martedì 24 marzo 2009

train

Il cielo è blu. La fine è vicina. Appena metto piede sul treno so già quanti soldi farò su questa carrozza: zero. Tutti uomini di mezza età in giacca e cravatta diretti in città a fare affari che non mi lasceranno neanche una monetina. Ci provo lo stesso. Sulle loro costose valigette in pelle di coccodrillo lascio cadere il mio bigliettino con scritto “IO AVERE PERSO MIA FAMIGLIA. IO AVERE FAME. DATE ME PICCOLA OFFERTA. DIO BENEDICA VOI E VOSTRI CARI. GRAZIE.”
C’ho messo dentro una manciati di errori grammaticali anche se io l’italiano lo conosco meglio di molti italiani. Devo pure mantenere lo stereotipo. Nessuno dare soldi a giovane donna russa con cultura grande grande. E poi non è tecnicamente vero che ho perso la mia famiglia. Io so dove sono. È solo che ho scelto di non vivere con loro.
Dopo averli tutti distribuiti ordinatamente per la carrozza, torno a riprendere i miei bigliettini sgrammaticati e guardo fissi negli occhi tutti gli eleganti ometti, agitando la mia manina davanti. E sganciatemi una moneta, voi che ne avete tante. Sbatto anche gli occhioni imitando il gatto con gli stivali di Shrek ma niente. Tutto come previsto. Zero euro. Fragilità. A volte è tutto così semplice.
Provo in un’altra carrozza. Seconda classe. Una signora anziana si specchia nel finestrino e sorride. Il vetro non riflette nessuna delle sue rughe. Quella signora è l’unica a lasciarmi una monetina. Sconsolata e squattrinata, sto per scendere alla prossima fermata, quando ecco che lo vedo seduto lì, tutto solo. Un’iPod abbandonato. Lo prendo e mi infilo le cuffiette bianche nelle orecchie. Suona un pezzo che si chiama Arcady, di un certo Peter Doherty. Mi fa ritornare il sorriso. La fabbrica del sorriso. Che stronzata.
Guardo le foto dentro l’iPod. In tutte c’è questa ragazza che avrà all’incirca la mia età. In alcune foto c’è scritto “con le mie best friends”, in qualcun’altra “con papi”, in qualcun’altra ancora “con mami”. Chissà come dev’esser triste per averlo perso. Mi stampo il suo volto in faccia e mi riprometto di restituirglielo nel caso la vedessi su qualche corrozza. Giurin giurello.
Scendo al capolinea. Lì ci ritrovo Marika, la mia amica nera. Adoro parlare con lei, anche se lei non dice mai niente. Credo sia muta, ma non ne sono sicura. Magari è solo che non le va di parlare. Magari un giorno si mette a parlare e mi dice: “E stai un po’ zitta. Dai, cazzo!” O magari mi dice: “Sei la mia migliore amica. Ti voglio bene tanto tanto tanto tanto tanto.” Ci mangiamo un panino del McDonald’s. Takeaway. Un happy meal in due. Il giusto premio dopo una giornata di dura fatica.
La sera faccio l’altro mio lavoro. Tutte le ragazze che sono lì con me mi dicono: “Non farlo, sei troppo giovane, troppo,” ma penso siano solo invidiose, perché io mi faccio più soldi di tutte loro. Anche agli uomini piace l’happy meal.
Mentre un altro corpo sudato mi muore dentro, guardo il semaforo in fondo alla strada. È giallo lampeggiante. Alle spalle sta sorgendo un nuovo sole. La mia attenzione passa dal semaforo che intanto è diventato rosso al volto dell’uomo che mi sta sopra. Di solito evito di guardarli. Ma lui, lui mi sembra di conoscerlo. Sì. Le foto nell’iPod. “Con papi.” Lui viene e finalmente si toglie da dentro. Si tira i pantaloni su e mi dice: “Ciao,” facendo anche un cenno con la mano. Io scendo, poi quando lui ha già messo la station wagon in moto gli dico: “Aspetta…” lo tiro fuori dalla mia tasca e glielo consegno. “Dai questo a tua figlia. Sarà contenta di riaverlo.” Torno a guardare il semaforo. È diventato verde. Do l’80% al mio pappone e poi mi stendo a letto.
Tempo poche ore e sono già in piedi. Un altro giorno comincia. Stazione. Treno. Vagone. Bigliettino strappa-lacrime. Manina agitata. Qualche monetina. Faccio il mio solito giro tra le persone sedute scomodamente in 2a classe canticchiando tra me e me Arcady di Peter Doherty e poi la vedo, seduta dove ieri c’era l’iPod. È la ragazza delle foto. Lei si toglie le cuffiette bianche dalle orecchie e sente la stessa melodia uscire dalle mie labbra. Mi guarda negli occhi e sembra capire qualcosa. Non so cosa. Quando ripasso, allungo la mano e lei ci mette dentro una banconota da dieci. Oggi avrò un happy meal tutto per me. Il cielo è blu. La fine è vicina.

10 commenti:

  1. Bello...triste,un po' inquietante ma bello..complimenti!

    un sorriso!a presto mangione!;)

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  2. scusa posso fare dell'ironia?
    ma la pagano tutti in famiglia? il papà per una cosa, la figlia per l'altra... degli uomini così però non so cosa pensare....

    buon mercoledì

    ^_______^

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  3. questo post rispecchia un pò la realtà...rendendola un pò meno cattiva di com'è...

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  4. commuovente.
    e così tremendamente realistico da commuovere di piu'
    [di irreale c'è solo la banconota da dieci,credo..]

    vado ad ascoltare il pezzo,che non conosco,ma a questo punto immagino mi piacerà..

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  5. ..madò, come descrivi le cose tu mi cala 'na tristezza dentro... che poi, a dirla tutta, la verità è questa. e che noi si sta meglio a evitarla. però,però.. ti dirò. io mi metto in gioco, e spesso quando esco con mia madre vengo salutata da un mucchio di persone, senzatetto o alcolisti, che conosco grazie alle serate passate con loro alla stazione.. che non ti pensare che facevo, al massimo il thè caldo e un panino.. ma loro mi salutano felici, mi abbracciano. i miei mi guardano come fossi sciroccata. sai, a volte la banconota da 10 c'è. ma non ne parla nessuno. un abbraccio, geniaccio!

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  6. Fragilità. A volte è tutto così semplice.

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  7. Bella storia,triste,reale,bella...

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  8. ciao
    è molto bello l'incipit
    cmq non vivo a Amsterdam...sono solo i ricordi del fine setimana scorso!
    Non credo vivrei mai lì...

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