credo di non avervelo ancora detto. D'altra parte questa è una cosa che non dico mai. Ho solo una t-shirt che indosso sempre durante i miei allenamenti di pesi, quando riesco a sollevare ben 2 kg per braccio, con scritto: “Best dad in the world”. Perché io non sono un semplice padre. Io sono il padre migliore del globo e anche di tutti i tempi. Volete che vi parli di mio figlio?
Ma perché perdere tempo a parlare di lui, quando posso narrarvi di me e di quanto sono figo come padre migliore di tutti i luoghi tutti i laghi tutto il mondo?
La stessa cosa la fa il film. Una volta messo da parte il figlio, che ATTENZIONE SPOILER muore subito nei primi minuti FINE SPOILER si concentra unicamente sul padre. È lui la vera figura cardine della pellicola. Lui e il modo davvero coraggioso di affrontare il suo lutto: ruba le canzoni che aveva scritto il figlio, mette su una rock band, ha successo e si dà alla bella vita!
Non vi sembra un modo eroico di superare la perdita di un figlio?
A me sì.
Qualcun altro come il mio blogger rivale avrebbe potuto incentrare l'intero post sulla breve apparizione di Selena Gomez, o sulla partecipazione del cantautore Ben Kweller, ex leader della grunge band anni novanta Radish, o di come ci sia Anton Yelchin e pure qui quel maledetto riesca a farsi una bella fighetta (Zoe Graham di Boyhood), o di come una volta abbia incontrato Felicity Huffman, che è molto più affascinante dal vivo mentre su schermo sembra sempre un mezzo cesso, o di come questo sia il film d'esordio alla regia del marito della Huffman, ovvero William H. Macy di Shameless, o di come ci sia una divertente comparsata musicale di Kate Micucci della serie tv Garfunkel & Oates, o di come la pellicola abbia una gran bella colonna sonora indie-rock, con vertice da brividi nella canzone finale.
Io invece non vi parlerò di tutte queste cose. Per me il film sono solo Billy Crudup e il suo personaggio.
Rudderless è un chiaro esempio di come si possa superare una tragedia così grande come la perdita di un figlio con dignità, forza di volontà, coraggio, che dimostra come noi padri siamo gli esseri migliori dell'intero universo.
Soprattutto quelli come me.
Soprattutto me.



MrCannibal



“Con i nostri chiar di luna
quando al cinema si va
il bambino mio fa festa
e un po' anche il suo papà
ma nel buio sul più bello
lui ti dice così:

Mi scappa la pipì... ih
mi scappa la pipì... ih
mi scappa la pipì papà
non ne posso proprio più
io la faccio qui.”
Pippo Franco - “Mi scappa la pipì” -







Lo stile di questo post vi ricorda per caso quello di un altro blogger?
Può darsi che abbia fatto come il protagonista del film Rudderless: ho fregato il lavoro di un altro, spacciandolo per mio. Ma hey, non chiametelo plagio, né tanto meno furto. Chiamatelo “omaggio”.

domenica 25 maggio 2014

THAT'S 70’S DAY: RITORNO AGLI ANNI SETTANTA CON BLOOD TIES




Blood Ties
(Francia, USA 2013)
Regia: Guillaume Canet
Sceneggiatura: Guillaume Canet, James Gray
Ispirato al film: Les liens du sang
A sua volta ispirato al romanzo: Deux freres, un flic, un truand di Bruno Papet e Michel Papet
Cast: Clive Owen, Billy Crudup, Marion Cotillard, Mila Kunis, Zoe Saldana, James Caan, Matthias Schoenaerts, Noah Emmerich, Lily Taylor, Griffin Dunne, Eve Hewson
Genere: 70s
Se ti piace guarda anche: American Hustle, The Paperboy, Romanzo criminale, Vallanzasca, Carlito’s Way

Blood Ties è il classico grande film mancato. Le premesse perché ne uscisse un capolavoro, un quasi capolavoro o comunque un cult c’erano tutte. Innanzitutto un cast internazionale fenomenale che va dall’inglese Clive Owen alla francese Marion Cotillard, dalla topa qui meno topa del solito ucraina Mila Kunis all’americano Billy Crudup, attore eternamente destinato a rimanere nel limbo degli almost famous come il titolo del suo film più famoso, più una serie di comprimari di prestigio, da James Caan a Lily Taylor, dall’attore rivelazione di Un sapore di ruggine e ossa, il belga Matthias Schoenaerts, al Noah Emmerich della serie The Americans, per arrivare a Zoe Saldana, una che qui dimostra di non essere nemmeno male a recitare, peccato che, dal terrificante Avatar al noiosissimo Out of the Furnace, non azzecchi un film manco per sbaglio.

"Devi smetterla di dire che sono almost famous!"
"Ah sì, scusa. Ormai dovrei dire che sei almost unknown."
In più, Blood Ties porta la firma di un promettente giovane regista francese come Guillaume Canet, il fortunato maritino della Marion Cotillard, qui su Pensieri Cannibali già parecchio apprezzato per i suoi precedenti Non dirlo a nessuno e Piccole bugie tra amici. Metteteci dentro inoltre una bella storiona criminale, degli intensi intrecci famigliari preannunciati fin dal titolo, un’ambientazione anni ’70 molto American Hustle e una colonna sonora notevole e avrete un grande film assicurato, giusto?
Peccato che non sempre le cose vadano come annunciato dalle premesse. Peccato, o meglio così, altrimenti il mondo sarebbe una gran noia. Prendete il Barcellona, per esempio. Quest’anno avrebbe dovuto vincere la Champions League a occhi chiusi, e invece è uscito ai quarti di finale. Allo stesso modo, questo Blood Ties avrebbe dovuto lanciare Guillaume Canet nell’Olimpo dei registi più ricercati di Hollywood, avrebbe dovuto rilanciare la carriera ormai appannata di Clive Owen e Billy Crudup, vincere festival cinematografici e Oscar e invece… invece questo film non se l’è filato nessuno, per ora in Italia non ha manco trovato una distribuzione e a livello qualitativo il risultato non è certo da Oscar. Perché? Difficile spiegare il perché. Come detto, c’erano ottime premesse e buonissime intenzioni, eppure il film non funziona.

"Ciao bella, quanto prendi?"
"Ma guarda che è Marion Cotillard che ha la parte della battona, mica io!"
Per capire cosa c’è che non va in questo Blood Ties, più di tante parole, basta vedere una scena. Clive Owen e Mila Kunis escono insieme, si piacciono e si baciano romanticamente sulle note della splendida “Crimson and Clover” di Tommy James and the Shondells. Vi immaginate una scena sexy e poetica, una sequenza cult di quelle che rimarranno impresse nella storia del cinema? Io sì, sinceramente me l’aspettavo, e invece tra i due attori non c’è la minima chimica e la scena appare del tutto anonima. Questo momento può valere come simbolo di tutto ciò che non va nel film. È tecnicamente ben girato, professionalmente ben interpretato, eppure neanche una singola scena può essere davvero considerata Grande Cinema.

Gli attori fanno il loro dovere da buoni professionisti, ma non riescono a brillare. Clive Owen ormai sembra la versione giusto un pochetto più espressiva di Nicolas Cage, e non è un gran complimento, mentre Billy Crudup dai tempi di Quasi famosi non riesce a lasciare il segno e ormai credo non lo farà mai più.
"Parlavate di me?"
Mila Kunis, con tutto il bene che le voglio, ed è parecchio, non è minimamente in parte, l’interpretazione di Matthias Schoenaerts non ha un gran sapore di ruggine e ossa, Marion Cotillard fa sempre la sua figura, ma il personaggio della prostituta di origini italiane che interpreta non riesce a ritagliarsi lo spazio che avrebbe meritato e la più convincente del cast pare allora Zoe Saldana. E questo non è bene.

La parte più carente è però la storia. Vista da lontano, sembra anch’essa di ottimo livello, con il suo incrocio di trame che combinano drammi personali con risvolti da thriller poliziesco. Da una parte abbiamo il poliziotto Billy Crudup, dall’altra sua fratello, un criminale appena uscito di prigione. Uno spunto che lascia pregustare un grande conflitto famigliare e che invece non esplode mai e presto affoga nella noia. Il problema del film sembra allora quest’ultimo. Ci si annoia perché la vicenda non cresce mai veramente. Dopo una (lunga) introduzione dei personaggi e delle loro storie, non si ha mai un cambio di passo. Nonostante una colonna sonora super retrò 70s di ottimo livello, Blood Ties non ha ritmo. Sono stato tutto il tempo a guardarlo in attesa che a un certo punto scattasse la scintilla, che succedesse qualcosa in grado di catturarmi, di farmi entrare dentro la pellicola, invece niente. Due ore e passa di attesa per niente.
Non ci si può nemmeno incazzare troppo, perché Blood Ties non si può definire un film brutto. È solo piatto, sa di già visto, anche se è il remake franco-americano di una pellicola francese di qualche anno fa che non ho visto. Soprattutto, c’è una cosa che non va: manca di passione. È una di quelle pellicola che vanno avanti in maniera impeccabile, senza però riuscire a travolgerti. Blood Ties è il classico grande film mancato.
(voto 5,5/10)



Questo post partecipa al That's 70’s Day organizzato dal solito gruppo di blogger cinematografici di cui faccio parte. Una giornata dedicata a film recenti ambientati però negli scintillanti anni ’70.
Qui di seguito trovate l'elenco di tutti i blog che oggi si sono dati al revival.


Cinquecentofilminsieme
Cooking Movies

lunedì 8 novembre 2010

Mangia prega ama. Ma di sc*pare proprio non se ne parla?

Mangia prega ama
(USA 2010)
Regia: Ryan Murphy
Cast: Julia Roberts, Javier Bardem, Billy Crudup, James Franco, Richard Jenkins, Luca Argentero, Tuva Novotny, Viola Davis, Arlene Tur
Titolo originale: Eat Pray Love
Tratto dal romanzo di: Elizabeth Gilbert
Genere: esistenziale
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Sotto il sole della Toscana, Letters to Juliet, Into the wild

Le rovine sono un dono. La distruzione è la via per la trasformazione.

Avevo letto pareri sul disastroso andante riguardo a questo “Mangia prega ama” ma, seppure definirlo un bel film sarebbe una cazzata tanto quanto definire Berlusconi una persona di cuore, non mi è dispiaciuto nemmeno. Sarà anhce che l’ho visto in mezzo a “L’ultimo dominatore dell’aria” e “The American” e al loro confronto mi è davvero sembrata una pellicola interessante..

La vicenda è quella di una donna alla ricerca di se stessa. Lascia il marito, lascia la sua routine patinata da scrittrice cool di New York, lascia un giovane amante attore bello & dannato e parte per un’avventura alla “Into the wild” in versione poco wild e molto Alpitour: decide di passare un anno sabbatico facendo tappa in Italia, in India e in Indonesia.

L’Italia come al solito in queste pellicole neo-realistiche hollywoodiane è fotografata in maniera veritiera e priva di stereotipi. La Roberts a Roma finisce infatti in una bettola gestita da una tipa che parla in siciliano, fa una tappa in una Napoli incredibilmente scevra di rifiuti, si magna spaghetti & pizza, fa l’amore con il sapore, cazzeggia tutto il giorno perché in Italia nessuno fa un cazzo e cose di questo tipo. Insomma, la normale routine quotidiana di tutti noi italiani.

A Napoli stai attenta alla borsetta, Julia!
Una cosa positiva di questo film è che, sebbene eccessivamente lungo, perlomeno quando una parte comincia a diventare troppo noiosa e ricca di luoghi comuni avviene il cambio di location e la noia si trasferisce da uno stato all’altro. Dall’Italia del piacere alimentare e di vivere si passa quindi a una India molto spirituale, dove la Roberts, dopo aver messo su ciccia & brufoli nel nostro belpaese, prega per perdere peso. Ci riuscirà la nostra eroina? Certo che sì, avete mai mangiato la cucina indiana? (scherzo, amici indiani, la vostra cucina è buonissima!)
L’ultima tappa dell’Into the wild robertsiano è in Indonesia, dove ritrova la sua guida spirituale, un vecchino simil Miyagi con una moglie che spara le battute più divertenti di tutto il film. Ed è qui che la Roberts si imbatte in Javier Bardem, attore spagnolo cui viene affidata la parte del brasiliano (vabbè…) e che pure lui strappa qualche sorriso.

Una volta Julia Roberts non la sopportavo, poi con “Erin Brockovich” e “Closer” mi sono dovuto ricredere radicalmente su di lei. Se un tempo dunque non avrei retto alle due ore di “Mangia prega ama” in cui mostra il suo campionario di pose & smorfiette al completo, adesso applaudo a un’attrice che regge alla grande per tutta la durata, accompagnata dallo stuolo di uomini della sua vita: l’ex marito Billy Crudup (il chitarrista di “Almost Famous” e il figlio di “Big Fish”), un James Franco nella sua solita parte da artista tormentato, il nostro Luca Argentero che, pur non raggiungendo chissà quali vertici interpretativi, se non altro tiene alto il nome del nostro paese molto meglio di quanto faccia quel buffone di Premier che ci ritroviamo, Richard Jenkins in versione vecchio (poco) saggio e il già citato Bardem, il migliore del lotto che non a caso riuscirà a conquistare il cuore, e non solo quello, della bella Julia.
Standard la regia di Ryan Murphy, che ogni tanto esagera con il montaggio alternato e che al cinema è purtroppo ancora lontano dai livelli di originalità delle sue creature telefilmiche “Nip/Tuck” e “Glee”.
Non male poi le musiche originali del nostro Dario Marianelli, premio Oscar per “Espiazione – Atonement” ed ennesimo caso di talento italiano che per fare carriere se n’è dovuto andare all’estero.

Visto tra “The Social Network” e “Scott Pilgrim Vs. The World” (CAPOLAVORI di cui parlerò a breve!) mi sarebbe sembrato ‘na strunzata, come pare l’abbia considerato un po’ tutto il mondo, ma visto dopo il pasticcio non-sense de “L’ultimo dominatore dell’aria” e prima della noia assoluta di “The American” vi assicuro che mi è sembrato manna dal cielo. E non sono nemmeno dovuto volare in India per pregare di averla!
(voto 5/6)

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