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venerdì 13 ottobre 2017

Ho visto Il segreto, ma non è grave come pensate





Ho visto Il segreto.

Il segreto
(stagione 1)
Titolo originale: El secreto de Puente Viejo
(voto 10/10)


No regia, che cavolo mandi in onda?
Non è Il segreto che intendevo io. Quello ho provato a vederlo una volta, giusto per capire perché milioni di persone in Italia e in Spagna lo seguissero, e dopo pochi istanti sono rimasto vittima di convulsioni e mi hanno dovuto portare via con l'ambulanza. Altro non ricordo, se non che io non ho niente contro i programmi trash, ma qui siamo persino sotto al livello della telenovela piemontese trasmessa da Mai dire gol, Sogni d'amore.

lunedì 11 aprile 2016

Una notte con la Regina Elisabetta non è così un pain in the ass come si può pensare





Bu...bu...bu...buongiorno ca...ca...cari radiohead...radiologi...radioascoltatori...
O forse si dice solo ascoltatori e basta?
Diciamo buongiorno a tutti e a tutte, che così va meglio.
Sono il vostro caro Re Gio...gion...Jon Bon Jovi...no, ho sbagliato. Volevo dire Gio...Gio...Giorgio. Re Giorgio. Sì, quello famoso per Il discorso del re. Que...que...quello che ogni tanto si impomp...si impappina un po'. Però adesso sono migliorato. Sono stato in cura da un logopedof...ehm, un logopediat...intendevo dire un logopedista e ora la mia dizione come potete sentire è una bomba!

No, non intendevo una bomba vera! Sono qui per il motivo opposto. Sono qui oggi a fare questa fa...fa...fa...fuckin' trasmissione radio, anche se io odio parlare in pubblico, perché ho un importante annuncio da fare. O meglio, un doppio importante annuncio.
Il primo annuncio è: la guerra è finita.

domenica 10 agosto 2014

DELIVERY MAN, L’UOMO DAL SEME MAGICO





Delivery Man
(USA 2013)
Regia: Ken Scott
Sceneggiatore: Ken Scott
Ispirato al film: Starbuck – 533 figli e… non saperlo!
Cast: Vince Vaughn, Cobie Smulders, Chris Pratt, Britt Robertson, Jack Reynor, Matthew Daddario
Genere: clonato
Se ti piace guarda anche: Starbuck – 533 figli e… non saperlo!, Generation Cryo: Fratelli per caso

Delivery Man è un film inutile, ma nella sua inutilità riesce a rendersi utile. Questa pellicola è infatti la rappresentazione più cristallina della crisi, o meglio del vuoto creativo attuale che c’è a Hollywood. Con questo non intendo parlare del cinema americano in generale, capace di proporre cose interessanti soprattutto in ambito indie. Mi riferisco alle major cinematografiche che continuano a sfornare sequel, prequel, reboot o in questo caso remake la cui necessità sta sotto lo zero. Il riciclo delle idee è stato sempre fatto anche in passato, per carità non lo metto in dubbio. Solo in questo preciso momento storico si sono raggiunti nuovi impensabili picchi.

"Carino questo Starbuck. Perché non lo rifacciamo scena per scena?"
Delivery Man altro non è che il remake di Starbuck – 533 figli e… non saperlo!, pellicola canadese recentissima, uscita in patria nel 2011 e che in Italia è arrivata appena pochi mesi fa, da me tra l’altro puntualmente recensita. Non stiamo parlando di un film realizzato in Kosovo o in Transilvania, bensì di un film del Canada, nazione confinante con gli Stati Uniti. Se si sono sucati Celine Dion, gli americani per una volta potrebbero sucarsi anche una pellicola girata in lingua francese. Invece no. Piuttosto che doppiarli o vederli sottotitolati, gli yankee pretendono di vedere film solo ed esclusivamente in inglese, altrimenti al cinema non ci vanno, a parte per quella gran cacchiata de La passione di Cristo, che era in latino e aramaico ma se lo sono sparati ugualmente. Peccato che, per quanto fosse tutto in lingua English, gli americani non siano andati a vedere questo Delivery Man, che in patria si è rivelato un discreto flop e in Italia è uscito giusto ora in sordina nel periodo in cui molti multisala sono chiusi per ferie o, al massimo, trasmettono Transformers 4 a sale unificate.

"Se non facciamo almeno qualche cambiamento, se ne accorgeranno."
"Ma figuriamoci..."
Cosa cambia rispetto al film canadese?
Niente, o quasi. Il regista è lo stesso, il modesto Ken Scott che ha scritto anche la sceneggiatura, auto plagiando se stesso in un’operazione che ricorda quella fatta da Michael Haneke con le sue due versioni di Funny Games. Solo che in quel caso la versione fotocopia americana appariva come uno sberleffo punk del regista austriaco nei confronti del sistema hollywoodiano, mentre qui sembra più che altro un’operazione di asservimento nei suoi confronti. Con questo non sto dicendo che Ken Scott abbia fatto male. L’han pagato, spero per lui profumatamente, quindi ha fatto bene. Così come il pubblico ha fatto bene a ignorare questo film.

Se volete guardarvi una delle due versioni, andate su quella canadese. Non si tratta di una pellicola fenomenale, è una commedia piuttosto standard, però appare più genuina, mentre il remake americano sa di finto, di contraffatto. Sarà che l’effetto dejavu è stato per me particolarmente forte, visto che non sono passati molti mesi tra una visione e l’altra. Le differenze a livello di sceneggiatura sono quasi inesistenti. La storia è la stessa ed è anche carina. Un uomo con la sindrome di Peter Pan un giorno scopre che la sua fidanzata è incinta e poi scopre pure di essere già padre di 533 figli, frutto del suo amore solitario quando era un giovane donatore di sperma. Vicenda curiosa e ricca di spunti interessanti ispirata a un vero fatto di cronaca, che tra l’altro ha ispirato pure la reality-serie di Mtv Generation Cryo: Fratelli per caso, e sviluppata in maniera piuttosto efficace nella pellicola canadese. In quella americana non cambia praticamente nulla, se non qualche dettaglio. Uno dei figli del protagonista ad esempio è un campione di basket anziché di calcio. Poi naturalmente si è deciso di prendere per questa versione USA degli attori famosi…

"Hey, come diavolo avrà fatto Cannibal a capire che per scrivere
la sceneggiatura di Delivery Man è bastato fotocopiare quella di Starbuck?"
Famosi, insomma, più o meno: Vince Vaughn è una stella ormai in fase calante, se mai è stato una stella, e tra l'altro era stato curiosamente il protagonista di un altro remake fatto pari pari di un film giusto un pochino più importante, un certo Psyco, mentre Cobie Smulders di How I Met Your Mother, Chris Pratt di Everwood e Parks and Recreation e la teen-gnocca Britt Robertson di Under the Dome, Life Unexpected e The Secret Circle sono volti noti al pubblico telefilmico, ma per l’americano medio sono nomi anonimi quanto quelli degli attori del film canadese, quindi non si può nemmeno parlare della presenza di interpreti di enorme richiamo per giustificare questa (fallimentare) operazione commerciale.
A parte il cast e poco altro, tutto è uguale rispetto alla pellicola originale, tranne una cosa. Sarà per via della produzione di Spielberg e della sua DreamWorks, eppure in questo Delivery Man tutto appare più ruffiano, ripulito, buonista. Potere di Hollywood.
(voto 4,5/10)

venerdì 25 luglio 2014

TRANSGENDERS 4 – L’ERA DELL’EVIRAZIONE





Transformers 4 – L’era dell’estinzione
(USA, Cina 2014)
Titolo originale: Transformers: Age of Extinction
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Cast: Mark Wahlberg, Nicola Peltz, Jack Reynor, Stanley Tucci, Kelsey Grammer, Titus Welliver, T. J. Miller, Sophia Myles, Bingbing Li, Jessica Gomes
Genere: robotico
Se ti piace guarda anche: gli altri Transformers, Pacific Rim, Noah

La serie di Transformers a me fa lo stesso effetto di quanto possono fare dei mattonazzi russi stile La corazzata Potëmkin sulla gente normale. Tre ore di robot che parlano e combattono sarebbe “cinema d’intrattenimento”? Io non riesco a immaginare niente di più noioso.
Pensare che il primo tempo del primo film della serie mi era anche piaciucchiato abbastanza. Sarà che era ricco di umorismo e Shia LaBeouf sembrava il giovane cazzaro giusto al momento giusto. O sarà che c’era Megan Fox. Sì, sarà per quello. Fatto sta che già dal secondo tempo di quella pellicola, dominata da una lunghissima, estenuante, interminabile guerra tra robottoni giganti, la serie dimostrava di essere una cagata pazzesca. Impressione confermata dal pessimo sequel e ancora di più dal terzo allucinante episodio, in cui non c’era più manco la consolazione di vedere Megan Volpe. Tre ore, forse anche più, di robot che si danno delle mazzate e una trama che a me è sembrata del tutto incomprensibile. Altroché i film di Lynch o Malick o Aronofsky.
Anche perché va bene la sospensione dell’incredulità, ma come si fa a prendere sul serio dei robottoni giganti che discutono?
È la stessa cosa che si deve chiedere Barack Obama quando si ritrova a colloquio con il Premier italiano Matteo Renzi e questo si mette a parlargli così…



Barack Obama può prendere sul serio un uomo del genere per decidere le sorti del nostro mondo?
E io posso prendere sul serio un film con dei robottoni, o meglio dei veicoli alieni parlanti già passati di moda negli anni Ottanta, che vorrebbero decidere le sorti del nostro mondo?

"Basta, non siete reali. Le auto non possono parlare.
Voci, uscite dalla mia testa!"
Rispetto agli episodi precedenti, questa volta giunta al quarto appuntamento la saga si è transformata e propone delle grandissime novità…
No, non è cambiato il regista. Al timone c’è sempre Michael Bay. Purtroppo. A essere cambiato è il protagonista, non più il simpatico – oh, che volete? a me sta simpatico – Shia LaBeouf, bensì l’action hero preferito dal regista, Mark Wahlberg. Cambio della guardia anche per quanto riguarda la gnocca, in questo caso la teen-gnocca. A raccogliere il pesante testimone dell’insuperabile Megan Fox e della bella ma recitativamente irrilevante Rosie Huntington-Whiteley c’è questa volta la giovanissima Nicola Peltz. Può suonare un po’ gay dirlo, però Nicola è proprio affascinante.
La bionda scoperta dalla serie Bates Motel non è l’unico volto telefilmico ingaggiato dal Bay. Insieme a lei ci sono il funny T. J. Miller della nerd comedy Silicon Valley, in cui veste un identico ruolo da cazzaro combinaguai, e l’ottimo Kelsey Grammer ex protagonista di Boss, in cui aveva un identico ruolo da gran bastardo.
La parte con gli umani tutto sommato funziona. Il rapporto tra padre padrone, un inventore fallito come il papà nei Gremlins, e figlia che vorrebbe zoccoleggiare con il boyfriend ma non può è la parte migliore della pellicola. Ricorda le commedie con Adam Sandler, solo che qui c’è Mark Wahlberg in un similare ruolo da classico americano vecchio stampo. Ricorda poi soprattutto Armageddon, con il “triangolo” Bruce Willis/Liv Tyler/Ben Affleck che qui rivive attraverso i citati Mark Wahlberg e Nicola Peltz, più la novità Jack Reynor, che sarà anche un bel ragazzo, ma come attore è ancora tutto da verificare.

Michael Bay quindi clona se stesso, ma se non altro clona il se stesso migliore, quello di Armageddon. Le cose per quanto mi riguarda vanno peggio, molto peggio, quando entrano in scena tutti ‘sti robottoni inguardabili. Il problema di Transformers sono… i Transformers.
Lo so che il pubblico della saga è accorso in massa nei cinema a vedere proprio loro, però a me fanno pena. A stare a guardare questi camion che dialogano tra loro facendo i finti simpatici, sento che quei pochi neuroni che ancora abitano nel mio cervello mi fanno “Ciao ciao” con la manina.

La prima parte del film, quella più “umana”, è quasi quasi decente, almeno rispetto agli standard della saga, e fa diventare questo quarto capitolo il migliore dai tempi del primo episodio. Nella seconda parte come al solito si degenera in un’assurda guerra robotica tra Pessimus Prime con i suoi amichetti e tutti gli altri, con un sacco di esplosioni e inseguimenti senza fine. Va dato atto a Michael Bay di aver cercato di realizzare un film più intimista, per quanto gli è possibile con il suo tatto da elefante, e così le battaglie si sono fatte più rallentate. Il risultato è meno fracassone del solito, e questa è una buona notizia, ma a Michael Bay andrebbe comunque vietato l’uso del ralenty che tra l’altro, a ormai 15 anni dall’uscita del primo Matrix, è ormai stra-sorpassato.

"Chissà perché Cannibal Kid ci odia tanto?
Eppure siamo così simpatici e tenerosi!"
Per essere un film sui Transformers, questo L’era dell’estinzione non è nemmeno troppo male. Per essere considerato Cinema vero e proprio, la strada è invece molto lunga. Ridatemi allora i film di Lynch, Malick e Aronofsky. Anzi, di quest’ultimo magari no. Se qualche settimana fa mi avessero detto che l’ultimo di Darren Aronofsky sarebbe stato peggio del quarto capitolo di Transformers, avrei gridato alla bestemmia e invece… invece Transformers 4 è un pelino meglio di Noah. In entrambi i casi si tratta comunque di cinema cui è stata evirata una componente fondamentale: la credibilità. Credibilità, elemento che anche in un contesto fantasy può essere ben presente, si vedano Il signore degli anelli o Game of Thrones, sostituita da una serie di Gormiti, Transformers, Kaijū usciti da Pacific Rim e altri improponibili giganti vari. I protagonisti di un’era cinematografica cui auguro una rapida estinzione.
(voto 5-/10)
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