mercoledì 11 settembre 2013

OLYMPUS HAS FALLEN, AND CINEMA TOO




Attacco al potere – Olympus Has Fallen
(USA 2013)
Titolo originale: Olympus Has Fallen
Regia: Antoine Fuqua
Sceneggiatura: Creighton Rothenberger, Katrin Benedikt
Cast: Gerard Butler, Aaron Eckhart, Rick Yune, Radha Mitchell, Morgan Freeman, Melissa Leo, Angela Bassett, Ashley Judd, Finley Jacobsen, Dylan McDermott, Robert Forster
Genere: patriottico
Se ti piace guarda anche: Die Hard, 24, Giustizia privata

Americanata.
Provate a cercare questo termine su un dizionario e probabilmente non la troverete. Anche perché probabilmente un dizionario in casa vostra non lo troverete. Ormai, con Internet, con Wikipedia, a che ve serve, ah ignoranti?
Nell’edizione 2014 del dizionario Garzanti, se mai la comprerete, di fianco alla parola “Americanata”, è probabile che troverete la locandina di questo film: Olympus Has Fallen – Attacco al potere. Già dal titolo originale, ci sente puzza di magniloquenza (non conosci il significato di questa parola? scoprilo qui!) a stelle e strisce lontana un miglio. L’Olympus sembra infatti riferito al governo americano e alla Casa Bianca, giusto per non esagerare. Così come il titolo, tutto in questo film trasuda grandezza. A parte il risultato complessivo, davvero modesto.

"Presto, Presidente, dobbiamo scappare!"
"Che c'è, ci stanno attaccando?"
"No, sta per iniziare la partita di football!"
"Azz, muoviamoci. Che sto facendo ancora con questi musi gialli?"
La prima scena dovrebbe mettere la pulce nell’orecchio. Il film di Antoine Fuqua, in un tempo lontano regista del cazzuto Training Day, punta immediatamente a giocare con i sentimenti dello spettatore, con una tragedia che manco Everwood o un film tratto da Nicholas Sparks avrebbero osato piazzare subito. Mentre si trova a Camp Davis, il Presidente degli Stati Uniti ha un incidente micidiale e la sua auto rimane in bilico su un burrone. Il suo paggetto, pardon addetto alla security Gerard Butler, deve decidere cosa fare e riesce a salvare soltanto il Presidente, mentre la First Lady viene sacrificata e finisce morta stecchita in fondo al burrone. Un inizio estremamente drammatico che poi non si rivelerà così fondamentale per gli sviluppi della storia e che quindi sa tanto di ruffianata strappalacrime messa lì alla cazzo di cane tanto per provare a strapparci il fazzoletto dalle tasche. Missione fallita, Fuqua. L’espediente ultra drama te lo sei giocato troppo presto, quando ancora non eravamo minimamente affezionati ai personaggi, perciò che c’è frega se muore la First Lady dopo una sola scena?
Non che con il resto della visione ci si affezioni in qualche modo ai personaggi, comunque…

"Oh, no. Ci hanno colpiti con un attacco a sorpresa!"
"Nucleare? Chimico?"
"No, un astuto uso combinato di biglie e bucce di banana per farci scivolare!"
18 mesi dopo, Gerard Butler lavora in ufficio e non è più a capo della security del Presidente. Il trauma per quanto successo è ancora troppo forte, ma non è niente rispetto a quello che succederà di lì a poco. E cosa succede?
Lo spunto politico della pellicola è più attuale che mai, o almeno lo era ai tempi dell’uscita nei cinema lo scorso aprile, mentre ormai è stato sorpassato dalla questione siriana. Nel film, la minaccia nucleare da parte della Corea diventa realtà, in una maniera però ancora più minacciosa di quanto si potrebbe immaginare. I coreani prendono d’assalto la Casa Bianca, ne fanno saltare per aria metà, rapiscono il Presidente (un Aaron Eckhart per una volta per nulla convincente) e uccidono tutti. Quasi tutti. Gerard Butler, che passava di lì per caso, è vivo e vegeto ed è pronto ad eliminare la minaccia coreana. Da solo. L’americanata, pardon il film, si gioca la carta del one man’s hero, l’uomo, l’eroe che da solo salva tutto e tutti. Come Bruce Willis in Die Hard, solo senza lo stile, l’ironia, la figosità di Bruce Willis in Die Hard. Yippie-ki-yay, Butler-fucker, non vali un cacchio al suo confronto. Ma proprio niente. E mi riferisco ai primi episodi della saga, non all’ultimo orribile Die Hard – Un buon giorno per morire.

"Corea o Siria?"
"Beh, io preferirei andare in Siria. Dovrebbe fare più caldo."
"Ma Presidente, io intendevo quale bombardare, non dove andare in vacanza..."
Olympus Has Fallen cade anche sulla tematica terroristica. Nel post-11 settembre, tutto quello che c’era da dire sul tema è già stato detto e fatto nella serie 24. Non bastasse John McClane, pure Jack Bauer in un confronto massacrerebbe alla grande il povero inutile poco credibile Gerard Butler versione action hero. Dopo Zero Dark Thirty, poi, e la serie capolavoro Homeland, dico Homeland, una pellicola del genere è un brutto, orribile ritorno al passato. Il passato degli action movies anni Ottanta imitato in maniera pessima e di cui restano giusto gli aspetti più trash, dalle musiche esageratamente enfatiche a un Morgan Freeman che di americanate non se ne perde una, fino ai soliti cattivoni stereotipati, qui capitanati da Rick Yune (che si legge "ricchiune") visto in L’uomo con i pugni di ferro, che cercano di togliere agli americani il loro splendido way of life. Ma tanto sappiamo già tutti come andrà a finire per loro.
E non dite che vi sto spoilerando qualcosa, perché se vi aspettate delle soprese o dei colpi di scena clamorosi da un film del genere siete messi peggio degli autori di questa...
Americanata. Non c’è altro modo per definirla. Per di più, un’americanata fatta male. Molto male.
(voto 4/10)



4 commenti:

  1. Visto in aereo, quindi persino senza il "valore aggiunto" degli effetti speciali su grande schermo.
    Una puttanata allucinante, seconda solo a Skyline, con il finale in cui un boro in canotta prende a cazzotti un'astronave.

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  2. Devo ancora vederlo, ma non mi aspetto nulla di buono....

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  3. premesso che 'sto film non lo vedrei neanche se mi pagassero, trovo già "americanata" l'usare la parola OLIMPO per indicare la Casabianca
    quali dei e dee vi abitano? la dea Pompina, protettrice delle Stagiste? il dio Kitsch, protettore di Hollywood? la dea Microspia, protettrice delle intercettazioni?

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  4. Ecco uno di quei rarissimi casi in cui concordiamo in negativo. Davvero un'americanata mal fatta.

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