3. Il Paradiso
Una notte inquieta. Il cielo si riempì di nuvole. Niente più stelle in cielo. Niente più stelle visibili, perlomeno. Niente falò con la chitarra. Tutti in casa. La suora-capo suggerì ai ragazzi di inventarsi qualche gioco e passare lì la serata, mentre lei e le altre suore si godevano una puntata in spagnolo del loro programma preferito: Séptimo cielo.
“A che giochiamo?” chiese Holly.
“Prepariamo uno spettacolo in stile circo…” suggerì Franklin. “Io posso fare la scimmia!”
“Non dire stronzate, Frank,” lo interruppe Mitchell, bruscamente. Si accese una paglia e saltò sopra il tavolino posto in mezzo al salone in cui si erano riuniti. “Lo so io, a cosa possiamo giocare,” annunciò solenne dall’alto della sua posizione di supremazia.
Tutti lo guardarono stupefatti. Stupefatti e curiosi. L’unica a cui la proposta di Mitch non pareva interessare un granchè era Joan. Se ne stava da sola in un angolo a leggiucchiare uno dei suoi libri da intellettuale. Un minimo incuriosita comunque lo era, al punto da alzare pure lei lo sguardo sul tavolo in mezzo al salone aspettando la patetica proposta di Mitchell.
“Allora…” chiesero alcune ragazze. “Vuoi dirci che hai in mente o ci vuoi far star qui ad aspettare tutta la sera?”
Mitch finì con calma di fumarsi la paglia. Sapeva che creare suspence era un meccanismo fondamentale se si voleva essere considerati dei grandi leader. Sapeva però anche, come gli aveva insegnato il sindaco della cittadina tedesca in cui i ragazzi vivevano nonché suo padre, che non bisognava esagerare. Altrimenti il pungiglione delle persone andava in giro a cercare sangue più fresco.
“Ecco a cosa potremmo giocare,” si decise quindi a parlare, tossicchiando vistosamente. Anche se si atteggiava, non era abituato a fumare paglie. “Cough, cough,” tossì. Ecco. Adesso sì che l’attenzione dei ragazzi se ne stava scemando. “7 minuti in Paradiso!” annunciò infine.
“7 minuti in Paradiso?” chiesero in coro Kristin & Holly. “E che razza di gioco sarebbe?”
“Non li vedete i film americani?” chiese retoricamente Mitchell, scotendo vistosamente la testa. “Uno di noi gira la bottiglia e si va a chiudere per 7 minuti nello sgabuzzino insieme alla persona che è uscita. Chiunque esca. Non ci si tira indietro.”
“Una sorta di gioco della bottiglia…” disse Joan. “Roba per ragazzini.”
“No, Joan,” temporeggiò Mitch pensando a cosa ribatterle. Quindi trovò: “È una versione adulta del gioco. Insomma, qui non si tratta di darsi bacetti innocenti. Ci si chiude in uno sgabuzzino per 7 lunghi minuti. E in 7 minuti, come ben sappiamo, si può anche fare un bambino.”
“E questa scemenza dove l’hai sentita?” chiese Emily, la compagna di letto a castello rompicazzo di Joan.
“Beh, l’ho letta su Playboy,” tagliò corto Mitch. “Quindi è vera.”
7 minuti in Paradiso, si chiama il gioco. Ma possono anche diventare 7 minuti all’inferno. Dipende tutto da chi ti viene fuori quando giri la bottiglia.
Michael se ne era stato per tutto il tempo in silenzio. Lui che mai aveva fatto neppure il gioco della bottiglia. Si sentiva così bimbo.
“Non sei abbastanza grande,” gli echeggiava in testa la voce lagnosa dei genitori. Realizzò una cosa cui mai aveva pensato seriamente: e se avessero ragione loro? E se avessero sempre avuto ragione loro? Forse lui non era ancora abbastanza grande. Forse sarebbe dovuto stare a casa, al sicuro, invece di stare lì a giocare a 7 minuti in Paradiso con tutte quelle ragazze sexy. “E se esco io? Cosa diavolo faccio, se esco io?” si stava chiedendo.
“Comincio io!” gridò Mitchell, interrompendo una volta per tutte i paranoici pensieri da lattante di Michael.
Tutti i ragazzi e tutte le ragazze si disposero in cerchio, visibilmente eccitati. Anche Joan ripose il suo libro russo nell’angolino buio del salone e si accinse a partecipare al gioco. Chissà chi le sarebbe uscito? “Magari Michael,” rise tra sé e sé.
7 minuti in Paradiso ebbe inizio ufficialmente quando Mitch prese la bottiglia di Vodka alla fragola che le ragazze si erano scolate la sera precedente in spiaggia. La Absolut mezza vuota girò vorticosamente. Proprio non voleva saperne di fermarsi. Tutti guardarono in ansia la bottiglia che finalmente rallentava la sua folle corsa e si fermava. Franklin. Si fermava su Franklin. Risate generali. Mitchell spalancò gli occhi stupefatto e disse: “Dobbiamo rifare… De-de-devo rifare…” cominciò a balbettare imbarazzato.
“E no,” si impose Joan. “Chiunque esca, non ci si tira indietro. Sono le tue parole.” Lo pietrificò con quei suoi occhi azzurri da cielo in tempesta. “Sono le tue regole.”
“Non è giusto,” disse solo Mitch, oramai rassegnato. Era difficile ribattere a una come Joan.
Mitchell e Franklin vennero spinti dentro lo sgabuzzino. Joan chiuse a chiave la porta alle loro spalle. Quando uscirono, 7 lunghi minuti in Paradiso dopo, erano stranamente silenziosi e subito si allontanarono l’uno dall’altro. Qualcosa era successo lì dentro. Già.
“E va bene,” fece Mitch incazzato. “Questa è fatta. Adesso tocca a te, mia cara Joan.”
Joan prese tra le mani la bottiglia di Absolut e disse sicura di sé: “Non vedevo l’ora,” facendo l’occhiolino a Michael. O almeno, a Michael era sembrato che gli avesse fatto l’occhiolino, ma non ne era sicuro. Magari semplicemente le era entrato un moscerino. Quei dannati pungiglioni sempre in cerca di sangue nuovo.
Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, Michael giù per terra. La bottiglia si fermò a un centimetro, ma che dico, a un millimetro dal suo piede. E però era già entrata nel territorio di Mitchell.
“Allora esiste una giustizia divina!” gridò lui rianimandosi improvvisamente dallo stato comatoso in cui era finito da quando era venuto fuori dallo sgabuzzino con Franklin.
Joan diede una boccata alla bottiglia. Finì la poca vodka rimasta in un sol sorso e si alzò svogliata.
“È ciò che ti meriti, Joan,” la spinse Emily. Era proprio una rompicazzo. Su questo, nessun dubbio.
Si sentirono delle urla e dei rumori strani, durante quei 7 minuti in, uhm, Paradiso.
“Sei proprio un maniaco, Mitch,” disse solo Joan quandò uscì, allontanandolo da sé.
Mitch uscì tutto sorridente, tirando fuori la lingua come un Kiss assatanato. Diede il 5 alto a tutti i ragazzi della colonia, Michael compreso. Non a Franklin, che era stato per 7 lunghi minuti con il volto corrucciato. Aveva anche smesso con i suoi soliti versi da scimmia ritardata.
“E adesso… a te, piccolo Michael.” Mitch consegnò la bottiglia magica nelle manine del nostro giovane surfista. “Questo è il tuo momento. Non mi deludere, campione.”
Michael prese la bottiglia tra le sue manine che tremavano vistosamente. Respirò. Contò uno due tre quattro cinque, come diavolo va avanti? Ah, già: sei sette otto nove. Niente sembrava funzionare. Era un bagno di sudore e la bottiglia stava per guizzargli via dalle mani manco fosse un’anguilla.
“Forza,” lo incitò anche Joan. “Gira la bottiglia, magari sarai fortunato.” Gli fece di nuovo l’occhiolino. O forse le era entrato un altro dannato moscerino? Smise di farsi domande e finalmente girò la bottiglia. Una volta lasciata si sentì incredibilmente sollevato. Era fatta. Qualunque persona sarebbe uscita oramai era fatta. Il suo destino non era più nelle sue mani, ma solo in quel vortice di emozioni alcooliche.
Nonostante ci avesse messo tutta la sua forza, la bottiglia terminò rapidamente la sua girandola. Accarezzò brevemente le Converse rosse di Joan, per finire sui piedini nudi della ragazza seduta immediatamente dopo: Kristin. La Kristin del duo Kristin & Holly, per intenderci. Quella sera le era spuntata una herpes mostruosa sul labbro superiore. Qualcosa di decisamente anti-bacio.
Kristin sorrise tutta eccitata e prese la manina di Michael. Insieme varcarono la soglia dello sgabuzzino. La porta dietro di loro si chiuse come per magia, lasciandoli soli nel più completo totale spaventoso buio. Michael non vedeva nulla, né sapeva minimamente che doveva fare. Meno male che Kristin sembrava intendersene più di lui. Molto più di lui. Trascinò la manina inesperta di Michael sotto la sua maglietta. Non portava il reggiseno. I suoi capezzoli erano piccoli ma duri. Michael si sentiva un po’ in imbarazzo a tastarglieli così. In fondo però era lei che lo aveva invitato lì sotto. Quindi, al diavolo le buone maniere! Le setacciò ogni millimetro di quelle tettine sode e improvvisamente si sentì “Grande abbastanza.”
Sorrise nel buio anche se nessuno poteva vederlo e prese il controllo della situazione. Sbattè Kristin contro la parete probabilmente piena di ragnatele (chi lo sa? non si vedeva un accidente lì dentro) e la baciò in bocca, dimenticando completamente il piccolo particolare dell’herpes. Era il suo primo bacio vero. Quelli alla mamma non contavano.
Kristin rimase piacevolmente sorpresa da quello scatto da vero uomo vero di Michael. Per dimostrargli tutto il suo apprezzamento gli infilò la mano nei pantaloni e cominciò a strofinarglielo. Michael sentì una grande illuminazione. Non era un’illuminazione metaforica. La porta dello sgabuzzino si era aperto. Tutti i ragazzi li stavano fissando sconvolti. Joan era a bocca aperta. Mitch era lì che applaudiva: “E bravo il mio piccolo Michael. Lo sapevo che mi avresti dato soddisfazioni, fratello.”
Kristin finalmente aprì gli occhi e si accorse pure lei che la porta era stata aperta. I 7 minuti in Paradiso erano volati. Subito ritrasse la mano da dentro i pantaloni di Michael e il suo volto divenne rosso Ferrari.
Alle spalle dei ragazzi sbucò fuori la suora-capo. La splendida puntata in español di Séptimo cielo era terminata e le suore erano state attirate in salone dalle urla e dal vociare dei ragazzi.
“Ma che diavolo sta succedendo, qui dentro?” urlò la suora-capo diradando la folla. Michael e Kristin si ricomposero immediatamente. “Tutti a dormire, adesso. Domani è l’ultimo giorno e la sera ci attende un lungo viaggio.”
In gran silenzio, i ragazzi e le ragazze si infilarono velocemente nei loro letti. Era stata una serata particolare. Folle, per certi versi. E per una persona non era ancora finita: Joan. Come al solito saltò giù dal suo letto a castello, tra gli sbuffi di disapprovazione di Emily la rompicazzo del letto di basso e si infilò in un altro locale della movida canticchiando la sigla di Séptimo cielo. Era l’ultima notte. Era l’ora di follia e depravazione. Follia e depravazione.
(e domani ultimo episodio)
(e domani ultimo episodio)
Nessun commento:
Posta un commento