Questo mese in Serial Killer si parla di poche serie. Poche, ma buone?
Sì, dai. Il bilancio è positivo. Non ho messo manco una serie tra i flop, quindi non ci si può lamentare. O forse questa rubrica, a dispetto del suo nome, sta diventando troppo buona?
Serie top del mese
Dispatches from Elsewhere
(stagione 1)
Bisogna dare tempo al tempo. Aprirsi alle seconde possibilità. Solo gli stolti non cambiano mai idea, e così via. Tutto questo per dire che sì, ho sbagliato. Dopo aver guardato i primi due episodi, avevo bollato Dispatches from Elsewhere come una possibile cacchiata. Per essere più precisi avevo scritto: “In bilico tra genialata e cagata pazzesca, dopo averne visto due episodi non voglio sbilanciarmi troppo, ma credo si vada più verso la seconda opzione”.
Invece no. Con il terzo episodio è finalmente scattato l'amore. E pensare che l'episodio in questione è dedicato al personaggio di una vecchina interpretata dalla solita grande Sally Field che sulla carta non sarebbe proprio nelle mie corde.
"Vecchina a chi?" |
Solo che Dispatches from Elsewhere sa stupire, e sa emozionare. La serie scritta, creata e interpretata da Jason Segel è riuscita a vincere le resistenze personali che ho nei confronti del suo autore, che pure qua conferma di non essere un interprete dall'espressività eccessiva, ma dimostra di essere una persona con delle cose da dire e soprattutto con un'enorme creatività. La stessa serie nella stessa serie viene descritta come: “È tipo Fight club sotto acidi, però scritta da uno che ama la vita” e in effetti così è. È però anche altro. Un'avventura nella tana del Bianconiglio che ricorda tante altre cose e finisce per essere estremamente personale. Faccio quindi mea culpa e chiedo scusa a Jason Segel per averlo come al solito sottovalutato. E finisco per ringraziarlo per averci regalato una delle visioni più intriganti dell'anno. Giusto per non esagerare con i complimenti, aggiungo solo che nel finale rischia di strafare, ma va bene così, Jason, ti perdono se tu perdoni me.
"Col cavolo che ti perdono." |
Little Voice
(stagione 1, episodi 1-3)
"Prima di cantare vorrei dire qualcosa... anzi, meglio di no, per non rischiare di fare una bocellata." |
“Dobbiamo tornare indietro” diceva Jack a Kate in una delle scene più memorabili di Lost. E lo stesso deve essersi detto tra sé e sé J. J. Abrams, uno dei co-creatori della serie. Dopo aver fatto su i miliardi, diretto e prodotto qualunque nerdata da Star Trek a Star Wars, l'amatodiato J. J. ha deciso di tornare alle origini. Al suo primo amore. Alla sua prima creatura televisiva, Felicity. Proprio a quella serie adolescenziale trasmessa a cavallo tra gli anni '90 e i primi anni zero è dichiaratamente ispirata Little Voice, serie prodotta dallo stesso J. J. Abrams e co-creata da Jessie Nelson con Sara Bareilles, cantante nota per la hit del 2007 “Love Song” che non è che mi abbia mai fatto molto impazzire, ma che trasmette la sua genuina passione per la musica qua dentro. Perché Little Voice non è un musical, anche se la gente ogni tanto si mette a cantare in mezzo alla strada senza motivo, bensì una serie musicale, che racconta la storia di una giovane aspirante musicista in quel di New York City. Uno dei pregi maggiori della serie è quello di far respirare la musica, qualsiasi genere di musica, che esce da questa città come se fossimo lì. La Grande Mela straborda di sonorità differenti e Little Voice cerca di dare voce a ognuna di loro.
Certo, c'è da mettere in conto qualche momento melenso. D'altra parte è una serie creata da Sara Bareilles, mica da Burzum. Per lo più comunque la serie funziona e finisce per convincere anche la protagonista Brittany O'Grady, che avevo già visto in quella sublime trashata di Star e che dimostra un buon potenziale sia come attrice che come cantante. Se in Star veniva spesso oscurata dalle due bonazze co-protagoniste, qui i riflettori sono puntati su di lei e lei supera la prova.
Con le serie TV d'altronde spesso va così, con gli attori in secondo piano che finiscono per trasformarsi in vere star. Com'è successo a Michelle Williams dopo Dawson's Creek o, ancora più clamorosamente, a Melissa McCarthy dopo Una mamma per amica. Chi l'avrebbe detto ai tempi che sarebbe diventata più famosa e pagata di Lauren Graham e Alexis Bledel?
Tornando a Little Voice, si scrive “Little Voice”, si legge “mainagioia”. La protagonista è bella, di talento, scrive ottime canzoni, vabbé diciamo canzoni decenti, e ha una bella voce, è spiritosa, multitasking, sensibile. Eppure nella sua vita non gliene va bene una. Conosce un ragazzo che le piace, questo poco dopo si presenta nel locale in cui lei lavora come barista in compagnia... della sua fidanzata.
Trova finalmente il coraggio di cantare una canzone che ha scritto in pubblico e... si blocca sul più bello.
Vede la sua migliore amica baciare innamorata la sua ragazza e... dei pazzi criminali tirano loro addosso una bottiglia.
La protagonista, teoricamente figa, è così sfigata e insicura da risultare simpatica. Magari non subito. Il primo episodio mi è sembrato così così, mentre con il secondo e con il terzo è scattata la scintilla e ora sono molto curioso di scoprire se questa Little Voice si trasformerà in una Big Voice.
Ok, quest'ultima stronzata potevo anche risparmiarmela, ma non sapevo come concludere il pezzo.
Love, Victor
(stagione 1)
Simon, ti presento Victor. Victor è la tua versione aggiornata e ispanica. Il tuo film Tuo, Simon era caruccio e tutto, però le cose filavano via in maniera troppo liscia. Il bello della tua pellicola era quello di affrontare i temi dell'omosessualità e del coming out in maniera comedy, leggera, evitando il solito drama che accompagna la rappresentazione di queste storie. Solo che era anche il tuo limite. Il mondo vuole drama e così eccolo accontentato. Love, Victor è la versione telefilmica del tuo film. È un teen drama e se a un teen drama gli togli il drama è un bel dramma. Per quanto anche in questo caso c'è da dire che sia tutto molto light e politically correct, e quanto cazzo ha rotto il cazzo il termine politically correct?
Rispetto al tuo film qui comunque emerge un pochino più di conflitto. Quel tanto che basta per tenere desta l'attenzione e far consumare le dieci veloci puntate della prima stagione di Love, Victor come un vassoio di ciliegie. Una tira l'altra. Che poi a me le ciliegie non è che facciano così impazzire, ma era giusto per dare l'idea.
Rimanendo in tema, ciliegina sulla torta di questa serie molto caruccia è un cast di giovani emergenti in cui, più che il Victor che ti ha fregato il posto di protagonista o il simil-Edward Cullen di cui si invaghisce come fosse una Bella Swan qualunque, sono gli attori di contorno a spiccare e a spaccare. In particolare Anthony Turpel nei panni del personaggio simpa di turno. L'outsider “sfigato” alla Pacey Witter che saprà riscattarsi.
E poi c'è Rachel Hilson, che è talmente figa da far vacillare l'omosessualità del protagonista.
Victor era gay, e adesso sta con lei, canterebbe Povia.
E dopo questa citazione di altissimo livello, caro il mio Simon, direi che posso anche chiudere la mia lettera. Tanto, ormai chi le legge più le lettere?
Tuo, Cannibal.
Serie così così del mese
Brave New World
(stagione 1, episodi 1-4)
Brave New World è una serie tratta da un romanzo distopico arrivato molto prima di Hunger Games, ma anche prima di The Handmaid's Tale e persino di 1984 di George Orwell. L'omonimo romanzo di Aldous Huxley è stato pubblicato nel 1932. Può un romanzo distopico del 1932 essere ancora futuristico oggi giorno? Nel distopico 2020 che stiamo vivendo sì, è possibile. Lo spunto iniziale di Brave New World non è niente male. Come scrive Wikipedia, la serie “immagina una società utopica che ha raggiunto la pace e la stabilità attraverso il divieto della monogamia, della privacy, del denaro, della famiglia e della storia stessa”. In pratica ci troviamo di fronte a una specie di comunismo orgiastico. Tutti scopano con tutti e nessuno vuole mettere su famiglia. È come vivere in una comune hippie anni '60. O in un college americano da film per sempre. Che figata!
Naturalmente però non è tutto oro quel che luccica e così anche questa società apparentemente perfetta mostrerà le sue crepe. Al contrario, la società dei “selvaggi”, quelli che vivono con i valori della monogamia e della famiglia, può rivelarsi migliore di quello che appare.
Ottima idea di partenza, sviluppo discreto. A tratti affascinante, a tratti trash, Brave New World è un incrocio tra Westworld e una puntata di Black Mirror, con un cast niente male in cui spiccano Jessica Brown Findlay (che non a caso si era segnalata proprio in un episodio di Black Mirror)...
…Alden Ehrenreich che, dopo aver inevitabilmente perso il confronto con Harrison Ford nei panni di Han Solo in Solo: A Star Wars Story, conferma di essere ancora un attore promettente...
...e, tanto per non farsi mancare niente, c'è pure Demi Moore in versione MILF bionda. Perché?
Perché no?
Peccato solo che la serie si prenda troppo sul serio. Se, come Upload, giocasse di più la carta dell'ironia, allora sì che ne vedremmo delle belle.
Guilty Pleasure del mese
Cursed
(stagione 1, episodi 1-4)
Le mie impressioni dopo i primi minuti di visione della nuova serie fantasy di Netflix Cursed non sono state certo tra le migliori. Ho pensato che questa è una serie maledetta di nome e di fatto, nel senso: “Che sia maledetta questa serie!”. Mi sono anche chiesto più volte se stavo guardando la Melevisione.
"Che sia meledetta questa serie!" |
In una scena mi è sembrato di trovarmi di fronte a un incrocio tra Bambi e Il Signore degli Anelli. O a un Game of Thrones per nabbi. Ho trovato assurdo persino il nome della protagonista. Cioè, ma chi è che ha deciso di chiamarla Nimue?
"Questa spada la chiamerò Eschizibur." |
Per non parlare degli odiosi personaggi secondari. Dal bimbetto ladro...
...a Peter Mullan in versione Gandalf cattivo.
Un altro misterioso villain della serie sembra invece un bimbominkia emo.
La migliore amica della protagonista invece non si sa bene perché è Anna dai capelli rossi. Ah sì, forse so il motivo: quelli di Netflix l'hanno messa qua per dare il contentino ai suoi fan sfegatati che continuano a fare petizioni per rivederla dopo la cancellazione della sua serie.
"Non sono Anna dai capelli ross... ok, forse sì." |
L'ho già detto che Cursed è una libera rivisitazione della leggenda arturiana?
Ah no? Allora lo dico adesso. Non poteva quindi mancare Merlino, o Merdino come da me ribattezzato. Qui è proposto un Merlino sopra le righe, molto jacksparrowizzato. Un Merlino ubriaco e rock, se vogliamo. Una parte che sarebbe stata perfetta per Johnny Depp. Peccato che l'attore sia in altre faccende affaccendato, più in tribunale che sul set, e quindi per la parte hanno preso il terzo fratello Skarsgård, che in certe scene sembra Maccio Capatonda.
"In realtà non sono Mago Merlino. Sono Padre Maronno." |
Fatto sta che ho continuato nella visione di Cursed a causa della mia cotta per Katherine Langford, presa ai tempi di 13 Reasons Why, e minuto dopo minuto, episodio dopo episodio, ho finito per divertirmi. La serie è tutt'altro che fenomenale, ma come guilty pleasure fantasy banalotto e già visto ha il suo perché. E questo, se non si era capito, era un complimento.
Cotta del mese e Performer of the Month
Alba Baptista (Warrior Nun)
Warrior Nun. La suora guerriera. Sentite anche voi odore di cazzatona?
Io lo sentivo, eppure mi sbagliavo. Per quanto tutt'altro che priva di difetti, Warrior Nun è una piacevolissima sorpresa. Certo si parla di cose assurde come la risurrezione...
Dite che lo fa anche la Bibbia? Infatti la Bibbia è il più assurdo dei bestseller.
Il grande pregio di questa serie TV, basata sull'omonima serie a fumetti di Ben Dunn, è quello di presentare una folle vicenda fantasy con un sacco di ironia, di cui è massima rappresentante la protagonista, Ava Silva interpretata da Alba Baptista. Una tipa tostissima, bad-ass la definirebbero nei paesi anglosassoni ma visto che siamo in Italia dovete accontentarvi di tostissima. E anche ricca di quel senso dell'umorismo perfetto per smontare tutte le cose pazzesche che potete immaginarvi, e che in effetti avvengono, in una serie che è intitolata Warrior Nun. In pratica, Ava Silva è la nuova Buffy Summers. Sì, l'ho detto. La serie Warrior Nun nel complesso invece non riesce ancora a raggiungere i livelli di Buffy l'ammazzavampiri, complici anche gli episodi finali in cui la parte fantasy prende il sopravvento su quella umoristica. Però anche la prima stagione di Buffy l'ammazzavampiri presentava ampi margini di miglioramento, che poi si sono verificati, e quindi pure Warrior Nun, nel caso di una conferma, con la seconda stagione potrebbe pure migliorare. Che già così, comunque, è un bel guilty pleasure.
Se Ava è la nuova Buffy, fisicamente l'attrice che la interpreta è un incrocio tra Natalie Portman e Alicia Vikander. In pratica è la donna perfetta. Segnatevi il suo nome, Alba Baptista, attrice portoghese più che splendida e più che talentuosa di cui, seconda stagione di Warrior Nun o meno, credo sentiremo parlare ancora parecchio.
E Dark?
Visto che io sono ancora fermo alla prima stagione, per parlare della popolare e discussa serie tedesca cedo la parola al collega, amico e ogni tanto guest star di questa rubrica Federico Vascotto.
L'opinione di Federico Vascotto
Dark
Dark, serie originale Netflix tedesca in tre stagioni (come da piani iniziali, conclusasi il 27 giugno) creata da Baran bo Odar e Jantje Friese, ha dimostrato come anche l’Europa può portare prodotti validi e soprattutto di respiro internazionale sulla piattaforma.
Ambientata nella fittizia e misteriosa cittadina di Winden, degna erede di Twin Peaks per i segreti e i rapporti familiari complicati tra i suoi abitanti, tutto parte dalla scomparsa di due bambini che riporta alla mente un vecchio caso simile di 33 anni prima. C’è anche un misterioso suicidio e qualcosa che sembra dovrebbe succedere esattamente 33 anni dopo.
La cosa che più sorprende della serie tv è l’incrocio incredibilmente riuscito fra l’elemento fantascientifico dei salti temporali e l’elemento soap delle parentele fra i vari protagonisti, che via via diventano sempre più fitte e complicate a seguito dei tanti colpi di scena.
Con la terza ed ultima stagione la serie compie un altro piccolo miracolo poiché, aggiungendo nel finale della seconda l’elemento degli universi paralleli (motivati) accanto a quello degli spostamenti temporali, non si è incartata nei suoi stessi viaggi ma anzi è rimasta coerente fino alla fine, con un finale potremmo dire praticamente perfetto. Una serie meravigliosamente corale, nonostante l’incentrarsi via via che gli episodi procedono su Jonas e Marta.
E proprio la terza stagione chiude il cerchio e risponde a molte domande lasciate in sospeso, facendo esclamare durante la visione spesso “Ah ecco quando quello ha detto quella cosa a quell’altro”. Dark è praticamente un bellissimo mal di testa seriale, di cui non vogliamo la cura.
L’unica pecca, se vogliamo, è che abbia avuto vita breve e non sia riuscita a diventare quel fenomeno mondiale che avrebbe meritato. Ma nel suo piccolo lo è comunque stata e si è costruita una propria identità ben riconoscibile, e di questo possiamo essere felici. “La fine è il principio, il principio è la fine. Noi siamo perfetti insieme, non credere mai il contrario.”
Dispatches mi ha stupito e appassionato coi continui twist.
RispondiEliminaP.s. che immagine è quella dell header?
E' un'immagine della serie Dare Me, uscita in Italia con il titolo Prova a sfidarmi.
EliminaPenso di averla vista solo io, infatti l'hanno cancellata subito dopo una stagione.
Però non era male. :)
Non la conosco infatti. Mi informerò😀
EliminaConosco Dark, vabbè ormai la conoscono tutti...
RispondiEliminaComunque la prima volta che sento di alcune serie è qui da te, ed è sempre uno spasso ;)
Posso dire un enorme e soddisfacente: "Te l'avevo detto!"! Dispatches a me aveva catturato fin dallo strepitoso pilot. Una serie scritta da me potrebbe uscirne così, e mi viene da pensare che con Segel potrei essere amica visto anche quel "Non mi scaricare" qui citato più volte.
RispondiEliminaPotresti recuperare anche Dark allora, così un altro "te l'avevo detto" posso scriverlo ;)
In astinenza da belle serie non credo concederò chance a guerriere, suore, futuri distopici già letti su carta o ad aspiranti cantanti che ispirano troppo buonismo. Certo, mi sto vedendo Il club delle babysitter, ma è stranamente delizioso e impegnato nei temi come Victor. Queste nuove generazioni prendono più posizione e si fanno meno piagnistei alla Dawson!
Noto con piacere che l'unica che ho visto è quella che tu hai visto meno, Dark.
RispondiEliminaAlcune cose, per fortuna, non cambiano.