lunedì 8 febbraio 2016

Back to Amy





Amy - The Girl Behind the Name
(UK, USA 2015)
Titolo originale: Amy
Regia: Asif Kapadia
Genere: biodocupic
Se ti piace guarda anche: Cobain: Montage of Heck, Sugar Man, What Happened, Miss Simone?

Parlare di Amy Winehouse per me è dura. A distanza di quasi 5 anni, la sua scomparsa è una ferita ancora aperta, come se si trattasse di quella di un amico o un parente stretto. Tra le “morti VIP”, la sua è quella che mi ha fatto più male. Quando se n'è andato Kurt Cobain, nel 1994, ero troppo piccolo e ancora non ascoltavo la sua musica. Quando è venuto a mancare Stanley Kubrick, nel 1999, è stato un colpo molto pesante, visto che avevo scoperto da pochi mesi il suo cinema ed ero quasi ossessionato dai suoi film. Al punto che c'ho messo tipo una settimana buona per riprendermi. Poteva dare ancora qualcosa all'arte, come lo splendido Eyes Wide Shut dimostrava, però comunque aveva i suoi 70 anni e il suo top l'aveva già raggiunto. Discorso simile per David Bowie. La news della sua morte è stata una batosta, soprattutto subito dopo la pubblicazione di un nuovo lavoro parecchio vitale come Blackstar, ma se non altro aveva raggiunto quota 69 anni che, soprattutto per una rockstar che ha avuto la sua vita, non è poi così male.

Accettare la scomparsa di Amy Winehouse è stato qualcosa di ancora più tremendo non solo perché ho adorato lei e la sua voce fin dalla prima volta che ho sentito alla radio “Stronger Than Me”, ironica demolizione di tutti gli stereotipi maschili e femminili sotto forma di ballata jazz con base hip-hop. E non solo perché era diventata nel giro di poco tempo una delle mie più grandi icone.


E nemmeno soltanto per il suo enorme talento andato sprecato, visto che l'album “Back to Black” è un capolavoro totale ed è un po' il suo “Nevermind”, però al mondo avrebbe potuto offrire ancora molto. Doveva realizzare se non altro il suo “In Utero” e invece il suo disco numero 3 è rimasto incompleto e anzi, probabilmente, non aveva mai nemmeno iniziato a lavorarci sul serio.

La notizia del decesso di Amy è stata però devastante anche perché eravamo quasi coetanei. Lei del 1983, io del 1982, ed è stato come prendere atto per la prima volta sul serio di come anche noi ggiovani o più meno ancora quasi ggiovani possiamo andarcene in qualunque momento.
A rendere più insopportabile il tutto c'era poi il fatto che quella fine già la si conosceva. Quel destino era già scritto. La spirale autodistruttiva in cui era piombata era sotto agli occhi di tutti, dei suoi famigliari e discografici così come di noi semplici fan, eppure nessuno ha fatto niente. Ci siamo limitati a guardare l'inevitabile disastro succedere, e alla fine puntualmente è successo.

Il documentario Amy - The Girl Behind the Name fa rivivere Amy e ha il grande merito di offrircene un ritratto genuino in cui a parlare ci sono alcune testimonianze, ma soprattutto c'è lei. I momenti più belli e toccanti - sì, lo ammetto, è stato difficile trattenere le lacrime - sono i filmati in cui vediamo quella voce potente, incredibile, grandiosa uscire dal corpo fragile della piccola tenera Amy.
Basta! Non fatemelo ricordare, che se no mi metto a piangere. Di nuovo.


Amy - The Girl Behind the Name ci presenta la cantante, anzi la ragazza in tutta la sua disarmante innocenza, in tutta la sua genuina non curanza della popolarità, nella sua passione autentica per la musica, soprattutto quella jazz e quella de 'na vorta, nella sua sincera estraneità al resto della scena pop contemporanea. Non hanno prezzo l'espressione stupita che fa quando vede il suo idolo Tony Bennett presentare un Grammy Award per cui era nominata, così come le facce buffe che fa quando le parlano di Dido.


Questo documentario è però anche una visione drammatica, una delle esperienze cinematografiche più intense degli ultimi tempi, all'incirca quanto quella di Cobain: Montage of Heck. Anche in questo caso si sa già come andrà a finire la vicenda, eppure si spera fino all'ultimo che il finale, per miracolo, cambi. Si desidera che succeda qualcosa di inaspettato, un colpo di scena che riscriva la Storia, come fatto da Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria. Solo che non succede. Kurt è morto. Amy è morta. Niente può cambiare ciò, nemmeno un film. Life is a losing game.


A voler essere pignoli devo dire che, rispetto a Cobain: Montage of Heck, Amy - The Girl Behind the Name procede in maniera cinematograficamente meno fantasiosa. Il montaggio del materiale è fatto in modo molto accurato e sensibile, c'è uno splendido uso delle canzoni di Amy e una giusta attenzione data ai testi. Pezzi che suonano fin da subito come dei classici e sono dotati di una notevole profondità e maturità per una ragazza poco più che ventenne, eppure al loro interno sapevano contenere anche delle perle di umorismo. Per chi conosceva già bene la sfortunata storia di Amy, qui non ci sono però grosse novità. Per un personaggio, suo malgrado, pubblico e strafamoso come lei era d'altra parte difficile, se non impossibile, dire qualcosa di nuovo e suscitare un effetto sorpresa come quello dello splendido Sugar Man, dedicato a un artista sconosciuto o quasi ai più come Rodriguez.


Amy - The Girl Behind the Name non sorprende, questo no, eppure fa male, perché ancora una volta non si può far altro che assistere impotenti non solo a un talento tanto enorme, ma anche a una giovane vita così bella buttati via. Ed è una visione che fa anche bene, perché aiuta, se non ad accettare la sua morte, almeno a dare un senso di chiusura. Non è a questo che servono i funerali e pure i documentari sugli artisti scomparsi?
(voto 7,5/10)

7 commenti:

  1. Sinceramente, spero mi faccia incazzare molto meno di Montage of Heck, e che mi convinca di più.
    Resto comunque curioso, il personaggio se lo merita senza dubbio.

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  2. Mai stato un suo grande fan - ma io, in realtà, non sono un grande fan di nessuno: ci sono cose che mi piacciono e cose che non mi piacciono -, ma ricordo il dispiacere per la sua scomparsa e più di qualche canzone bellissima davvero. Spero di conoscerla meglio, umanamente e musicalmente, con questo documentario. Idem per Montage of Heck, che non ho ancora recuperato.

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  3. Da vedere assolutamente, per conoscerla meglio e anche, purtroppo, per rimpiangerla.

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  4. Un titolo che, purtroppo, non sono ancora riuscita a recuperare..

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  5. Visto qualche mese fa, confermo la difficoltà nel trattenere le lacrime. Io l'ho trovato un ritratto molto genuino della vita di Amy e questo ha significato anche non tralasciare gli aspetti più duri e difficili e i momenti più tristi della sua vita e carriera... che pena vederla sul palco strafatta e che rabbia verso coloro che lei amava ma che l'hanno solo sfruttata... merita di sicuro una visione, sia dai fan che da chi anche solo una volta si è soffermato ad ascoltare la sua splendida voce...

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  6. Non ho il coraggio di vederlo perché rischio di piangere a dirotto. Quando cantava toccava corde emozionali dentro di me, sarà che da giovane ho ascoltato molto jazz ma era come sentire Parker andato.

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  7. Sono assolutamente d'accordo sul fatto che Back to black fosse un assoluto capolavoro,e sul fatto che la morte di Amy sia un groppo difficile da digerire a tutt'oggi.Poteva dare ancora davvero tanto,al mondo.

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