United 93
(USA 2006)
Regia: Paul Greengrass
Cast: Trish Gates, Lewis Alsamari, Cheyenne Jackson, Olivia Thirlby
Come affrontare una ferita ancora aperta sulla pelle degli americani, e non solo sulla loro, come quella dell’11 settembre? Paul Greengrass ha scelto la via del realismo, evitando di coprire il sangue con il cerotto della fiction. Ottima al proposito si è rivelata quindi la scelta di volti poco conosciuti e attori non professionisti (alcuni sono veri impiegati della United Airlines), mentre lo stile viaggia a metà strada tra un documentario e un action movie catastrofico. La prima parte segue una giornata come tante, fino all’arrivo delle notizie confuse dei dirottamenti dei vari aerei; quindi nella seconda il ritmo sale e l’attenzione si concentra sugli eventi all’interno dello United 93, l’unico aereo tra quelli dirottati che in quella tragica data non è andato a colpire il bersaglio prefissato, grazie all’intervento eroico (disperatamente eroico) dei passeggeri del volo.
Essenziali i dialoghi, basati sulle dichiarazioni dei famigliari delle vittime, così come il tocco registico che rimane freddo, ricordando a tratti lo splendidamente glaciale Elephant sulla strage di Columbine (peccato che Greengrass non sia certo Gus Van Sant).
Due sono le scene del film che mi sono rimaste particolarmente impresse.
Quando il primo aereo colpisce una Twin Tower si pensa a un incidente, a una sfortunata, per quanto tragica, fatalità. Quando il secondo aereo colpisce anche l’altra torre, Greengrass si sofferma sullo sguardo delle persone. È in quello sguardo che si capisce come non si tratti affatto di un incidente casuale e come per l’America sia finita un’epoca. C’è la fine dell’innocenza, in quegli sguardi. Gli stessi di chi ha visto sparare a JFK.
L’altra scena notevole è il momento di preghiera poco prima della Fine. Cristiani e musulmani che pregano in lingue diverse, ma alla fine si rivolgono alla stesso Dio: in questa sequenza sta tutta la contraddizione della religione, capace di essere allo stesso tempo una forza tanto positiva di speranza e salvezza quanto una for a distruttiva di divisione e morte.
Il film è un pugno allo stomaco più che altro per il senso di ineluttabilità della tragedia. Ci immaginiamo un finale diverso. Per una volta sogniamo un cazzo di happy ending hollywoodiano. Ma sappiamo già che non succederà.
(voto 7)
Non era malaccio, anche se di Greengrass preferisco Bloody sunday, e se penso all'undici settembre, in mente mi tornano subito i corti di Lelouch e Sean Penn di 11/09/01.
RispondiEliminaUltimamente si va un pò troppo d'accordo, che dici!? Conviene che metti giù qualche recensione di film intellettualoide che possa criticare!
Greengrass non sa nemmeno chi sia Gus Van Sant, altro livello (il Gus ovviamente). Però concordo che il film non è malaccio, anzi buono considerando le difficoltà di trattare un tema così drammatico e reale.
RispondiEliminaSai cosa mi da fastidio? Che nessuno ne abbia parlato oggi. Intendo in televisione, nella nostra merdosissima televisione italiana (salvo La7). Il fatto di non esserne stati toccati personalmente, non significa che non dobbiamo ricordare. Anzi. Tutti quel giorno abbiamo partecipato purtroppo: TUTTI. E mi fa incazzare questa cosa, perché per me sarà indimenticabile oggi, come ieri, come poi.
RispondiEliminaComunque
il film rende con agghiacciante realismo questa angoscia al quadrato del cubo: non c'è niente di peggio che l'essere uccisi da scimmie esaltate con la testa piena di dio - cioè piena di Vaneggiamenti e Merda.
RispondiEliminaSe devi farmi fuori, che almeno sia per rapinarmi, o perché IO ti ho fatto qualcosa di male, eccheccazzo!
Quoto lo Zio e ottima rece... Tra l'altro l'ho rivisto da poco... E il giorno per scriverne è quello più adatto.
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