lunedì 17 agosto 2009

Gli inganni delle scimmie artiche

Arctic Monkeys "Humbug"
Le scimmie artiche hanno fatto un nuovo disco, il loro terzo, quello che potrebbe consacrarli nell’Olimpo del rock. È interessante notare come molte delle band della nuova ondata british siano arrivate quasi contemporaneamente al traguardo del terzo fatidico album e tutte anziché fare il disco definitivo, quello dell’auspicata maturità, abbiano fatto dischi transitori. Per certi versi sperimentali e affascinanti. I Bloc Party sono i miei preferiti del lotto, quelli che hanno più contaminato il loro rock new-wave con elettronica, dance e quant’altro. Per me i più innovativi. I Kaiser Chiefs sono rimasti sempre immersi nel loro pub-rock, azzeccando spesso grandi canzoni. L’ultimo disco però non ha riscosso un particolare successo e per loro la strada al titolo di nuovi Blur comincia a farsi in salita. Così così anche il terzo disco dei Franz Ferdinand. Stylosi e hype, non hanno però dato la zampata che li faccia passare da “buona band” a “grande band, cazzo!” I Maximo Park invece sono andati sempre in crescendo, per quanto mi riguarda, ma il successo vero non è per loro arrivato e chissà se arriverà mai. A settembe attendiamo al varco gli Editors, anche loro alle prese col parto del difficile terzo album (che poi quale album non è difficile?).
Ma torniamo ai Monkeys. Ancor prima di pubblicare un disco erano già il gruppo più cool di Myspace. Quando è arrivato il primo disco è stato un immediato enorme successo, specie in Uk. Quindi un secondo album sulla stessa falsariga, buono ma non troppo e intanto il cantante Alex Turner si è dedicato a un progetto parallelo, i Last Shadow Puppets, con un disco delizioso che è probabilmente la cosa migliore che il ragazzo abbia fatto nella sua breve ma intensa carriera. Adesso album number 3 con gli Arctic Monkeys. 3 is a magic number? Scopriamolo.
Si parte con una cavalcata western rock, My Propeller. Non mi convince molto. L’influenza del produttore Josh Homme, leader dei Queens of the Stone Age si sente forte e chiara. Che cerchi di prevalicare le scimmie?
Il primo singolo Crying Lightning (il video è qui sotto) prosegue sulla stessa agitata linea. Solo con maggiore ispirazione. Rock vagamente roccioso ma con un ritornello che si apre a una melodia notevole, dal sapore retrò. Più l’ascolto e più mi piglia bene.
Dangerous Animals suona esattamente come il titolo annuncia, minacciosa e inquieta. Niente male.
Secret Door è la quiete dopo la tempesta. L’atmosfera si fa sognante e incantata. Una marcietta arrivata da qualche sogno nascosto. Momento più alto dell’album. Fools on parade, canta Alex Turner, storpiando forse Bulls on parade dei Rage Against the Machine, e il mondo si può fermare. Quattro minuti scarsi di magia. Piccolo capolavoro anno 2009. Una porta segreta nascosta all’interno del disco. Non so se dover ringraziare i Monkeys di aver creato qualcosa di così bello nel senso più puro del termine, oppure mandarli al diavolo per non aver fatto un intero album su tale livello.
Potion Approaching riporta all’inquietudine di marca Queens of the Stone Age. Riff esaltante. Può scattare il pogo, liberatorio.
Fire and the Thud, sexy e fumosa, ci traghetta verso Cornerstone. Finalmente ritorna l’incanto. Canzone semplice, fuori dal tempo e fuoriclasse. Riporta dritta dritta al sentiero segnato dai Last Shadow Puppets.
Dance Little Liar, ralenty western. Finale epico. Sergio Leone avrebbe gradito.
Pretty Visitors schiaccia sull’acceleratore. Esaltazione e delirio. Panico e morte. I Visitors del serial tv sono tornati sulla Terra e stavolta sono pure pretty.
The Jeweller’s Hands inizia un po’ alla Muse. Quelli del primo disco. Muscle Museum, do you know?, per poi evolversi verso una ballatona retrò notevole. Come a dire: buonanotte, il disco è finito. Andate a fanculo.
Uhm, conclusioni: l’influenza stoner dei Queens of the Stone Age si sente un pò troppo, quasi che le scimmie a tratti li volessero scimmiottare. Humbug nel complesso quindi non convince del tutto, diviso com'è tra le due anime della band: una è quella che vuole suonare nel modo più rock cazzuto e americano del mondo. Ma secondo me è l’altra anima che regala i momenti migliori e rappresenta la vera identità dei Monkeys: quella di crooner anni 50 aggiornati all’indie rock anni 2000. Il disco della consacrazione può aspettare. In fondo come indica il titolo, Humbug, queste scimmie artiche ci hanno voluto ingannare. Tanto sono ancora giovani e sbarbate. Qualche banana in più e diventeranno gli scimmioni re della giungla musicale. Welcome to the jungle.
(voto 7)

1 commento:

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