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lunedì 6 marzo 2017

Jackie (non Chan)





C'era una volta un Presidente. Il suo regno era paragonato alla Camelot di Re Artù e al suo fianco aveva la sua Ginevra. Anche se in questo caso il traditore sembrava più lui che lei. Era un presidente ricco di fascino e carisma. Uno che ammaliava le folle. Uno che con le sue parole sapeva illuminare e ispirare le persone. Un leader nato. Uno che era impegnato a difendere i diritti civili di tutti, non solo dei ricchi e privilegiati come lui. Era un Presidente che pure le sue cappelle e i suoi errori li avevi fatti. Un Presidente che avrebbe anche potuto fare di più, soltanto che non ha avuto tempo e modo di realizzare tutto quello che era nelle sue possibilità.

Di chi sto parlando?
Di Donald Trump?

No, dico. A parte il fatto che sia Presidente, ora e purtroppo non nel passato, c'è qualcosa in questa descrizione che coincide con lui e con il suo regno del terrore?

Mi sto allora riferendo a Barack Obama?

Fuochino, però no. A lui è dedicato un ottimo film Netflix, Barry (voto 7+/10). Da non confondere con la romcom Ti amo Presidente. In Barry ci viene presentato un Barack Obama giovane, ai tempi del college negli anni '80. Il ritratto di un ragazzo che era già un uomo maturo, non privo però di difetti o lati oscuri. Un biopic piuttosto originale e molto intrigante, ben interpretato dall'attore rivelazione Devon Terrell e dalla sempre più sorprendente e versatile Anya Taylor-Joy, la giovincella di The Witch, Morgan e Split che dimostra di saperci fare non solo con le pellicole a tinte thriller-horror. Una visione consigliata anche non solo ai fan accaniti (come me) di Barack "Barry" Obama.

Come al solito comunque sto divagando.
In apertura di post mi riferivo a JFK, John Fitzgerald Kennedy, cui sono state dedicate numerose pellicole, molte di esse incentrate sul suo omicidio. Una triste e misteriosa storia ampiamente nota, che però ora ci viene proposta in una versione inedita, attraverso un punto di vista differente, che non mi pare fosse stato ancora raccontato. Quello di Jacqueline Lee Bouvier Kennedy Onassis, anche nota semplicemente come...

Jackie
Regia: Pablo Larraín
Cast: Jackie Chan, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, Caspar Phillipson, John Hurt, John Carroll Lynch

mercoledì 26 marzo 2014

SNOWPIRLA




Snowpiercer
(Corea del Sud, USA, Francia, Repubblica Ceca 2013)
Regia: Bong Joon-ho
Sceneggiatura: Bong Joon-ho, Kelly Masterson
Ispirato alla serie a fumetti: La Transperceneige di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette
Cast: Chris Evans, Jamie Bell, John Hurt, Tilda Swinton, Song Kang-ho, Ko Ah-sung, Octavia Spencer, Ewen Bremner, Alison Pill, Luke Pasqualino, Tómas Lemarquis, Steve Park, Ed Harris
Genere: arca di Noè 2.0
Se ti piace guarda anche: 2013 – La fortezza, Atto di forza, Brazil

Snowpiercer è il nuovo Blade Runner?
Il nuovo Matrix?
Il nuovo Brazil?
Il nuovo Strange Days?

A essere ancora generosi, a me Snowpiercer è sembrato piuttosto il nuovo 2013 – La fortezza, film dei primi anni ’90 con Christopher Lambert impegnato a lottare contro un sistema oppressivo. O anche una pellicola un po’ alla Paul Verhoeven, tra Atto di forza e Starship Troopers. Ma il nuovo Blade Runner?
ARE YOU FUCKING SERIOUS?

Certo che quelli del marketing sanno come vendere un film, dobbiamo ammetterlo. Quella che l’astuta strategia promozionale ha cercato di spacciare come la migliore pellicola di fantascienza degli ultimi 100 miliardi di anni, o qualcosa del genere, altro non è che l’ennesima banalità sci-fi degli ultimi tempi. Non ai livelli irraggiungibili di Cloud Atlas, però insomma, tra i film dei Wachowski di sicuro siamo più vicini a quelle parti che non a quelle di Matrix.

"Oh, andiamo. Sono l'unico qui dentro con un biglietto
e volete farmi la multa solo perché non l'ho obliterato?"
Il film parte dal solito spunto apocalittico. È arrivata una nuova era glaciale, ma questa volta Scrat non è stato chiamato a far parte del cast, poverino, e gli unici esseri umani sopravvissuti stanno su un treno che gira tutto intorno alla Terra. Contenti loro…
Il treno è una specie di moderna Arca di Noè, anche se a me la storia della sua realizzazione ha più che altro fatto venire in mente l’episodio dei Simpson “Marge contro la monorotaia”. Un’idea strampalata ma se non altro piuttosto originale, sebbene i meriti di ciò vadano assegnati alla serie a fumetti francese Le Transperceneige da cui è tratta, più che alla pellicola di per sé.

La singolare variante trenistica di un film a caso di Roland Emmerich si scontra però contro due problemi principali. Il primo è la sua struttura narrativa da videogioco, ovvero completare un livello per passare a quello successivo, solo con le carrozze al posto dei livelli. La sceneggiatura del film si limita quindi a spostare i protagonisti ribelli, i poveri delle ultime carrozze, in quelle davanti, dove incontreranno avventure incredibili… si fa per dire. Detto in parole povere: cinema-videogame alla Zack Snyder spacciato per cinema d’autore.
Carrozza dopo carrozza, diventa chiaro sia ai protagonisti che allo spettatore il funzionamento del treno. Il superamento dei livelli avviene attraverso vari combattimenti, scazzottate o sparatorie, in cui il regista sudcoreano Bong Joon-ho si diverte un mondo. Peccato che, tra momenti concitati alternati a rallenty, appaiano come l’ennesima scopiazzatura fuori tempo massimo delle sequenze action del menzionato Matrix. L’unica scena impressionante è la battaglia con le fiaccole, il solo momento davvero notevole a livello visivo.

"Charlotte Gainsbourg, preparati che sto arrivando!"
Per il resto, il film è una successione di scenette a metà tra il grottesco e il risibile, con ottimi attori come Tilda Swinton, Alison Pill, John Hurt, Octavia Spencer e Ewen Bremner (il mitico Spud di Trainspotting) ridotti a interpretare dei personaggi macchietta che sembrano usciti dalla parodia di un film di Terry Gilliam. Per non parlare dell’attore feticcio del regista, Song Kang-ho, cui è affidata la parte del tossico patito di Kronol che poteva essere il personaggio simpa di turno e invece no, è una lagna pure lui. In un cast sulla carta di buon livello in cui si segnala pure Jamie Bell che ormai vedo ovunque, da Il lercio all'imminente Nymphomaniac e presto pure Cosa nei nuovi Fantastici 4, il protagonista principale – sempre a proposito di Fantastici 4 – è Chris Evans. Ecco, io non ho niente contro Chris Evans, mi sta simpatico fin dai tempi dell’esilarante Non è un’altra stupida commedia americana, ma, se anche in Snowpiercer tutto il resto avesse funzionato a dovere, un film con Chris Evans protagonista NON può essere un cult. Mi si viene a dire che Channing Tatum è inespressivo, ed è vero, ma allora che dire di Chris Evans?

"Vi prego, sparatemi ma risparmiatemi il finale di questo film!"
Oltre a essere un film-videogame, il secondo grande problema della pellicola, anzi il terzo visto che il secondo è Chris Evans, è la sua ambizione di contenere chissà quale altissimo messaggio. Solo che Snowpiercer ha lo spessore politico di un discorso di Matteo Renzi. Hunger Games viene tanto criticato perché propone una visione socio-politica semplicistica, come fosse un 1984 per teenager, cosa che infatti è, ma al confronto di Snowpiercer appare come una saga ultra impegnata.
Nel film di Bong Joon-ho tutto è troppo spiegato. Sul fatto che il treno sia una metafora della società umana, con le classi più agiate nelle carrozze di prima classe davanti e i morti de fame in quelle in fondo, ci potevamo arrivare anche da soli. Invece no. Il film deve esplicitare pure quello, attraverso una serie di dialoghi ridicoli che raggiungono il top nella parte finale. L’apparizione del creatore, del Dio del treno, tale Wilford interpretato da Ed Harris, fa andare giù le mutande quanto quella dell’Architetto in Matrix Reloaded. E allora si torna lì, al cinema dei Wachowski, ma non certo al loro film migliore, il primo Matrix, quanto ai suoi penosi seguiti. Che fantasia poi prendere per questa parte Ed Harris, già uomo dietro le quinte del The Truman Show. Morgan Freeman, che di solito in questi ruoli ci sguazza, era per caso troppo impegnato?
La claustrofobia provocata da Snowpiercer non è allora causata tanto dall’ambientazione interamente all’interno di un treno, quanto dalla presenza di questi soffocanti spiegoni, che non lasciano spazio a molte interpretazioni. Il film concede una carrozza a chiunque, tranne al libero pensiero dello spettatore.

"No, sparate prima a me!"
Dopo 2 ore di corsa in cui si è stati per lo più in piedi e giusto per una manciata di minuti seduti, neanche tanto comodamente, si arriva al termine stremati e si rimpiange addirittura di non aver viaggiato con Trenitalia. Perché?
Perché come film d’intrattenimento Snowpiercer è a malapena mediocre, da un punto di vista del messaggio politico è scontato e ci regala un finale penoso che, alla faccia della fonte di ispirazione francese e del regista orientale, sa tanto di solita americanata buonista, con tanto di ATTENZIONE SPOILER sacrificio supereroistico di Chris Evans. Ciliegina sulla torta: un’ultimissima inquadratura dedicata a un tenero orsetto bianco, che vorrebbe rappresentare come sulla Terra all'infuori del treno ci sia ancora spazio per la vita. Peccato che il tenero orsetto sia pronto a cenare con gli ultimi umani rimasti.
E questa roba qua sarebbe il nuovo Blade Runner?
Gente, prendete meno Kronol, per favore!
(voto 5/10)

"Che finale imbarazzante!"

mercoledì 19 marzo 2014

ONLY LOVERS LEFT ALIVE, TWILIGHT SECONDO JIM JARMUSCH




Solo gli amanti sopravvivono - Only Lovers Left Alive
(UK, Germania, Francia, Cipro, USA 2013)
Titolo originale: Only Lovers Left Alive
Regia: Jim Jarmusch
Sceneggiatura: Jim Jarmusch
Cast: Tom Hiddleston, Tilda Swinton, John Hurt, Anton Yelchin, Mia Wasikowska, Jeffrey Wright
Genere: vampiresco
Se ti piace guarda anche: Byzantium, Twixt, Il buio si avvicina, This Must Be the Place

Pensate che due vampiri più noiosi di Edward Cullen e Bella Swan di Twilight non possano esistere?
Pensate che non li potreste mai trovare, nemmeno se voi stessi foste vampiri che vivono per migliaia di anni?
Piano, gente, piano. Ho da presentarvi due succhiasangue che, in quanto a rottura di palle, non hanno poi molto da invidiare ai due vampirelli verginelli interpretati da Robert Pattinson e Kristen Stewart.
Ecco a voi Adam ed Eve. Sì, si chiamano proprio così i due vampiri protagonisti di Only Lovers Left Alive. Adam è Tom Hiddleston, quello che in Thor nei panni di Loki somigliava a Marco Travaglio e che qui in alcune scene ricorda invece più che altro Jared Leto in Dallas Buyers Club. E non fa manco il vampiro trans. Eve è Tilda Swinton, l’attrice più androgina del mondo, una che, per carità, sarà anche una bravissima interprete, ma la trovo così sexy che non me la ciulerei manco fosse davvero l’ultima lover left alive su tutta la Terra.

Adam ed Eve con i loro bei nomini biblici sono sposati, ma vivono le loro vite immortali da separati. Probabilmente perché sono così noiosi da essersi stufati l’uno dell’altra. Lui se ne sta a Detroit, la capitale americana dell’auto ormai parecchio in crisi, che nelle sue macerie odierne ci viene mostrata in alcuni dei passaggi più significativi della pellicola. E cosa combina? Adam è un polistrumentista, un vero e proprio patito di musica e compone un sacco, però preferisce stare lontano dalle luci della ribalta, lontano da tutti, soprattutto da quelli che lui chiama “zombie”, ovvero gli umani, ed esce solo per fare una capatina in ospedale a recuperare il sangue di cui nutrirsi. Eve invece sta a Tangeri, in Marocco, legge un sacco ed esce ogni tanto per andare a rifornirsi pure lei di sangue dal suo amico Ian Hart.
Come avrete intuito, i due non vanno in giro a fare stragi di zombie, cioè umani, ma fanno una vita da monotoni vampiri vegani, come ormai sempre più spesso capita di vedere in film e serie tv, dall’Angel di Buffy – L’ammazzavampiri, il capostipite di tutti i succhiasangue buonisti, fino a quelli di True Blood, The Vampire Diaries e Twilight.

Magari è soltanto una mia fantasia malata, ma quando Jim Jarmusch si è messo a lavorare su questa sua nuova pellicola ha immaginato una versione adulta dei due protagonisti del super successo Twilight. Forse si è chiesto: “Come sarebbero Edward e Bella dopo anni e anni di matrimonio?”.
La risposta la vediamo rappresentata in Only Lovers Left Alive. Prima di cominciare a preoccuparvi, specifico subito che questa pellicola per il resto non ha niente a che vedere con la saga di Twilight. È in tutto e per tutto un film di Jim Jarmusch, con i pregi e limiti che ciò comporta.
Con Jim Jarmusch ho un rapporto combattuto. Da una parte gli sarò sempre grato per avermi dato Ghost Dog, uno dei miei film preferiti di sempre, e anche per Dead Man, uno dei pochi western insieme a Django Unchained ad avermi detto qualcosa. Sarà perché non è per nulla un western classico. Anzi, forse non è un western per niente. Altre sue pellicole invece le trovo estenuanti, come Broken Flowers o soprattutto il recente The Limits of Control, che non sono manco riuscito a vedere fino alla fine talmente mi ha stremato.

Only Lovers Left Alive è un altro suo tipico film. Lento, lentissimo, infinito, con una trama, se è presente una trama, appena abbozzata e tutto costruito intorno ai personaggi protagonisti. Solo che qui non abbiamo un killer samurai figo come Ghost Dog o un giovane William Blake figo come il Johnny Depp di Dead Man, bensì come detto due vampiri. Due vampiri noiosissimi che decidono di ritrovarsi e così Eve raggiunge Adam a Detroit. Pensate che a questo punto succeda qualcosa di interessante?
No.
A interrompere la loro vita monotona ci pensa, dopo circa un’ora di film, l’arrivo della sorella di Eve, Ava, interpretata da una scoppiettante Mia Wasikowska. È con lei che la pellicola finalmente si anima e il Jim Jarmusch ci regala in un club rock alcuni dei momenti più belli sulle note dei Black Rebel Motorcycle Club. A livello di singole scene, il regista conferma ancora una volta di saperci fare, eccome. La sequenza roteante all’inizio e i primi piani in cui i vampirelli si “fanno” di sangue come dei tossici sono notevoli. Nel complesso però il film non decolla mai. Persino l’arrivo della Wasikowska è appena un’illusione e ben presto tutto si sgonfia e si torna a vagare in mezzo a mari non di sangue, solo di noia. Il film è la rappresentazione perfetta dell'eternità della vita di due esseri immortali, come ha scritto in maniera altrettanto perfetta Dikotomiko nel suo blog.
Pure i dialoghi non riescono a essere minimamente incisivi o profondi. “Sai che Jack White dei White Stripes è l’ultimo di dieci figli?”. E chissenefrega.

È apprezzabile la visione personale che Jim Jarmusch dà del mondo dei vampiri. Solo che non è poi nemmeno così originale. Negli ultimi tempi i succhiasangue non sono stati protagonisti solo di saghette fantasy ma anche di vari film d’Autore, dal singolare Twixt di Francis Ford Coppola a Byzantium di Neil Jordan, pellicole che in qualche modo questa rievoca. Così come a me è venuto in mente anche This Must Be the Place, per via del personaggio di Tom “Travaglio” Hiddleston, un musicista annoiato in crisi di mezza età come lo Sean Penn del film di Paolo Sorrentino, che a sua volta era un lavoro dalle atmosfere alla Jim Jarmusch e quindi tutto torna. Tutto gira in cerchio come nella sequenza d’apertura del film.
Ciò che non torna è il senso di un lavoro come questo. La pellicola è esteticamente molto bella, come uno spot pubblicitario d'Autore, ha una colonna sonora post-rock niente male, sfoggia alcune singole sequenze molto ben girate. Nel complesso però non va da nessuna parte. Only Lovers Left Alive è un film affascinante, ma mai davvero coinvolgente. Il problema sta tutto nei protagonisti che, Edward e Bella permettendo, sono i due succhiasangue più pallosi nella storia dei vampiri. Dracula a vederli si starà rivoltando nella tomba. E non è un modo di dire.
(voto 6-/10)


)

martedì 17 gennaio 2012

La talpa, il film preferito dai ghiri

La talpa
(UK, Francia, Germania 2011)
Titolo originale: Tinker Tailor Soldier Spy
Regia: Tomas Alfredson
Cast: Gary Oldman, John Hurt, Mark Strong, Colin Firth, Tom Hardy, Toby Jones, Ciarán Hinds, Benedict Cumberbatch, Kathy Burke, Stephen Graham, Amanda Fairbank-Hynes
Genere: controspionistico
Se ti piace guarda anche: La conversazione, The Hour, qualche film a caso sulla Guerra Fredda

La talpa. Il titolo originale è Tinker Tailor Soldier Spy, che se in inglese suona come il nome di una band indie che cerca di apparire intrigante, tradotto da noi suona più o meno come “Stagnino, sarto, soldato, spia”. Non esattamente il massimo dell’appealing, diciamo… Quelli della distribuzione cinematografica italiana, dei tizi che mi immagino più oscuri e misteriosi delle spie al servizio del MI6, hanno allora optato per il più secco La talpa. Un titolo che riporta tristemente alla mente un atroce programma di Italia 1 condotto da Paola Perego. Davvero una gran bella idea! A questo punto era meglio “Stagnino, sarto, soldato, spia”.
Alla fine però devo riconoscere che a questo non è nemmeno tanto colpa loro: si sono infatti limitati a riutilizzare il titolo italiano del romanzo del 1974 di John le Carré da cui il film è tratto e che già negli anni Settanta aveva ispirato una serie BBC con Alec Guinness.
Certo che se lo intitolavano La talpa 3D potevano anche spacciarlo per un film stile Chipmunks invece di una pseudo pellicola d’autore.

"Che faccio, rispondo? Nah, sia mai che in questo film succeda qualcosa..."
La talpa è un film decisamente incasinato e complesso da seguire. O in alternativa possiamo dire che non fornisce grandi motivi per farti venire voglia di seguirlo. La storia è infatti quella di un agente del MI6 che deve sgamare la “talpa”, sì quella del titolo italiano, ovvero un altro agente che in realtà è stato assoldato dai russi. Una trama poi non molto differente da quella del reality-show La talpa, appunto. Il tutto si svolge nel 1973, in piena Guerra Fredda per un film che più freddo di così si va dritti al Polo Nord, e che non ha nessun legame con l’attualità. Qualcuno proverà a dirvi che invece trattasi di una storia dannatamente attuale, però non credetegli. Sta mentendo e forse è pure lui una spia al servizio dei Russi.

Se mi stuzzicava l’idea di una pellicola lontana dai soliti stereotipi action della spie britanniche, ovvero il da me odiato James Bond zero zero tette, il risultato mi ha quasi atto pentire di non trovarmi di fronte a un film della sua serie. Per darvi idea di quanto la visione della Talpa mi abbia prosciugato. Anche perché a me, machemmefrega di sapere chi era la spia segreta russa all’interno dei servizi britannici nel 1973 tra stagnino, sarto, soldato e spia con tutti i problemi chec’abbiamo in Italia tipo essere stati declassati da Standard & Poor’s, un’agenzia che in economia ha lo stesso livello di credibilità di Gianni Morandi per quanto riguarda la musica? Me lo volete dire chemmefregaamme?

"Al prossimo che mi porta a vedere un film così gli spezzo tutte e 2 le gambe"
Ci sono dei film che, per quanto ben fatti, proprio non ti catturano. Cominci a guardarli, passano i minuti e ti dici: “Oh, adesso succederà qualcosa di intrigante e all’improvviso verrò catapultato dentro alla storia, dentro un mondo di finzione che mi assorbirà fino a distogliermi dal contesto reale e non ne uscirò più fino all’incedere lento dei titoli di coda.” Poi guardi l’orologio: 30 minuti… niente. Un’ora… niente. Un’ora e mezza… niente. L’unica scena non dico eclatante ma perlomeno di un minimo d’interesse è quella conclusiva, sulle note della bella canzone “La mer”. Un pezzo francese cantato da uno spagnolo che con un film britannico diretto da uno svedese non ci azzecca una mazza e forse proprio per questo risulta essere la cosa migliore di tutto il film. Peccato che sia troppo poco troppo tardi. Too little, too late, come dicono gli anglofoni.
Ebbene sì, una canzone cantata da Julio Iglesias (!) è la cosa migliore del film, ancora convinti si tratti di un capolavorone?


"Il paziente inglese, Il discorso del re, questo...
dovrò mica trovare un agente come dire... più brillante?"
Dicevamo comunque dello svedesone dietro la macchina da presa del film: Tomas Alfredson, uno che al suo primo film c’aveva azzeccato subito. Alla grande. Lasciami entrare (Let the Right One In) è stata una delle pellicola, anzi La Pellicola dedicata ai vampiri più intima e sorprendente mai realizzata.
No, fan di Robert Pattinson in ascolto, non è Twilight la pellicola più intima e sorprendente sui vampiri! Quella è solo la più stracciamaroni.
Lasciami entrare è stato un piccolo cult che si è meritato un inutile remake-calco americano e ha catapultato subito Alfredson tra i registi più ricercati del mondo. Nonostante questo Tinker Tailor ecc. sia stato acclamato dalla critica d’oltremanica, d’oltreoceano e ora pure quella italiana, e abbia ricevuto varie nomination ai vari premi stagionali, per me il regista questa volta ha toppato. Altrettanto alla grande.
"Non si intravede qualcosa di interessante manco col binocolo!"
Se già qualcuno aveva accusato Lasciami entrare di essere un film noioso, dai ritmi lenti e sonnacchiosi, aspettate di vedere questo, cari miei! Là almeno c’erano dei bambini vampiri che ogni tanto qualcosa di eclatante la combinavano. Eccome. Qui invece non succede un bel niente. Calma piatta. Zero. Niente. Nada.
Certo, a meno che non siate patiti di soporiferi film di spionaggio in stile anni ’70. In questo caso vi ritroverete nel gruppo di quelli che osannano la pellicola fino a strapparsi i capelli dalla testa. A me invece è sembrata solo uno sterile esercizio di stile. Un ricalco di un cinema di una volta di cui io sinceramente non sentivo la mancanza e anche chi ne sentiva la mancanza potrebbe andarsi a recuperare gli originali invece di strapparsi i capelli per questo. Mi ha ricordato il film La conversazione di Francis Ford Coppola. Un'altra soporifera visione cui mi ero sottoposto a causa di una Blog War contro il mio blogger rivale Mr. James Ford. Ecco, se vi è piaciuto quello, probabilmente vi piacerà pure questo.
"Non dico un action, ma un film un filo
più movimentato non me lo trovi?"
A brevissimi tratti mi ha ricordato anche la serie inglese The Hour, che però per fortuna oltre alla trama spionistica, marginalmente presente, aggiunge altri e ben più interessanti elementi.
La talpa invece parla solo e unicamente di spionaggio. Non uno spionaggio figo e accattivante alla Alias o, chessò?, Austin Powers. Tutt’altro. Ho già nominato un paio di volte l’MI6 e se non avete idea di cosa sia, lasciate perdere l’idea di vedere questo film già in partenza. È infatti una storia che si addentra troppo nei meccanismi dei servizi segreti britannici, senza il minimo appiglio d’interesse per i “babbani” di turno.

Peccato, perché la confezione sarebbe anche ben curata. Se al suo precedente film la regia di Alfredson potevo definirla raffinata e dai gelidi tempi nordici, qui sarà anche curatissima ma è davvero lenta e macchinosa e basta. Punto. Non Fiat Punto. Punto e basta. Ma, a proposito, ‘sto Marchionne con la barba che vuol fare lo Steve Jobs dei poveri? E con Steve Jobs dei poveri intendo pur sempre un mega-multimilionario.
"A vederlo fino alla fine non ce la faccio. Basta: mi butto!"
E mentre Marchionne vorrebbe diventare il nuovo Jobs, il protagonista di questo film è un Gary Oldman in versione Toni Servillo. Molto Toni Servillo. Secondo me è proprio al nostro migliore (o unico decente?) attore che il “vecchio uomo” (Oldman in italiano, sorry) si è ispirato, con il suo vagare con quell’aria tra Il divo e Le conseguenze dell’amore.
Ottimo anche il cast di contorno, in cui si ritagliano spazio dei validi e assortiti Colin Firth, John Hurt, Toby Jones, Benedict “nuovo Sherlock” Cumberbatch, il sottoutilizzato Stephen Graham (This Is England), l’ottimo Mark Strong (Kick-Ass) e l’ancor più ottimo Tom Hardy. Un quasi irriconoscibile Tom Hardy in versione bionda! Però no, tranquilli: non sembra Lady Gaga.
Mmm… forse giusto un pochino.
Svelato il misterone del film: ecco chi è la talpa!
Un cast molto valido che però non basta comunque a risvegliare l’interesse per una storia che, almeno a livello personale, non ne ha suscitato il minimo. Neanche per un istante. Neanche per mezzo istante. Neanche per un fotogramma. Ma magari è solo che sono stato pagato dai russi per fare il doppiogioco e boicottare La talpa, che in realtà è il film più divertente, elettrizzante e appassionante mai visto.

Naah, ma chi voglio prendere in giro? Questo film è una palla colossale. Una visione che fin da ora si candida ad autorevole candidato per l'ambito “Premio Valium” 2012. Mo’ adesso basta con ‘ste talpe. Vado a fare il ghiro che a vedere questo film chissà perché m’è venuto un gran sonno. Yaaaaaawn
(voto 5-/10)

lunedì 24 ottobre 2011

La malinconia di Kirsten Dunst e delle sue pere al vento

Melancholia
(Danimarca, Svezia, Francia, Germania 2011)
Regia: Lars Von Trier
Cast: Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Alexander Skarsgard, Stellan Skarsgard, John Hurt, Charlotte Rampling, Udo Kier, Brady Corbet, Cameron Spurr
Genere: fine del mondo
Se ti piace guarda anche: The Tree of Life, Donnie Darko, Festen, La malinconia di Haruhi Suzumiya

C’è una sottile linea (rossa) che congiunge The Tree of Life di Terrence Malick alla Melancholia di Lars Von Trier. Non che siano poi così simili, Melancholia è più dialogato, più narrativo, più fisico. Uno rappresenta la cosmogonia, l'altro la cosmoagonia. Insomma, per certi aspetti sono opposti, vedi anche la reazione all’ultimo Festival di Cannes dove uno ha vinto e l’altro è stato cacciato, ma in un certo qual modo è come se entrambi i registi avessero voluto dare la loro personale risposta alla bruttezza imperante della reality-tv, così come dei video caricati su YouTube in bassa qualità. Entrambi hanno fatto due film esteticamente estasianti, in cui comunque i contenuti sono ben presenti e dicono cose importanti sulla vita, sulla morte, sul mondo. Basta solo saperle vedere, le cose.



Che Kaiser Von Trier abbia voluto fare la sua opera più visivamente curata lo si capisce fin da una scena d’apertura di raggelante, splendida, pittorica bellezza, che in una manciata di minuti spazza via anni di cinema catastrofico di Roland Emmerich.
Il ralenty usato è uno dei pochi punti di contatto con il precedente Antichrist, film molto controverso che ha suscitato reazioni parecchio contrastanti (chi ha parlato di capolavoro, chi di schifezza, io per una volta sto nel mezzo e dico che è stato una delusione ma al suo interno aveva anche elementi interessanti). E anche questo film dividerà. Certo, il pubblico che andrà a vederlo aspettandosi un bel blockbusterone catastrofico rimarrà alquanto sconcertato, un po’ come chi andando a vedere The Tree of Life si immaginava un drammone strappalacrime con i superdivi Pitt & Penn, o chi da Somewhere di Sofia Coppola si attendeva una spassosa celebrazione della vita di una star hollywoodiana, o ancora chi ha fremuto in poltrona aspettando che in Drive di Refn a un certo punto il protagonista Ryan di O.C. (ah perché, non era Ryan di O.C.?) facesse due freni a mano insieme a Vin Diesel.
Al punto che negli Stati Uniti (e questa non è una notizia da me inventata, ma una cosa successa davvero) una certa Sarah Deming ha fatto causa alla distribuzione di Drive perché il trailer prometteva secondo lei una pellicola in stile Fast & Furious e invece il film era tutt’altra cosa.
Che la signora in questione sia per caso parente di un certo Vasco Rossi, l’uomo dalla denuncia facile?

Alla fine quindi è tutta una questione di aspettative. Io personalmente quando vengo colto di sorpresa da qualcosa che ribalta le mie aspettative il più delle volte sono contento. Se vado a un appuntamento al buio e mi si presenta davanti un uomo anziché una donna magari non è proprio la sorpresa più gradita del mondo, però  in genere mi piace essere sorpreso. E se poi l’uomo è Jared Leto, oh lo si fa andare bene lo stesso.
La gente (sì, sto facendo un discorso generalista, lo so che non è giusto ma tant’è: è il mondo a non essere giusto) invece vuole vedere proprio ciò che si aspetta. Sempre. Altrimenti chiede indietro il prezzo del biglietto. O un risarcimento, vedi signora di sopra.
E prevedo che un sacco di gente che andrà a vedere Melancholia chiederà indietro il prezzo del biglietto. E un sacco di risarcimenti. Però certo che per chiedere indietro i soldi di un film in cui Kirsten Dunst compare nuda bisogna avere un senso della bellezza alquanto ottenebrato, per non dire inesistente.
Ma la gente chiederà il risarcimento.
Perché la gente è noiosa.
La gente non sa vedere oltre la superficie delle cose.
La gente non la sa vedere, la bellezza.
E io sto generalizzando.
Proprio la stessa cosa che fa la gente.

Qualche anticipazione su quanto vi aspetta se avrete il coraggio e l’incoscienza di addentrarvi in questo ennesimo, spudorato, esagerato viaggio nel mondo della mente malata del genio Von Trier?
La pellicola è divisa in due parti, che potrebbero sembrare piuttosto sconnesse e disomogenee tra loro ma in realtà sono speculari e procedono sulla stessa traiettoria, come due pianeti che gravitano vicini, fino a che si scontrano. È inevitabile.



Nella prima, Kirsten Dunst e Alexander Skarsgard si sposano per tentare di guadagnarsi il titolo di coppia più bella del mondo e ci dispiace per gli altri, anche per Celentano e consorte. I due sono così belli, bianchi e biondi che insieme potrebbero realizzare il sogno di Lars Von Trier di dare vita alla razza perfetta.
Prima che mi arrivi una richiesta di rettifica, specifico: non intendo sostenere che Lars Von Trier sia un nazi. Anche perché tanto ci pensa già lui a definirsi tale.
“Capisco Von Trier, credo che abbia fatto delle cose sbagliate, come il non del tutto riuscito Antichrist, ma riesco a vederlo seduto nel suo bunker. Credo di capire l'uomo, non è quello che definirei un “bravo ragazzo”, ma credo di comprenderlo.”
Dopo questa dichiarazione verrò considerato “persona non grata” dal mondo dei blogger?

Nella prima parte, la storia è tutta dedicata alla festa post-nozze della coppia di superfighi, innamorati, innamoratissimi. Sembrerebbe. Lei pubblicitaria geniale e di successo, lui uomo più fortunato del mondo solo per averla sposata. La seconda parte è invece incentrata maggiormente sulla sorella della protagonista, ovvero Charlotte Gainsbourg, che si dimostra la donna più coraggiosa del mondo tornando a lavorare con l’Anticristo Lars dopo essere stata martoriata in Antichrist.
Ma tranquilli, perché Kirsten è presente pure in questo seconda orbita del film. Ed è fenomenale, tra l’altro, anche se forse la mia parola non è delle più obiettive. Kirsten Dunst è sempre stata una delle mie attrici culto fin dai tempi di Jumanji e Intervista col vampiro (dove era la vampira condannata a rimanere bambina per sempre), arrivando poi a dare il meglio di sé con Sofia Coppola nella rappresentazione della bellezza eterna ne Il giardino delle vergini suicide e con lo stravolgimento del cinema storico nel super fashion Marie Antoinette, fino ad arrivare alla parentesi “commerciale” ma pur sempre cinematograficamente ottima nei panni della rossa Mary-Jane in Spider-Man.

In Melancholia Kirsten interprete il suo ruolo più estenuante a livello fisico (ma rispetto ad altre donne vontriereriane le è ancora andata bene, vada a chiedere a Nicole Kidman, Bjork o alla collega di set Gainsbourg), con una performance quasi da cigno nero in cui la vediamo sprofondare progressivamente sempre di più negli inferi, della sua anima o di una forza superiore, questa è una domanda interessante. Il suo andamento è infatti lunatico, o meglio melancholico visto che più che dalla Luna o dal ciclo mestruale il suo umore dipende dal pianeta Melancholia. O forse è lei a controllare il comportamento dei pianeti, come nel geniale anime La malinconia di Haruhi Suzumiya? Di certo c’è che il premio di miglior attrice all’ultimo Cannes è stato davvero azzeccato, così come quelli a The Tree of Life di miglior film e a Refn per la miglior regia. Quest’anno mi sento totalmente in linea con le scelte di Robert De Niro e del resto della giuria del Festival. Devo cominciare a preoccuparmi? Il mondo sta davvero per giungere al termine?

Grandioso anche tutto il resto del cast, con Lars che si dimostra un fan di 24: ha chiamato il mitico Jack Bauer al secolo Kiefer Sutherland per un ruolo (finto) rassicurante e pure il giovane Brady Corbet, presente nella 5a stagione, mentre per quanto riguarda lo stile cinematografico rimane lontano dai ritmi adrenalinici e dagli split-screen della serie. Ma forse il buon (buon si fa per dire) Lars è anche un fan di True Blood, visto che ha chiamato il vampiro Eric al secolo Alexander Skarsgard (ho sentito le urla delle fan vampirelle fin da qui!), accompagnato da suo padre Stellan, già habituè del regista, visti i suoi precedenti ne Le onde del destino, Dancer in the Dark e Dogville; però il Lars, che le scontatezze proprio non le ama, non gli ha dato lo scontato ruolo di padre dello sposo, bensì quello del capo della sposa. Altrettanto bastarda si può considerare anche la scelta di due grandi attori come John Hurt e Charlotte Rampling nei panni dei genitori della sposa per poi metterli un po’ in disparte, quando invece i loro personaggi avrebbero potuto avere maggiore spazio. Ma il fascino del cinema di Von Trier sta proprio in questo: non ti dà ciò che ti aspetti, ti dà qualcos’altro.

Se dai film precedenti Lars Von Trier appariva nelle vesti di sadico misogino, con questo Melancholia emerge un’altra realtà: forse il vero Von Trier non va cercato nei personaggi maschili delle sue pellicole, ma in quelli femminili. Se qui il personaggio indubbiamente più vicino al regista è quello di Kirsten Dunst, pere al vento a parte, chissà che anche nei suoi precedenti la martorazione delle varie Emily Watson, Nicole Kidman e Bjork non fosse in realtà un’autopunizione. Chissà? Chissà? E forse non è nemmeno lui ad essere un nazi. È il mondo ad esserlo.



Melancholia è una visione folgorante, un film immenso quanto un pianeta che procede solenne la sua inarrestabile rotta insieme al prelude del Tristano e Isotta di Wagner che funge da leitmotiv musicale. Qualcuno (leggi molti) lo troveranno pretenzioso o noioso, a me invece ha tenuto incollato allo schermo dall’inizio alla fine. È infettivo, contagia come una malattia e non se ne va più dalla tua mente nemmeno nei giorni successivi alla visione. Più che un film sulla fine del mondo, un film sulla depressione. Che per Lars Von Trier, qui alle prese con il suo Donnie Darko personale o forse solo con la paranoia da calendario Maya, alla fine sono la stessa cosa.
La Terra è corrotta
non c’è alcun bisogno di affliggersi per lei
nessuno ne sentirà la mancanza.

(voto 10/10 e se non siete d’accordo vi spedisco in vacanza premio sul pianeta Melancholia in compagnia di Lars Von Trier)

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