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lunedì 23 gennaio 2017

Arrival, un film (e una recensione) dell'altro mondo





Arrival
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Mark O'Brien, Tzi Ma


In esclusiva mondiale, anzi in esclusiva universale, vi propongo la recensione che gli alieni “eptapodi” hanno mandato a Pensieri Cannibali dopo aver visto il film Arrival di Denis Villeneuve. Eccola!

giovedì 19 gennaio 2017

I film in Arrival questa settimana





Fantascienza, azione, commedia all'italiana, robette con animali e cinema più o meno impegnato.
È questo il menù piuttosto ricco proposto questa settimana sulla tavola dalla distribuzione cinematografica italiana. Ad assaggiarlo per voi, per assicurarci che qualcuno non ci abbia messo del veleno dentro, ci pensiamo io Cannibal Kid e il mio blogger-nemico, quel cattivone (o forse dovrei dire ormai ex cattivone?) di Mr. James Ford.
Buon appetito!


Arrival
"Oddio! Temevo che gli alieni fossero spaventosi, ma non che avessero tutti l'aspetto mostruoso di James Ford."

mercoledì 6 agosto 2014

ENEMY, DUE JAKE GYLLENHAAL AL PREZZO DI UNO





Enemy
(Canada, Spagna 2013)
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Javier Gullón
Ispirato al romanzo: L’uomo duplicato di José Saramago
Cast: Jake Gyllenhaal, Jake Gyllenhaal, Mélanie Laurent, Sarah Gadon, Isabella Rossellini
Genere: duplicato
Se ti piace guarda anche: The Double, Inseparabili, Orphan Black, Donnie Darko

Adam, il protagonista di Enemy, è un professore universitario che non guarda film molto spesso. Non gliene frega niente del cinema. A questo punto credo che non legga nemmeno Pensieri Cannibali. Poveretto.
Un giorno, dietro consiglio di un amico espertone di cinema, uno che probabilmente segue in maniera assidua Pensieri Cannibali, si noleggia un film. Ebbene sì, c’è ancora gente che si prende le pellicole a noleggio. Proprio in negozio, non in streaming o in pay-per-view. Roba da pensare che questo Enemy sia un film di fantascienza, invece no. È solo un film strano. Parecchio.
Una volta a casa, Adam si guarda il film sul computer. Benvenuto nel 2014! A un certo punto della visione, nota una cosa singolare. C’è un attore che gli somiglia. Più che somigliargli, è uguale identico a lui. Adam così indaga un po’ e scopre che il suo sosia ha girato qualche altra pellicola. Alcune anche piuttosto conosciute, tipo queste…






Incuriosito, e giustamente un pochino inquietato, da tutto ciò, decide di voler incontrare il suo alter-ego. A questo punto cosa succederà?
Succederà che per scoprirlo voi dovete andare al videonoleggio più vicino, se ancora ne trovato qualcuno, oppure più semplicemente dovete cercarvi Enemy in rete, visto che in Italia non è ancora uscito. Prima o poi è probabile che arrivi, ma ancora non si sa quando. In ogni caso, procuratevelo. Non vi basta sapere che in questo film non c’è un solo Jake Gyllenhaal, bensì ce ne sono due? Non siete ancora convinti?

"Il finale del film non l'ho proprio capito..."
E allora aggiungo pure che questo è un thriller davvero affascinante. Una pellicola giocata sul tema del doppio tratta dal romanzo L’uomo duplicato di José Saramago che ha echi kafkiani e pirandelliani per quanto riguarda la tematica, e riflessi lynchiani e soprattutto cronenberghiani da un punto di vista cinematografico. Il tutto reso però con quello stile freddo, distaccato e allo stesso tempo dannatamente efficace che è ormai il marchio di fabbrica di Denis Villeneuve. Il regista canadese ci regala una pellicola distante e allo stesso tempo vicina ai suoi precedenti lavori Prisoners, La donna che canta e Polytechnique. Distante perché questo è un lavoro più visionario e slegato dalla realtà. Un vero e proprio incubo a occhi aperti. Vicino per la costruzione della tensione, capace di regalare a ogni pellicola dei crescendo emotivi di cui sono oggi capaci pochi altri cineasti in circolazione.

"Vediamo un po' se Pensieri Cannibali lo spiega..."
A essere doppio in Enemy non è solo il protagonista. Questa è anche la seconda volta di Villeneuve con Gyllenhaal dopo l’acclamato (giustamente) Prisoners. Ed è pure un film che fa il paio con un altro lavoro recente, The Double di Richard Ayoade, che affronta un soggetto simile con simili influenze cronenberghiane, ma con una diversa ispirazione (Il sosia di Fëdor Dostoevskij) e un diverso doppio protagonista (Jesse Eisenberg). Entrambe sono riflessioni interessanti sull’unicità dell’uomo. Chi può dire di essere davvero unico? Siete sicuri di non avere anche voi un doppio? Magari un giorno vi guardate un film e scoprite di essere uguali identici a un attore, magari a Paolo Ruffini…
Ecco, somigliare a Jake Gyllenhaal forse è un filino meglio. Sebbene Enemy ci dimostri come pure in questo caso le cose possano non essere semplici.

Non vi ho ancora convinti a cercare questo film?
E allora aggiungo che le due interpreti femminili Mélanie Laurent e Sarah Gadon (guarda caso pupilla di Cronenberg padre e figlio) compaiono senza veli, che lo svolgimento della trama, pur partendo da uno spunto non di primo pelo, è piuttosto sorprendente e imprevedibile e che il finale vi farà saltare per aria la testa. O, se non altro, vi farà riflettere per giorni e giorni. Se poi c’avrete capito qualcosa della conclusione, ripassate di qua e spiegatemela che io, a settimane dalla visione, per quanto abbia formulato varie teorie non l’ho ancora capita. Grazie.
(voto 7+/10)

"Sì, figuriamoci... Quel Cannibale c'ha capito ancora meno di me!"

venerdì 15 novembre 2013

PRISONERS, PRIGIONIERI E PRIGIONOGGI




Prisoners
(USA 2013)
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Aaron Guzikowski
Cast: Jake Gyllenhaal, Hugh Jackman, Maria Bello, Terrence Howard, Viola Davis, Paul Dano, Melissa Leo, Dylan Minnette, Zoe Borde, Erin Gerasimovich, Kyla Drew Simmons, Wayne Duvall, David Dastmalchian
Genere: labirintico
Se ti piace guarda anche: A History of Violence, Mystic River, Amabili resti, The Village, The Killing, Broadchurch

Prisoners, prigionieri, non lo siamo forse un po’ tutti?
Prigionieri delle convenzioni sociali. Prigionieri dello Stato. Prigionieri di Equitalia (evvai di populismo!). Prigionieri nel rapporto con gli altri. Prigionieri di quello che le persone si aspettano da noi. Prigionieri del personaggio che ci siamo creati. Chi può dire di essere davvero libero?
Io ad esempio mi ritrovo quasi costretto moralmente a scrivere stupidaggini e cacchiate, perché è questo a cui il personaggio Cannibal Kid ha ormai abituato il suo (esiguo) pubblico. Ma adesso basta. Oggi cercherò di scrivere una recensione seria. Forse.

ATTENZIONE: C’E’ QUALCHE SPOILER QUA E LA’. NIENTE DI CLAMOROSO, MA QUALCHE SPOILERINO POTRESTE BECCARVELO, QUINDI SE NON AVETE ANCORA VISTO IL FILM OCIO!


Come detto, chi più, chi meno siamo tutti prigionieri. Tra i “chi più” ci sono i personaggi di Prisoners. Da un film con un titolo del genere, cos’altro vi aspettavate?
Nei sobborghi di una cittadina della Pennsylvania, la tipica cittadina inquietante americana, due tipiche famiglie americane, una black e una white, passano insieme il Giorno del Ringraziamento, la festa americana più americana che ci sia. La giornata passa in maniera piacevole e tranquilla e molto americana, i grandi stanno tra grandi a fare cose da grandi, i piccoli stanno tra piccoli a fare cose da piccoli. Tipo sparire nel nulla. Solo che non è nascondino. Passano le ore, viene sera e le due bambinette delle due famiglie non si trovano più. Dove sono finite? Voi le avete viste? Io no. Chi potrebbe saperne qualcosa è il tizio che stava sul furgone parcheggiato nella via dove le bimbe sono sparite. Forse.

Parte così quello che può sembrare un thriller tradizionale e in parte lo è. Un thriller tradizionale di quelli che così bene, ah, non ne facevano da quando ero anch’io piccolo come le bimbette scomparse. Tipo da Il silenzio degli innocenti del 1991. In tv qualcosa di non troppo distante per storia e qualità di recente lo si è pure visto, come The Killing e Broadchurch, al cinema non tanto.
Prisoners comunque è anche qualcos’altro. È un thriller-politico un po’ come The Village di M. Night Shyamalan era un horror-politico. Sì, proprio quel M. Night Shymalan, quello di porcherie come L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, però prima che si bevesse completamente il cervello. Perché dico questo? Perché si può tentare una lettura politica, riguardo a ciò che succede in Prisoners.

IT’S LETTURA POLITICA TIME
Il personaggio di Hugh Jackman, il padre della bambina bianca scomparsa, è l’America post 11 settembre della Guerra al terrore. Quella che tortura i propri nemici per avere le info che vuole. Quella che fa di tutto, non importa quanto ciò trasformi il torturatore in un mostro alla pari se non peggiore dei terroristi che combatte. In due parole: Jack Bauer. In tre parole: George W. Bush.
Il personaggio di Terrence Howard, il padre della bambina di colore scomparsa, è invece l’America del post Guerra al terrore. È l’America che non si sporca in prima persona le mani con il sangue, non ufficialmente, però non è nemmeno contraria a usare qualunque – QUALUNQUE – mezzo pur di ottenere ciò che vuole. Quella che non usa violenza, ma nemmeno ci prova a fermarla. Si limita a guardare dall’altra parte. Nel comportamento di Terrence Howard e della moglie Viola Davis possiamo vedere un riflesso degli Stati Uniti di oggi, gli Stati Uniti di Barack Obama.
E noi?
Dove sta l’Europa?
Maria Bello è l’Europa. Maria Bello, la moglie di Hugh Jackman, che si imbottisce di sonniferi e psicofarmaci e preferisce non sapere quello che il marito sta facendo.
Raccontato così, Prisoners potrebbe apparire un film anti-americano. Quello del regista canadese Denis Villeneuve potrebbe sembrare un atto d’accusa nei confronti degli Stati Uniti e invece…
Invece è una pellicola che preferisce non dare una morale. Non imprigiona lo spettatore a un pensiero unico. Chi guarda può farsi la propria idea. In fondo questo è solo un thriller, o no?
IT’S THE END OF THE LETTURA POLITICA TIME AS WE KNOW IT (AND I FEEL FINE)

"No, non è di mia foglia. E' mio. Chi lo dice che sono troppo grande per giocare con i pupazzi?"

A livello politico il film consente varie chiavi di lettura, questa è solo la mia personale, ognuno può trovare la propria. C’è chi può vederci dentro una condanna o al contrario una giustificazione di quanto fatto dagli americani a Guantanamo e non solo a Guantanamo (si veda Zero Dark Thirty) per ottenere le informazioni dai terroristi, e c’è anche chi può vedere la lettura politica come una forzatura e godersi semplicemente il film, che è un thrilerazzo della Madonna. Due ore e mezzo di tensione costante, che non scende fino alla fine. Di recente mi era capitato di rado di rimanere prigioniero di una pellicola con un livello di coinvolgimento simile. Anche nei bei film, può capitare un calo per un paio di minuti. Qui manco per un istante. Erano mesi che non mi capitava qualcosa del genere, ma che dico mesi? dico giorni. Anche un altro film nel passato recente mi ha coinvolto (quasi) allo stesso modo di Prisoners, ma ne parlerò a breve.

Il regista Denis Villeneuve ha un super potere: quello di schiantarti dentro i suoi film. Era capitato con il raggelante Polytechnique, era ricapitato con lo splendido La donna che canta, è riricapitato ora con Prisoners. Merito del canadese, che evita virtuosismi ma dirige con una precisione pazzesca. Detto così, potrebbe apparire uno stile freddo, in realtà Villeneuve fa sentire vicini ai suoi personaggi come pochi altri registi contemporanei. C’è una scena in particolare, quella in cui Hugh Jackman riconosce il calzino con il coniglietto della figlia, che mi ha messo i brividi. E io che ho i brividi per una scena con Hugh Jackman è una cosa mai successa. MAI.

"Donna invisibile, m'è appena sparita la figlia. Scusa neh, ma non ho tempo per venire a giocare a nascondino con te.

Se Wolverine è alla sua migliore interpretazione in assoluto, che dire di Jake Gyllenhaal, qui il detective che cerca di risolvere il mistero della sparizione delle due bimbe?
Jake Gyllenhaal, che attore straordinario! Il suo personaggio, oltre a un taglio di capelli scalato di quelli alla Rihanna/Miley Cyrus/Skrillex che vanno tanto tra i ggiovani d’oggi, ha un tic agli occhi pauroso. Non so se la cosa era presente in sceneggiatura, oppure è una particolarità che ha voluto aggiungere lui al personaggio, però recitare così è un rischio. Rischi di fare la figura dello scemo e sputtanare il film, invece Gyllenhaal è riuscito così a farci avvicinare ancora di più al suo detective. Il suo è un personaggio all’apparenza “neutro”, non troppo distante da quello di Jessica Chastain in Zero Dark Thirty; di entrambi sappiamo pochissimo, non vivono travolgenti storie d’amore, non li vediamo con la famiglia o con gli amici o altro. Nessuna nota personale. Li vediamo impegnati solo nella loro ossessiva caccia all’uomo, eppure tutti e due, grazie alle performance larger than life dei loro interpreti, sono dei personaggi vivissimi e umani come non capita spesso di vedere, non nei thrilleroni americani, se non altro.
Altra strepitosa prova è poi quella di un’irriconoscibile Melissa Leo, ma attenzione anche al volto nuovo David Dastmalchian e nota di merito pure per Paul Dano, alle prese con un personaggio super sfigato, persino più dei suoi soliti, in cui si trova parecchio a suo agio. Sarà un caso?


"Oh, ma che è? Rompermi il deretDano è diventato il nuovo sport nazionale americano?"
"Hey Donnie, lasciami. Non sono Paul Dano!"
"Ah ok scusami, ti avevo scambiato per lui..."

In tutto questo ben di Dio registico e recitativo il punto di forza assoluto è però un altro ancora. E non mi riferisco nemmeno alla splendida colonna sonora da brividi composta dall’islandese Jóhann Jóhannsson, impreziosita da “CODEX”, una chicca dei Radiohead, già usati dal regista pure in La donna che canta, dove “You and Whose Army?” era un po’ il tema sonoro che accompagnava la pellicola. Villeneuve possiamo quindi considerarlo a tutti gli effetti un fan delle teste di radio ed è una ragione in più per amarlo.
La vera arma di distruzione di massa messa in campo da Prisoners a cui mi riferisco è la sua fenomenale sceneggiatura, firmata dal quasi esordiente Aaron Guzikowski. Una sceneggiatura non tratta da romanzi, graphic novel, seghe fantasy, giochi da tavolo o altro. Una sceneggiatura originale, finalmente. La storia come detto non è nuova, il mistero della sparizione di ragazzine è una situazione in cui il genere thriller ha sempre giocato e continua a farlo, però è raccontata con la giusta dose di personalità, con un sacco di riferimenti come visto alla politica ma anche alla religione. È una sceneggiatura costruita in maniera perfetta, impeccabile, stratosferica, che Villeneuve è riuscito a trasformare in una pellicola incentrata sul simbolismo, tra labirinti, serpenti, effigi cristiane, un Jake Gyllenhaal che non parla con dei coniglioni ma è comunque parecchio ossessionato e un Hugh Jackman che non tira fuori gli artigli dalle mani ma riesce a fare di peggio.
Prisoners è un film che sa spiazzare, senza sparare fuori colpi di scena assurdi o improbabili, ma che colpisce solo con colpi (di scena e allo stomaco) ben assestati. Un film su cosa significa restare prigionieri che ti fa suo prigioniero per 2 ore e mezza senza mai darti alcuna certezza, lasciandoti in costante tensione e restandoti incollato dentro pure al termine. Un film che mostra cosa significa avere Fede, non solo da un punto di vista religioso, e soprattutto cosa significa perderla. Un film che fa finalmente fa riacquistare la Fede nel thrillerone americano.

IT’S LABIRINTO TIME
Per scoprire il voto cannibale a questo film, dovete risolvere il seguente labirinto.


Okay, potete scoprirlo anche senza risolverlo, ma sappiate che state barando.



mercoledì 23 maggio 2012

Andare a scuola fa male

Film segnalato qualche tempo fa spassionatamente (non moderatamente) da moderatamente ottimista sul suo blog Piano piano, sequenza....

Polytechnique
(Canada 2009)
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Maxim Gaudette, Karine Vanasse, Sébastien Huberdeau, Evelyne Brochu, Johnne-Marie Tremblay
Genere: stragista
Se ti piace guarda anche: Elephant, ...e ora parliamo di Kevin, Bowling a Columbine, Romanzo di una strage, United 93, La donna che canta

Cosa muove il comportamento di un pazzo assassino?
Polytechnique si ispira alla strage compiuta nel 1989 da un tizio che non si definiva un “pazzo assassino”. Si definiva un razionale.
E allora: cosa muove il comportamento di un “razionale” del genere?
Questo massacro è avvenuta a Montreal, in Canada. Come? Nel pacifico Canada avvengono cose del genere?
Sì, nel pacifico Canada. Così come nella pacifica Norvegia c’è stata la strage dell’isola di Utoya.
Se nel caso di Columbine le cause possono essere ricercate nella cultura della violenza della società americana, qui come la mettiamo?
Eppure anche in questo caso gli atti sono rivendicati come politici e dovuti a una mentalità d’odio puro. Nel caso di Utoya (che potrebbe diventare prossimamente un film di produzione americana), Breivik è un dichiarato anti-multiculturalista, anti-marxista, anti-islamista. Nel caso di questo Polytechnique, l’autore della strage è un dichiarato anti-femminista:

Avendo sempre avuto una mentalità un po' retrograda per natura
ho sempre provato rancore verso le femministe.
Si aggrappano ai vantaggi dell'essere donna,
come i costi più bassi dell'assicurazione,
il congedo per maternità, quello parentale,
ed allo stesso tempo rivendicano per loro quelli degli uomini.
The Killer, Polytechnique


Il regista Denis Villeneuve, futuro autore del bellissimo La donna che canta, nonostante il cognome non ama correre. Ci accompagna per i corridoi del politecnico di Montreal in maniera lenta e discreta, come chi sente il bisogno di mostrarci una cosa importante. Qualcosa che non ci piacerà, che ci farà stare male, che picchierà forte come un pugno allo stomaco dato da un tizio grosso stile Khal Drogo di Game of Thrones. Eppure sente il bisogno di farlo, perché è una storia che dobbiamo conoscere, dobbiamo vedere con i nostri occhi.
Polytechnique non è una visione leggera. Fin dall’inizio ci proietta dentro un incubo reale. Un vero horror che fa il paio con Elephant di Gus Van Sant, inevitabile pietra di paragone. Ma Polytechnique, oltre alla scelta del bianco e nero che rende il tutto ancora più freddo e raggelante, offre anche spunti di riflessione diversi, su tutte un maschilismo imperante difficile da estirpare anche nelle società che si dichiarano più evolute, come il colloquio iniziale della protagonista femminile ben evidenzia. E nei difficili panni di questa protagonista, suo malgrado, della triste storia raccontata dal film troviamo l’ottima Karine Vanasse. Segnatevi il suo nome. Questa stagione è stata a bordo del cast della gradevole serie 60s style Pan Am. La serie non è stata confermata, ma di lei invece credo sentiremo parlare ancora a lungo.


Non so nemmeno io se consigliarvi un film del genere o meno, soprattutto in un momento come questo dove notizie e ricorrenze certo non felici si rincorrono tra giornali e telegiornali. Polytechnique è girato ottimamente, offre parecchi spunti di riflessione e lascia il segno. Però fa male. Ti fa rimanere in stato di allerta tutto il tempo. L’attesa è qualcosa di snervante. Noi spettatori sappiamo che qualcosa di terribile sta per succedere. Loro, quelle ragazze, invece non sapevano nulla. Per loro era soltanto un’altra normale giornata di scuola.
(voto 7,5/10)


sabato 4 febbraio 2012

La donna che ca… che canta

La donna che canta
(Canada 2010)
Titolo originale: Incendies
Regia: Denis Villeneuve
Cast: Lubna Azabal, Mélissa Dèsormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Remy Girard, Abdelghafour Elaaziz, Allen Altman
Genere: il passato ritorna
Se ti piace guarda anche: Valzer con Bashir, Persepolis, La chiave di Sara

La donna che canta non è il film biografia dedicato a Laura Pausini. Quello si intitolerebbe “La donna che canta male”. O ad essere proprio perfido, si intitolerebbe "La donna che caga (dalla bocca)".
Sarò mica stato troppo cattivo?
Ma va là, che sono ancora stato gentile, con tutte quelle che ci ha fatto e continua a farci passare lei con la sua “musica”…

"Ciao, sono la nuova postina di Maria de Filippi: c'è posta per teee!"
La donna che canta invece e per fortuna è tutta un’altra musica. Nell’aria propaga infatti onde sonore e visive di quelle tipiche del grande film, di quelli impegnati socialmente e politicamente, di quelli che a vederli ti fanno sentire una persona più intelligente e matura, però non di quelle mattonate pesanti che ti raccontano una storia importante ma ti stremano a livello fisico. Si può parlare di tematiche pesanti senza per questo diventare pesanti per lo spettatore.
Il film, già inserito tra i miei top film del 2011 a una prestigiosissima 6a posizione, riesce a mantenersi incredibilmente in bilico tra la necessità di raccontare una storia rappresentativa dell’eterno conflitto in Libano tra Palestina e Israele, quella di una donna (sì, la donna che canta) e dei figli nati da uno stupro subito mentre era in prigione, senza però finire nel piagnisteo da C’è posta per te con Maria de Filippi.
Oddio, me sento male al solo nominarla.
Uff, Pausini e de Filippi. Se il film non è pesante, lo starò mica diventando io con questo post?

"Maria, c'è posta anche per te!"
Per raccontarci a ritroso la storia non certo leggera della donna che canta, tratta da un’opera teatrale di Wajdi Mouawad, il regista Denis Villeneuve insieme alla co-sceneggiatrice Valérie Beaugrand-Champagne (voglio anch’io un cognome così cool!) ha adottato una formula matematica.
Cosa, cosa?
In pratica, il prodotto dell’equazione del film è la prima splendida sequenza, illuminata dalle note di “You and Whose Army?” dei Radiohead, pezzo che tornerà poi ancora nel corso della pellicola, a mo’ di lietmotiv. Si scriverà così lietmotiv? Sì, ho controllato su Google e su Google ci sta la Verità Suprema.
Il resto della pellicola procede a ritroso cercando di risolvere quest’equazione. Spiegato così è un casino e io di matematica dalla seconda liceo in poi ho cominciato a capirne sempre meno, mano a mano che i numeri venivano sostituiti da incognite, variabili, ellissi (?!) e altre cose per me ancora oggi del tutto prive di senso.
La componente matematica è presente ma non preponderante, altrimenti il film si chiamerebbe “La donna che conta”.
Ahahaha, dopo questa battuta credo mi prenderanno a condurre Zelig!

La donna che canta invece è ben altro e riesce a fare una cosa che una formula matematica non riuscirebbe mai a fare (a parte forse gente non del tutto normale come Will Hunting): emozionare. Senza retorica o facili patetismi. In una sceneggiatura così potente e ben orchestrata emerge un solo piccolo difetto, come ha messo in evidenza il collega blogger Oh Dae-Soo, che riguarda la verosimiglianza dell’età dei figli e del padre-stupratore. Però a questo punto le questioni matematiche le abbiamo già lasciate da parte e quindi meglio non addentrarci troppo nei cavilli tecnici e goderci semplicemente la visione del film. Ok?

"Mamma, smettila coi tuoi ridicoli pensieri e guarda come sono brava a tuffarmi!"
Cast da applausi con una enorme Lubna Azabal nella parte della madre, l’attore feticcio del regista Maxim Gaudette e la rivelazione assoluta Mélissa Dèsormeaux-Poulin, una sorta di versione più giovane di PJ Harvey. Non che PJ Harvey sia vecchia, però insomma, ci siamo capiti, no?
Alla solidissima regia c’è il citato Denis Villeneuve che dimostra come questo cognome non significhi solo talento dietro a un volante ma pure dietro a una macchina da presa. Il suo sguardo è infatti lucido, preciso, asciutto, ma anche capace di illuminarsi improvvisamente. Un talento già dimostrato con il precedente Polytechnique, un Elephant canadese che rappresentava un’altra bella mazzata.
Volendo proprio trovare un difetto a questo Denis Villeneuve è che i suoi film sono così seri e belli e importanti che è difficile ironizzarci sopra. E per me questo è grave. Mi obbliga a cercare di essere serio e a provare a fare un’analisi profonda delle tematiche qui espresse.
C’è la guerra, l’eterna guerra, ci sono gli uomini che odiano le donne (come già in Polytechnique), ci sono due figli alla ricerca di risposte sul loro passato e sulla misteriosa vita della loro madre. Ci sono tutti questi temi molto importanti e altri ancora ma a parlarne troppo rischierei di suonare borioso e, soprattutto, noioso.
E quindi vi lascio alla visione consigliatissima di questa pellicola che invece evita in scioltezza tali rischi.
Niente boria. Niente noia. Bella storia.
(voto 8/10)

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