lunedì 12 marzo 2018

I Wonder how, I wonder why





Wonder
Regia: Stephen Chbosky
Cast: Jacob Tremblay, Julia Roberts, Owen Wilson, Izabela Vidovic, Noah Jupe, Danielle Rose Russell, Mandy Patinkin, Bryce Gheisar



Il protagonista del film Wonder ha una faccia strana.


Beh, in realtà lui è il padre del vero protagonista della pellicola, che sarebbe lui: Auggie, interpretato da Jacob Tremblay, la bambina... ehm, il bambino di Room.
Auggie ha preso dal padre, e quindi pure lui ha una faccia un po' strana.

"Sì, ma comunque meno strana di quella di Owen Wilson."

Sua madre invece è Julia Roberts. Sì, proprio Pretty Woman. Gli anni '90 per lei sono però ora molto distanti. Non fa più la escort, ha messo la testa a posto e non per merito di Richard Gere, che dopo averla illusa si è stufato di lei e, una volta passata l'eccitazione dei primi tempi, l'ha scaricata per un'altra professionista del settore. Una certa Ruby. Poco male per Juliona Roberts, che si è rifatta una vita con Owen Wilson e insieme hanno avuto due figli.

"Se rimpiango la vita da favola con Richard Gere?
Certo che no, AHAHAH!"

Il secondogenito è Auggie e va beh che è il protagonista principale del film, però adesso solo perché uno ha una malformazione facciale non è che bisogna parlare solo di lui e tutto l'universo gli gira intorno. Il bello di questo film è che c'è spazio anche per gli altri personaggi e ce n'è uno, anzi ce n'è una in particolare che ruba la scena a tutti. Persino a Auggie. Mi riferisco alla sorella maggiore del protagonista, Olivia detta Via. Una ragazza che ha vissuto tutta la sua vita nell'ingombrante ombra del suo fratellino “speciale” ed è lei che zitta zitta poco a poco esce dall'oscurità e si impone all'interno del film. Un po' come fa Alicia Vikander in The Danish Girl. Uno guarda la pellicola pensando che il personaggione di turno sia Lili Elbe, una delle prime persone transessuali della Storia, interpretata da un Eddie Redmayne fresco reduce di Oscar per la sua interpretazione di Stephen Hawking in La teoria del tutto (dove a rubargli la scena era invece Felicity Jones), ed ecco invece che si impone la sua moglie "normale" interpretata dalla Vikander che la statuetta questa volta se l'è andata a prendere lei.

Nei panni di Via troviamo l'attrice rivelazione Izabela Vidovic che, okay, non ha vinto l'Oscar, non è manco finita in nomination, però è la vera carta vincente della pellicola e si impone inoltre al mondo come erede di Carey Mulligan. Non che la 32enne Mulligan abbia già bisogno di un'erede, ma nel caso la giovane Vidovic è già lì pronta per fare le scarpe pure a lei, oltre che al fratellino.


In Wonder riescono a ritagliarsi uno spazio piccolo, eppure importante, anche altri personaggi “minori”, come il miglior amico del protagonista, la (ex) BFF di Via e il pericolosissimo bullo di turno...

"Paura, eh?"

Un bullo, anzi un bulletto che è davvero all'acqua di rose, ma giusto un filo.
Mi ricordo i tempi in cui io frequentavo le medie. Non le ho fatte nel Bronx. Le ho fatte in una scuola in pieno centro della medio borghese rassicurante cittadina piemontese Casale Monferrato. Ciò nonostante, ricordo che c'erano studenti che in classe si facevano le seghe, bestemmiavano, fumavano e davano fuoco ai banchi. Era inoltre all'ordine del giorno che qualcuno avesse una crisi isterica e insultasse, o persino minacciasse di morte, la povera insegnante di turno o qualche compagno. Sono cose che adesso vengono documentate sui social network, finiscono in televisione e sui giornali, e in alcuni casi anche nelle aule dei tribunali. Allora invece si trattava semplicemente di un ordinario giorno di routine nella mia scuola media. Di bullismo ai tempi non si parlava nemmeno. Avere a che fare con sfottò, minacce, violenze o botte era considerata come una normale prova da superare, un po' come poteva essere una verifica o un'interrogazione. Un passaggio obbligatorio. Come in caserma. Come in prigione. Adesso che ci ripenso non mi sembra sia stato così facile sopravvivere agli anni delle medie, eppure in qualche modo ce l'ho fatta.

Auggie frequenta invece un istituto privato esclusivo e fighetto nell'epoca molto politically correct attuale in cui viviamo. Ok, subisce qualche presa in giro e all'inizio viene isolato dal “branco”. Tutto brutto, tutto deplorevole, però posso solo immaginare cosa sarebbe successo a un tipo "speciale" come Auggie in una scuola media come la mia negli anni '90 a Casale Monferrato. Figuriamoci nel Bronx...


La vita di Auggie quindi sì, è dura, ma il messaggio più importante che esce da questo film – almeno credo – è che è dura per tutti. Siamo tutti in qualche modo della anime in pena che fanno una gran fatica a trovare dei veri amici, a sentirsi parte di qualcosa, a farsi accettare dagli altri per ciò che siamo. Che poi cosa siamo?
All'interno delle nostre vite siamo tutti degli Auggie. Dei piccoli eroi che cercano di tirare avanti e sopravvivere. Vivere non è facile, ma anche solo sopravvivere non è un'impresa semplice, Dio bono.

Il grande merito di una pellicola come Wonder è quello di riuscire a parlare credo un po' a chiunque, e di parlare al cuore. È vero che lo fa in maniera ruffiana e buonista. Non posso dire il contrario. In questo momento non mi viene in mente nessun altro film al mondo che sia più ruffiano e buonista di questo o che, nonostante qualche piacevole elemento ironico presente al suo interno, punti così tanto alla commozione e alla lacrima facile. Fino ad arrivare a una scenona finale francamente imbarazzante tanto è esagerata. A livello cinematografico non ci troviamo poi di fronte a chissà quale capolavorone, ma comunque riesce nell'impresa di sfangarla il buon Stephen Chbosky, già artefice di Noi siamo infinito...

Specifico: il film e il libro, non la canzone!


Una volta accettato tutto questo, io comunque – almeno in questo preciso momento della mia vita – preferisco una pellicola che vuole provocare delle emozioni, dei sentimenti nel pubblico come questa, rispetto a cose più glaciali di una ventata di Burian come Dunkirk o Il filo nascosto, per quanto impeccabilmente e cinematograficamente e tecnicamente e sticazzicamente girati.


Qualcuno potrà considerarla una debolezza, invece ci va un gran coraggio per cercare di parlare al cuore della gente. E anche per mostrare il proprio. Come un tempo ha scritto Vincent van Gogh: “Chi sono io agli occhi della maggior parte della gente? Uno qualunque. Una nullità. Una persona sgradevole. Uno che non ha, né mai avrà alcuna posizione nella società. In breve, il peggio del peggio. Beh, allora, benché tutto questo sia assolutamente vero, un giorno voglio poter mostrare con il mio lavoro ciò che questo fallito, questa nullità ha nel proprio cuore”.
(voto 7-/10)

5 commenti:

  1. Non mi ha infastidito come sospettavo, ma comunque non mi è piaciuto.
    Sapevo però che la sorella maggiore, Via, avrebbe fatto breccia.
    Un nome da segnarsi. Mentre Tremblay, mi sa, inizio a non reggerlo...

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  2. Non credo di riuscire a superare quella patina di buonismo e di ruffianeria che si porta appresso, nonostante la tua approvazione, la tua chiusa bellissima. Ti è proprio rimasto nel cuore Vincent, eh?

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  3. Sono contenta ti sia piaciuto. :) Al cinema pensavo di non arrivare alla fine a forza di singhiozzare. Vero che alcuni momenti sono esagerati ma a fine visione mi ha lasciato davvero il sorriso nel cuore. :) Molto bello.

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  4. Non l'ho ancora visto, ma sospetto che da me possa fare la fine de La forma dell'acqua.
    La citazione di Van Gogh, però, è bellissima, e posso sottoscrivere in pieno l'aneddoto sulle medie aggiungendoci anche le superiori. ;)

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