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lunedì 18 febbraio 2019

Io non sono Mia, ma vi parlo di Io sono Mia




Io sono Mia
Regia: Riccardo Donna
Cast: Serena Rossi, Maurizio Lastrico, Nina Torresi, Dajana Roncione, Antonio Gerardi, Edoardo Pesce


Sai, la gente è strana. E soprattutto, la gente è stronza. Conoscevo solo marginalmente le voci che circolavano intorno a Mia Martini. Sì, quelle che dicevano che portasse sfiga. Non immaginavo però fino a quali conseguenze avevano portato nella sua carriera. Negli ultimi tempi va di moda dire che “grazie” ai social network è tutto un proliferare di fake news. Un proliferare di malignità gratuite. Persino un intellettuale del livello di Umberto Eco, qualche anno fa, disse le famose, ma più che altro famigerate parole: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli”.

venerdì 4 novembre 2016

L'allieva supera la maestra Shonda Rhimes





L'allieva
(serie tv, stagione 1)
Soggetto: Peter Exacoustos, Alessia Gazzola
Sceneggiature: Peter Exacoustos, Cecilia Calvi, Valerio D'Annunzio, Vinicio Canton
Tratta dai romanzi: L'allieva - Sindrome da cuore in sospeso e Un segreto non è per sempre di Alessia Gazzola
Cast: Alessandra Mastronardi, Lino Guanciale, Dario Aita, Martina Stella, Francesca Agostini, Emmanuele Aita, Marzia Ubaldi, Pierpaolo Spollon, Ray Lovelock, Giselda Volodi, Michele Di Mauro, Fabrizio Coniglio, Chiara Mastalli, Jun Ichikawa, Anna Dalton
Genere: comedy-medical-thriller
Se ti piace guarda anche: Grey's Anatomy, Tru Calling, Il diario di Bridget Jones, La signora in giallo


Mi accingo a fare l'autopsia di una serie tv. La prima stagione de L'allieva ha infatti appena tirato le cuoia su Rai 1.

lunedì 24 ottobre 2016

I Medici – Peste Is Coming





I Medici – Masters of Florence
(serie tv, stagione 1, episodi 1 e 2)


La Rai presenta I Medici, la sua nuova serie internazionale con un cast stellare, capitanato da Dustin Hoffman...

mercoledì 18 marzo 2015

BRACCIALETTI ROTTI





Braccialetti rossi
(serie tv, stagione 2)

Braccialetti rossi è una serie che funziona. Meno rispetto alla prima stagione, però funziona. È una visione diabolica ed è proprio questo il motivo del suo successo. Se dalle immagini dei protagonisti pelati vi immaginate che parli di un gruppo di giovani naziskin vi dico che no, parla invece di ragazzini malati, per lo più di cancro. A questo punto potrete immaginarvi una serie che punta sul patetico, sul melodrammatico ed è proprio così. Il suo bello è quello. L'altro pregio è il coinvolgimento che riesce a creare, pur con tutti i suoi limiti.

Non sono uno di quei fan che gridano "Oh mio Dio Braccialetti Rossi!!!". Mentre la guardo riesco a riconoscere tranquillamente i suoi difetti. Il più evidente, oltre agli attori adulti che fanno quasi tutti pena, è una colonna sonora terrificante che conferma quanto di pessimo sentito nel corso della season 1. Le canzoni di Niccolò Agliardi usate per la sigla e come accompagnamento di alcune scene sono una roba che al confronto Cristina D'Avena sembra Bob Dylan. E poi ci sono pezzi di Emma, Paola Turci, Francesco Facchinetti e c'è persino Vasco. Per fortuna Davide (Mirko Trovato), il ragazzino suo fan, ha lasciato le penne sotto i ferri durante la prima stagione. Per fortuna non che sia morto, poverino, ma che almeno non offra più spunti per far sentire i pezzi del Blasco, se non un accenno di “Ogni volta” che gli altri braccialetti rossi sopravvissuti gli dedicano durante un falò in spiaggia.

mercoledì 11 gennaio 2012

Il tredicesimo apostolo: Il codice da Alessio Vinci

Il tredicesimo apostolo
(stagione 1, episodi 1-2)
Rete: Canale 5, il mercoledì sera
Cast: Claudio Gioè, Claudia Pandolfi, Luigi Diberti, Stefano Pesce, Tommaso Ragno, Toni Bertorelli, Yorgo Voyagis
Genere: paranormal italianity
Se ti piace guarda anche: X-Files, Fringe, Il codice da Vinci

"Io voglio solo capire quello che sta succedendo e perché.

Fede e scetticismo. C’è chi ha la prima, Beato (è proprio il caso di dirlo) lui/lei, io faccio parte della seconda categoria. Ci sono cose in cui credo, come il cinema di Quentin Tarantino, la voce di Thom Yorke o le tette di Kirsten Dunst, cose religiose a modo mio di questo tipo, però il più delle volte tendo a essere diffidente. A non credere in generale a niente, fino a che non l’ho sperimentato o visto in prima persona. Anche io ogni tanto compio dei vari Atti di Fede, come quando compro titoli di stato italiani ad esempio, però è molto raro.
Fede e scetticismo, una grande contrapposizione proposta anche nella nuova fiction di Canale 5 Il tredicesimo apostolo, in cui i due protagonisti sono un uomo religioso, interpretato da Claudio Gioè (già tra La meglio gioventù) e una tipa più, come dire?, profana/atea/scettica/razionale, in cui ritroviamo Claudia Pandolfi, una delle poche attrici italiane che quando la vedo non mi fa venire voglia di fuggire all’estero.
È con quest’ultimo punto di vista, quello scettico ovviamente, che mi sono avvicinato a questa fiction italiana, parole che già al solo vederle impresse sullo schermo del PC mi provocano immediati brrrrrrr-brividi lungo tutta la spina dorsale.
FICTION ITALIANA
ripetete dopo di me
FICTION ITALIANA
l’avete sentito anche voi quel brivido, vero?

Mi son detto: faccio finta, anzi faccio fiction (uahahah, che giocone di parolone!) di non sapere che si tratta di una fiction italiana e me la guardo come se si trattasse di una produzione americana o britannica.
Sì, come no?
Vabbè, facciamo che me la guardo come se si trattasse di una produzione spagnola o francese, che ci può anche stare.
Mi decido a vedere Il tredicesimo apostolo dopo aver saputo che alla prima puntata ha fatto registrare oltre 7 milioni di spettatori ed è diventato subito un caso mediatico e quando succedono cose di questo tipo la mia curiosità mi spinge a indagare. Per citare il protagonista della fiction: “Io voglio solo capire quello che sta succedendo e perché.” Così me lo guardo, però non su Canale 5 bensì in streaming, per 2 ragioni:
1) Non voglio far aumentare l’auditel del Biscione.
2) Il pensiero di vedere un programma con in mezzo le pubblicità ormai mi causa più brividi del termine FICTION ITALIANA.

"Qualche figa e qualche parolaccia di troppo,
però non è male come dicono, 'sto Pensieri Cannibali..."
E allora dopo tutte 'ste paranoie lo guardo e ci sono subito queste musiche avvolgenti che fanno molto Misfits, intendo quelle partiture epiche di archi, non le canzoni electro-rock, lì sarebbe davvero troppo per Canale 5! Musiche anche un po’ sullo stile di quelle di Hans Zimmer per i vari Batman, in grado di coinvolgere e mettere tensione anche se non sta succedendo un bel nulla.
La storia entra subito nel vivo, senza perdere troppo tempo a introdurci i personaggi, con le loro personalità e il loro misterioso passato che ci verranno disvelati solo più in là. La trama mixa in maniera abile il paranormale con la tematica religioso-cristiana, piatto forte che ci piaccia o meno della cultura italiana, e lo fa senza essere troppo paracula o ruffiana nei confronti del Vaticano. Lo stile è un po’ quello alla Dan Brown, così come la regia di modello ricalco-americano somiglia a quella de Il codice da Vinci. Insomma, roba che non c’è da gridare al “Miracolo!” mistico, però abbastanza per rimanere davanti allo schermo senza troppi sbadigli e senza pensare tutto il tempo che le fiction italiane fanno davvero schifo.

Il protagonista è un teologo che insegna all’università ma è anche un gesuita, una sorta di versione religiosa del Dr. House (ugualmente sicuro di sé, va pure in moto, ma è molto meno stronzo e ironico e non zoppica) con tanto di assistenti so-tutto-io che gli danno una mano a risolvere i misteri. Perché ‘sto tizio, non contento di prendersi lo stipendio ecclesiastico e quello universitario, nel tempo perso è pure una sorta di detective dell’occulto, convocato dalla Curia, o meglio dalla Congregazione della Verità, per indagare su casi inspiegabili e presunti miracoli. Fossi in Monti io gli farei un bel controllo a sorpresa per vedere se è in regola con tutti i lavori (qualcuno lo farà mica in nero?) o se invece sotto c’è un miracolo di quelli all’italiana.

Si fanno o non si fanno? CeRRRto che si fanno!
Nel corso di una di queste indagini, che riguarda il misterioso caso di due bambinetti che… levitano (bambini che levitano in una fiction di Canale 5? Questa non me l’aspettavo!), il nostro Dr. House-pretone si imbatte in una psicoterapeuta-assistente sociale, Claudia Pandolfi of course. Se lui oltre che il Gregory House è anche un po’ il Mulder della situazione, lei diventerà la sua Scully. Tensioni sessuali comprese, ma certo che sì! Se non ci metti un po’ di tensione sessuale, con il prete che fa tanto Uccelli di rovo e ho detto uccelli, chi lo guarda?
Ma chi si cela dietro a un prodotto orchestrato con tanta diabolica cura?
Chi, se non l’uomo che ultimamente sembra aver intercettato il gusto degli italiani meglio di ogni altro...
Silvio Berlusconi?
Quella pagina per fortuna l’abbiamo voltata.
Mario Monti?
Ma và!
Rocco Siffredi?
No…
Un'immagine recente di Pietro Valsecchi
Pietro Valsecchi?
Esatto, proprio lui.
Ma chi è Pietro Valsecchi?
Pietro Valsecchi è un uomo che in questo momento per prima cosa si starà contando tutti i soldi che ha fatto, e poi per seconda cosa è il produttore di varie fiction italiane, dai RIS ai Liceali, nonché dei film multimilionari di Checco Zalone e del successo a sorpresa dei botteghini italiani degli ultimi mesi, ovvero I soliti idoti. Uno che insomma di marketing e di come vendere un prodotto ne sa qualcosina e che de Il tredicesimo apostolo oltre che producer è pure ideatore del soggetto. O magari ha semplicemente “sgraffignato” l’idea a qualcun altro, ma questo mistero potrebbe diventare l’argomento di una delle prossime puntate della fiction, quindi non starò a indagare più di tanto. Fatto sta che ancora una volta ha fatto centro nei gusti degli italiani, con una serie che ha fatto registrare subito ascolti da non dico finale, ma almeno da semi-finale di Champions League sì.

Quello che mi preme sottolineare, e non sono nemmeno stato pagato per farlo (maledizione!) è che Il tredicesimo apostolo è una serie che funziona. È accattivante, frulla ingredienti vari già visti e rivisti altrove, dal citato Codice da Vinci ai cult del paranormale come Fringe o X-Files (la prima puntata in particolare ricorda lo splendido episodio Il signore delle mosche con nel cast Aaron Paul futuro Breaking Bad!) , però lo fa con quell’italianità nelle storie e nei personaggi capaci di renderlo appetibile al pubblico nazional-popolare ed è grado di intrattenere anche chi cerca un prodotto non dico eccellente, ma almeno una via nostrana a una serialità televisiva decente. I due protagonisti poi se la sfangano più che bene, mentre gli altri attori mi hanno ricordato che tra le produzioni italiane e quelle, per dire, inglesi c’è ancora un divario ben più largo del canale della Manica.
"Sorella, mi dica: guardare Canale 5 è peccato?"
E allora sono partito con tutti gli scetticismi del caso come la Pandolfi e alla fine mi ritrovo a promuovere mio malgrado questa serie. Come la Pandolfi fa nei confronti del Dr. House-pretone. Almeno, l’inizio. I primi due episodi mi hanno convinto. Che poi continui a seguirla con affezione, questo è un altro paio di maniche. Che poi il suo successo generi presto tutta una serie di altre fiction mostruose ricalcate malamente su questo modello, già di suo non troppo originale, è pure questa un’altra questione.
La mia prima recensione dell’anno è quindi una sorpresa assoluta.
Pensieri Cannibali che promuove una fiction italiana?
Si è venduto? Pure lui si è sputtanato?
Credete quello che volete, tanto è sempre tutta una questione di Fede. E di scetticismo.
Io, da scettico, dico che Pensieri Cannibali si è smerdato. Poi, voi siete liberi di Credere quello che volete…
(voto 6+/10)


sabato 25 dicembre 2010

Natale commerciale

25 dicembre. Una buona occasione per rispolverare un mio “classico” raccontino natalizio, scritto nel 2008 quando lavoravo in un centro commerciale. Ma tranquilli, non è autobiografico.
Forse.

Natale al centro commerciale
Tutti amano il Natale. Non Jason. Tutti odiano Jason. E lui odia il Natale.
Suo papà in quel tragico anno 1994 doveva portargli il Game Boy scendendo giù per il camino travestito da Santa Claus, ma gli sbirri l’hanno beccato la vigilia con dei travestiti a pagamento. Niente Game Boy per Jason. Niente Natale felice con la famigliuola riunita intorno all’albero illuminato. Un bel niente di niente. Solo un padre trattenuto in prigione, una madre fuggita via lontano lontano per la vergogna e una casa vuota che se non si ha la fantasia di Macaulay Culkin è solo una tristezza. Jason allora quell’anno promise vendetta. Vendetta contro il Natale.

14 anni dopo, Jason era diventato un post-adolescente atomico ed era entrato in una cellula terroristica di piccole dimensioni ma di grandi ambizioni. Tra i progetti per l’immediato futuro aveva la distruzione immediata di qualcosa come un migliaio di persone. Obiettivo: il centro commerciale della sua città. Giorno: la vigilia di Natale.
Era stato Jason stesso a proporre il piano ai suoi colleghi terroristi. Quello era il luogo perfetto in cui un sacco di gente si sarebbe accalcata per comprare gli ultimi incerti regali. E quello era il giorno perfetto. Avrebbe rovinato il Natale a tutti quanti. “BUAHAHAHAH,” rideva tra sé e sé come i cattivi dei film. In ogni angolo del globo la notizia sarebbe rimbalzata veloce come una pallina da ping-pong e sarebbe discesa da tutti i camini al posto di quel vecchio lardoso con la barba bianca.
Durante i sopralluoghi effettuati per studiare la strategia d’attacco migliore, Jason guardava con disprezzo tutte quelle persone che non volevano altro che un Natale-Guitar Hero felice come in uno spot pubblicitario. Se lui non l’aveva mai potuto avere, perché gli altri avrebbero dovuto? Non gli sembrava affatto una cosa giusta.

L’unico con cui parlava volentieri all’interno di quel non-luogo in quel non-posto era il vecchio signor Evil. Anche Evil sembrava odiare il Natale dal profondo del suo cuoricino: sua moglie la notte della vigilia di molti anni prima stava tornando a casa per aprire i regali insieme a lui come ogni anno, quando un finto Babbo Natale ubriaco centrò in pieno la sua auto. Da allora il signor Evil aveva cominciato a bere e il periodo delle feste era diventato quello più duro da superare. Nemmeno i suoi figli oramai volevano più incontrare quel vecchio alcoolizzato rabbioso e tutti i Natali finiva per passarli insieme alla sua unica compagna rimasta, la fida bottiglia di Jack Daniel’s.
Jason passava dal suo negozietto di cianfrusaglie di tanto in tanto e gli sentiva l’odore dell’alcool addosso. Promise quindi a se stesso che quell’anno il signor Evil non avrebbe dovuto sopportare un altro triste e solitario Natale. Quell’anno sarebbe saltato in aria insieme a tutti i clienti e agli altri dipendenti dell’ipermercato: jingle bells, jingle all the way.

La sera del 23 dicembre, Jason si travestì da Babbo Natale e i suoi colleghi terroristi da elfi. Indisturbati, passarono sotto gli occhi delle guardie del centro commerciale e suscitarono i sorrisi dei bambini. Rapidamente, piazzarono la carica esplosiva sotto l’enorme albero addobbato a festa piazzato proprio al centro dell’ipermercato. Mentre stava andando via con disinvoltura natalizia, Jason fu fermato da una voce. Era quella del signor Evil, che riconobbe il suo inconfondibile volto da post-adolescente atomico sotto quella finta che non poteva ingannarlo.
“Ragazzo! Ma tu non lo odiavi, il Natale?” gli domandò Evil.
“Già, ma per soldi si fa questo e altro…”
“Beh, visto che lo spirito natalizio ormai si è impossessato del tuo corpo, perché domani non vieni al mio pranzo della vigilia?” Alla domanda di Evil, Jason sentì percorrersi da un brivido. Quindi passò: “Si è impossessato del mio corpo, ma non della mia anima.”
“Oh, andiamo… Ti aspetto domani per mezzogiorno. Sai dove abito.”
Il giorno dopo Jason suonò alla porta del vecchio Evil. Inaspettatamente, quando la porta si aprì non sentì il suono di un profondo pozzo di solitudine ma un gran schiamazzo di risate tipicamente infantili.
“Accomodati,” sorrise Evil. “Sapevo che alla fine saresti venuto.”
Evil aveva deciso di smetterla una volta per tutte di bere e aveva invitato nella sua enorme casa vuota i bambini orfani del quartiere. A ognuno aveva preparato un pacchettino con dentro un regalo e tutti sembravano felici come forse mai prima in vita loro. Il signor Evil consegnò un pacchetto anche a Jason. Sopra il pacchetto c’era persino scritto il suo nome. Jason tolse la carta dalla confezione con una strana eccitazione addosso. Le mani gli tremavano. Erano anni che non riceveva un regalo di Natale. Quando levò tutta la carta di dosso, il regalo rimase lì davanti ai suoi occhi tutto nudo: era un vecchio Game Boy, quello che aveva sempre sognato di ricevere. Guardò i bambini che lo stavano circondando, trattenne una lacrima e poi si concentrò sull’orologio: era quasi ora che il signor Evil tornasse al lavoro dopo la pausa pranzo ed era quasi ora che lui raggiungesse i colleghi terroristi per premere il bottone magico. Tra due ore il centro commerciale sarebbe saltato per aria. Negozio del signor Evil compreso.

Ore 16:55. Vigilia di Natale. L’ipermercato era pieno di gente, come previsto. La frenesia degli ultimi acquisti era lì dentro i loro occhi. Jason li passava tutti in rassegna, uno ad uno. Sapeva cosa sarebbe successo a quegli occhi di lì a 5 minuti e sorrideva. Però adesso doveva uscire, per godersi lo spettacolo dalle retrovie.
Alle ore 17 e 00 Jason, seduto sul sedile del passeggero di un SUV parcheggiato appena fuori dal centro commerciale, schiacciò il bottone magico che faceva partire la detonazione. I suoi colleghi terroristi lo fissavano con eccitazione e con quel pizzico di invidia per non essere stati i fortunati prescelti a poterlo premere. BOOM. Si sentì il rumore di una grossa esplosione, seguito da qualche lungo istante di quiete.
Poi si sentì ridere. AHAHAHAH. Una irrefrenabile e contagiosa risata proveniva dall’interno dell’ipermercato anziché le previste urla di morte, terrore & disperazione.
“Che diavolo sta succedendo, lì dentro?” chiese uno dei colleghi terroristi, ancora vestito da elfo per mimetizzarsi con l’ambiente natalizio.
“Andiamo subito a vedere,” fece un altro elfo.

Quando il gruppetto di terroristi elfi entrò dentro il centro commerciale vide una scena che non avrebbe mai immaginato. Il rosso era dappertutto, ma non era l’atteso rosso sangue di centinaia di vittime innocenti. V’erano ovunque dei coriandoli rossi che saltavano fuori dal gigantesco albero di Natale in cui sarebbe dovuta deflagrare la bomba. I bambini stavano con il naso all’insù e facevano la doccia sotto quei coriandoli. Jason andò in mezzo a loro e cominciò a danzare. Il signor Evil lo guardava e sapeva che quel ragazzo aveva a che fare con l’esplosione, in qualche modo che non sapeva bene spiegarsi. Non appena i magici coriandoli di Natale si poggiarono sui loro volti, i colleghi terroristi elfi cominciarono a bruciare come vampiri al sole, mentre Jason smise i panni di post-adolescente atomico e ritornò bambino. Per ore rimase lì a danzare e danzare ancora insieme agli altri ragazzini, insieme ai coriandoli e insieme al vecchio signor Evil. È stato il Natale più bello della loro vita.

Jimmy Eat World - Last Christmas by KROQ

lunedì 1 novembre 2010

Sarah

(ogni riferimento a cose o a persone realmente esistenti non è che sia molto casuale)

Mi chiamo Sarah. Ho 15 anni. Quando apro gli occhi guardo subito il cellulare: è il 26 agosto. Evvai. Fuori c’è il sole e tra un’ora parto per il mare. Oggi sarà una splendida giornata. Me lo sento. Melosento davvero, anche se per queste cose di solito non ci prendo molto. Ieri ho litigato con mia cugina ma spero che adesso sia tutto a posto. A me in fondo l’Ivano nemmeno interessa. Neanche un poco. È solo che è l’unico a non trattarmi come una stupida bambina. E poi a me piace un altro. Forse per lui è vero amore. Chi lo sa? Io lo so. Tutto il mondo lo sa. Tranne lui. Chissà se io gli interesso? O se mi vede anche lui solo come una ragazzina senza tette?
Mi incammino per strada. Mi infilo le cuffiette nelle orecchie. Parte “Teenage Dream” di Katy Perry e penso a lui, mentre lui non starà pensando a me. Non passa nessuno. L’unica auto che incrocio è quella di una coppietta. Sembrano felici. O almeno, è così che immagino la felicità. Ci scambiamo uno sguardo e penso a quante persone là fuori potrebbero cambiare la nostra vita in un solo istante. Con una sola parola, un solo gesto. Poi arrivo a casa di Sabrina. È in garage che mi aspetta. Mi invita a entrare. Dice che ha una cosa da farmi vedere. “Non dovremmo aspettare Mariangela fuori?” le chiedo. Ma lei dice che devo assolutamente entrare, è troppo importante. Allora entro. Sono una tipa curiosa. Nell’ombra vedo zio Michele. La serranda del garage si chiude alle mie spalle. Diventa tutto buio e confuso. Dopo non ricordo più niente.

Apro gli occhi. Guardo subito il cellulare: è il 31 ottobre. Caspita, ma oggi è Halloween! È la mia festa preferita, il giorno in cui mi posso mascherare e fingere di essere un’altra persona. Una che non vive nella merdosa Avetrana. Mi stiracchio nel letto. Scendo le scale. Non sento nessun rumore. “Mamma?” chiamo. “Ci sei?” Nessuna risposta. Sarà uscita a far la spesa. Apro il frigo, prendo il cartone del latte e lo verso nella tazza. Accendo la tv. Mtv: niente di interessante. Canale 5: hey, ma quella è Sabrina? Che ci fa in tv? È diventata famosa? È diventata famosa! Ecco io lo sapevo che ce la faceva. Lei diceva sempre “No no, non sfonderò mai. Non avrò mai successo,” e invece io ero convinta che ce l’avrebbe fatta. Dev’essere finita al Grande Fratello. O qualcosa del genere. Che importa? Alla fine ce l’ha fatta. Ha realizzato il suo sogno. Sono contenta. Se lei ha realizzato il suo, significa che anche io un giorno potrò realizzare i miei. Ora come ora nemmeno so quali sono. Adesso non mi viene in mente nulla. Ah, sì: vorrei essere amata. Amata veramente. Tipo, da un ragazzo. Uno che mi guarda comeneifilm. Come se fossi l’unica al mondo. E poi vorrei andare via di qua lontano e vedere com’è il mondo. Ci sono altre immagini di Sabrina alla tele, ma l’audio non funzione e non sento cosa dice. Piange e sembra una di quelle attrici di Cento Vetrine. Mi sembra davvero brava. Metto Italia 1 e c’è mio Zio. Mio zio Michele che ci fa in tv? No, lui al Grande Fratello non possono averlo preso. È troppo vecchio. Brutto, anche. O magari hanno fatto come qualche anno fa che c’erano padre e figlia insieme. Sì, dev’essere così. Ma perché non si sente? Stupido televisore. Cambio canale, metto Raiuno Raidue Raitre. Mamma… Mamma! Mamma? No mamma in televisione non ha senso. E perché ha quella faccia gelata? Dev’essere successo qualcosa di brutto. Qualcosa di terribile. Non l’ho mai vista così. Quella non è mia mamma. Quella non è la mamma che conosco. Provo ad alzare il volume, ma niente. Non va. L’avevo detto io di far aggiustare la tele. Ma mai nessuno che mi dà retta. Un momento, in sovrimpressione compare una scritta: “Famiglia massacrata ad Avetrana.” Oh no. “Alla madre sono stati cavati gli occhi”. Comincio a sentirmi male. “Al padre è stato strappato il cuore dal petto.” Strappato, ci sta proprio scritto. “Il cadavere gettato in fondo a un pozzo.” Oddio. Sto male. Perché succedono cose brutte alle persone buone? “Figlia strangolata con una corda. Fino a che ha smesso di respirare.” Sabrina? Smessodirespirare? Leggo e sento freddo. Gira tutto intorno a me. Non sento più forza nel corpo. Mi manca il fiato. Non riesco a respirare, qualcuno mi aiuti. Non riesco più a gridare, mi hanno rubato la voce. O forse sono rotta, come il televisore. L’avevo detto io che c’era qualcosa che non andava. Ma mai nessuno che mi dà retta.

Apro gli occhi. Guardo subito il cellulare: è il 26 agosto. Ancora il 26 agosto. È stato solo un brutto sogno. Un sogno terribile. Tiro un sospiro di sollievo. Mi sono immaginata tutto. Fuori c’è il sole e tra un’ora si va al mare. Oggi sarà una splendida giornata. Me lo sento. Oggi sarà una giornata di quelle che ricorderemo tutti fino alla



fine

domenica 31 ottobre 2010

Halloween Halloween

(Ecco un mio classico raccontino di Halloween. L'avevo già proposto in passato, ma se non l'avete ancora letto eccolo qui leggermente aggiornato)

“La paura è una delle emozioni primarie. E come le altre emozioni si può imparare a controllarla.” Se avessi un dollaro per ogni volta che il Dr. Steinberg mi ha ripetuto questa frase adesso sarei stufo di essere ricco. Frase che è una grandissima stronzata, diciamocelo. La paura non può essere controllata. Un’altra cosa che mi ripete sempre il Dr. Steinberg è che ci sono diversi modi per definire la paura, a seconda del suo grado di intensità: c’è il semplice spavento, gli attacchi di panico, il terrore puro e poi c’è la paranoia. Lo spavento è una cosa breve, a volte basta un attimo e già se n’è andato. Lo spavento non è niente. Gli attacchi di panico sono improvvisi e non sono dovuti a nessun motivo particolare. Vengono e basta. Ma tempo mezzora e sono passati. Mi fanno una sega. Quando arriva il terrore l’uomo diventa come un animale. Non sei più in grado di distinguere tra il bene e il male. Agisci e basta, senza pensarci. La paranoia invece è la percezione di essere perseguitati sempre e ovunque da un mostro che ti insegue fino a non riuscire a farti vivere.

Con le parole del Dr. Steinberg che girano ancora per la testa insieme ai miei due soliti fedeli neuroni vado a prendere mio figlio da Stephanie, la mia ex. Mi ha mollato perché diceva che sono mentalmente instabile. Grandissima stronzata pure questa. Quando apre la porta sembra sorpresa: “Sei arrivato in anticipo,” mi dice col fiatone. Si tira su una spallina dell’abito rosso che ha indosso, quello che le avevo regalato io molto tempo fa. Dopo un po’ sbuca fuori Michael, il suo nuovo “compagno”. Si tira su la patta dei pantaloni. Mio figlio invece “non c’è ancora. Oggi aveva il dopo scuola. L’hai dimenticato come fai sempre con tutte le cose?” Dico che no, “non me ne sono dimenticato. Ho preso le mie pastiglie, oggi.” Agito il tubetto mezzo vuoto di pasticche. “Vedi?” Poi arriva. Insieme ad una ragazzina bionda mai vista prima. Si stanno scattando delle foto col cellulare, probabilmente per metterle su Facebook. “Chissà se se la fa?” mi chiedo. Mio figlio si chiama Eugene (non guardate me, il nome l’ha scelto la madre…) ha 12 anni, ascolta i Paramore (lo so perché ha indosso una loro t-shirt), su myspace il suo nickname è Black Nightmare e ha 3.227 amici (almeno fino alle 11 di stamattina quando ho controllato che qualche pervertito non gli avesse lasciato dei commenti sconci). E basta. Non credo di sapere altro su di lui. Quella strega di sua madre non me lo lascia vedere molto spesso. Anche il giudice ha sentenziato che sono “mentalmente instabile” e io in aula ho gridato “Grandissima stronzata. Ma che è? Vi siete messi tutti d’accordo per dire la stessa maledetta bugia?” Stasera però la strega e Michael devono andare alla festa di Halloween organizzata dagli amici di lui (considerata la sua età, sospetto si tratti di una cosa della confraternita) e siccome anche Ashley la baby-sitter tettona stasera ha da fare (probabilmente sarà pure lei a quella festa), Stephanie ha pensato di concedermi la possibilità di “Fare il padre, per una volta. Almeno provaci,” mi ha detto. E dunque eccomi qui a fare “dolcetto o scherzetto” insieme a questo tween che non conosco per niente. Provo a farci due chiacchiere: “Hey, giovanotto. Chi era quella bionda? La tua fidanzatina?” Lui mi guarda shockato e mi fa: “Stai parlando di Tiffany?” scuote la testa. “Certo che no, mioddio.” Tempo qualche mese o forse solo qualche giorno e cambierà idea. Gli ormoni prenderanno il sopravvento. In ogni caso, primo tentativo di approccio da parte mia: fallito. Sposto l’argomento su Halloween: “Cosa vuoi indossare per andare in giro?” Lui scrolla le spalle incurante: “Mamma ha detto che sei tu quello bravo con i travestimenti e anche con i cambiamenti di personalità. Non ho capito esattamente di che stesse parlando ma credo mi potrai dare una mano.” Quella strega dovrebbe smetterla di dire stronzate sul mio conto, ma almeno grazie a questo mio potere mutante ho l’occasione giusta per diventare il padre figo dell’anno. Prima però devo trovare un travestimento all’altezza.

Andiamo al negozio del vecchio Joe, quello dove mio padre mi portava sempre a scegliere i vestiti per Halloween. A quei tempi la scelta era tra i Ghostbusters, Michael Jackson e Batman. Oggi la scelta è tra il vampiro di Twilight, il lupo mannaro di Twilight, Lady Gaga, il cantante dei My Chemical Romance e il Joker. Ma la maschera di oggi che mi terrorizza di più è certamente quella da Sarah Palin. Se avessi una femmina penso proprio che gliela farei indossare. A Eugene (ma che razza di nome!) dico invece che col Joker quest’anno va sul sicuro. Lui accenna un “ok” non troppo convinto, come se qualunque vestito non avrebbe cambiato lo stato delle cose: una noiosa serata a rendersi ridicolo insieme al vecchio anziché essere alla festa strafica col “patrigno” e i suoi amici a mala pena maggiorenni. “Bene Joker, why so serious?” gli chiedo vedendo il suo volto corrucciato. Lui coglie il riferimento e mi accenna quasi un sorriso. Andiamo a prepararci per la serata nel mio appartamento. È la prima volta che ci entra e va subito in salone a spulciare nella mia vasta collezione di cd e dvd. “Non siamo poi così diversi,” sembra suggerire il suo sguardo. Io esco dalla mia camera vestito da Batman. Eugene mi guarda come se fossi pazzo. Grandissima stronzata, io non sono pazzo. “Non sono uguale a Christian Bale?” gli chiedo e stavolta lo vedo tutto il suo sorriso. Finisco di mettergli il rossetto sbavato sulle labbra e siamo pronti a sfoggiare i nostri costumi in strada. Appena fuori vedo un flash. Qualcuno ci sta scattando delle foto. Ma dov’è? Cerco di vedere da dove sia arrivata la luce accecante ma è impossibile individuarla in mezzo al muro di marmocchi vestiti da Justin Bieber accompagnati da adulti nascosti sotto le maschere da Obama, Snooki di Jersey Shore o cosi blu di Avatar.

Andiamo a bussare alla porta della signora Anberlin, la mia anziana vicina di casa. “Signora Anberlin, dolcetto o scherzetto?” Non risponde. Mi accorgo che la porta è soltanto socchiusa, così entro. È tutto buio, le uniche luci arrivano dalle lanterne di Jack che sbucano inquietanti qua e là per la casa, io però mi muovo con sicurezza, come se quel posto mi fosse familiare. Eugene sta defilato dietro ai miei pantaloni. Quando mi giro a guardarlo fa il suo solito sguardo indifferente, ma mi sa che se la sta facendo sotto. “Signora Anberlin, ce l’ha qualche dolcetto da darci?” Entriamo in soggiorno e non si vede un accidenti. Eugene inciampa su qualcosa e finisce a terra, lamentandosi per il dolore al ginocchio. Una luce si accende. Seduta su una poltrona compare inquietante la signora Anberlin, cornetta del telefono appoggiata all’orecchio. “Ho già chiamato il 911,” minaccia. “Ma signora, sono il suo vicino.” Lei prova a guardarmi nell’oscurità ma non riesce a vedermi. “Questo dovrai dimostrarlo ai poliziotti, non a me,” mi intima. Prendo Eugene per mano e ce la filiamo fuori. “Questa è proprio svitata,” sorride Eugene. Il dolore al ginocchio se n’è già andato. “Che spavento quando l’ho vista in faccia!” mi confida in uno di quei momenti padre-figlio che ho sognato ogni giorno di questi ultimi 12 anni.

Tornati in strada vedo Tiffany, l’amichetta di mio figlio. È vestita da Hannah Montana. “È carina, vacci a parlare,” suggerisco a Eugene. Lui fa “Naah,” ma lo vedo che ha voglia di andare a salutarla. “Dai, io ti aspetto qui. Prometto di non farmi vedere.” Eugene è lì, insieme alla sua Hannah Montana, e da qualche parte arriva la musica di Nightmare Before Christmas e tutto è così perfetto. E poi, succede ancora una volta. Quando tutto sembra andare bene nella mia vita lui compare. All’inizio striscia come un’ombra. Quindi diventa carne. Lo vedo comparire dietro Eugene. Vengo colto da un attacco di panico e me ne resto lì paralizzato. La piccola Hannah Montana guarda terrorizzata alle spalle di mio figlio. Eugene si gira e mi vede “Oh, quello è solo mio padre,” la rassicura. L’ombra che striscia è sparita nel nulla. Ci siamo solo io, Eugene e la bionda. Gli facciamo “ciao ciao” con la manina e ce ne andiamo. “Avevi promesso che non saresti comparso,” si lamenta Eugene. “Qui non è sicuro,” gli faccio io, guardandomi in giro torvo. “Non è che incominci con uno di quei tuoi attacchi? Com’è che li chiama mamma?” ci riflette su, poi sentenzia: “Ah si, attacchi di paranoia.” Le sue parole affilate fanno a pezzettini il mio ego. “Non devi ascoltare quello che dice tua madre sul mio conto. Sono tutte stronzate,” riprendo il controllo della conversazione. Dopotutto tra noi due quello adulto sono io. “È solo che io sono il cavaliere oscuro e vengo fuori dall’oscurità.” Adulto, ma fino a un certo punto. “Buahuahuah,” mi metto a sghignazzare. Lo faccio ridere ancora una volta. È un nuovo record! In lontananza vedo una casa con il giardino ripieno di ragazzi sfatti e di macchine parcheggiate a caso. “Dev’essere una festa,” penso. “Dev’essere LA festa della confraternita,” realizzo. “Andiamo un po’ lì a fare dolcetto o scherzetto,” suggerisco a Eugene. Dal tono del suo “ok” direi che è tornato al solito stato da zombie pre-adolescente indifferente a tutto.

Bussiamo alla porta e veniamo accolti da un quarterback ubriaco: “Bei costumi ragazzi, entrate! Io intanto me ne vado a fare un giro sulla mia Mercedes nuova,” fa sventolando le chiavi. Ci accomodiamo in salotto. Alcune ragazze stanno ballando e si stanno baciando su "I Kissed a Girl" di Katy Perry. Copro gli occhi di Eugene, poi mi chiedo “Ma che sto facendo? Queste sono cose che DEVE vedere.” Gli tolgo la mano dagli occhi e ce ne stiamo tutti e due lì imbambolati per un bel po’. Veniamo interrotti dalla voce da strega di Stephanie: “E voi che ci fate qui?” A cui seguono frasi del genere “Ma ti sembra un posto in cui portare un bambino?” cui io replico “Ti sembra il posto in cui portare una quasi-quarantenne?” e il mio sguardo va a incrociare quello del suo “compagno” Michael. Seguono alcuni bicchierini di Jack per calmarmi, Eugene-Joker che viene accarezzato e vezzeggiato “Ma che ragazzino carino!” dalle tipe che prima si baciavano, qualche flash che mi acceca, fiumi di birra, un paio di pezzi di Drake e altre studentesse sexy che ballano. Fino a che Stephanie ci prende e ci porta fuori: “Ho sbagliato a fidarmi di te,” punta il suo dito accusatore. “Adesso riportalo a casa e poi salutalo, perché è l’ultima volta che lo vedi.”

Sulla strada di casa siamo così un Batman e un Joker un po’ tristi, ma Dio sa se ce la siamo spassata! Ci avviamo verso il mio appartamento per toglierci i costumi, quand’ecco che rivedo Tiffany-Hannah Montana. È insieme a un uomo che non riesco a vedere bene perché se ne sta nell’oscurità. Mi avvicino, ma è come se il suo volto stesse sempre di spalle. Però ne sono sicuro: è l’ombra che mi perseguita. Sempre la solita. Adesso che è diventata carne e ossa prende la manina di Tiffany e se la porta via. “Seguiamoli,” faccio a Eugene. “Ma di chi diavolo stai parlando?” mi chiede lui. “Della tua amichetta, insieme a quel tizio.” Li indico mentre fuggono via. “Intendi Tiffany?” fa Eugene guardandosi intorno. “Sono due ore che io non la vedo.” “Era lì,” gli faccio e corro verso quella direzione. Li scorgo mentre entrano nella casa della signora Anberlin. L’uomo ha in mano un coltello. La porta è ancora semiaperta. Entro ed è sempre tutto così maledettamente buio, non vedo un tubo. “Tiffany!” grido. “Dove sei?” Non arriva nessuna risposta. Allora ritento: “Hannah?” grido sempre più forte. “Hannah Montana, ci sei?” Il terrore si è ormai totalmente impossessato di me. Sento dei rumori. Non vedo Tiffany, né Hannah Montana, però scorgo l’ombra che mi perseguita. La sento respirare, è davanti a me. Le luci si accendono improvvisamente. Adesso riesco a vedere il volto dell’ombra. È la mia faccia, rinchiusa in uno specchio proprio di fronte a me. “Eccolo!” grida la signora Anberlin. “È lui, arrestatelo.” Alcuni poliziotti sbucano fuori dal nulla e mi mettono le manette ai polsi. Fuori è un casino di sirene, luci e flash che immortalano il mio volto. Il mio volto. Il volto dell’ombra che mi perseguita da sempre. Sono io. Il mio peggior nemico, la causa di tutte le disgrazie della mia vita sono io.

Cerco di vedere dietro ai flash. Ci sono Tiffany ed Eugene che mi stanno scattando delle foto. “Ragazzi, state bene?” chiedo loro. Non ricevo risposta, chè sono già spinto dentro la volante degli sbirri. La mattina seguente, in carcere ricevo la visita di Stephanie. “E Eugene?” le chiedo. “Dov’è Eugene?” “L’hai lasciato in mezzo alla strada,” mi grida, evitando di rispondere alla mia domanda. “Dov’è Eugene?” provo a ripeterle. “Come hai potuto? Nemmeno da te mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Il Dr. Steinberg dice che sono tre mesi che non ti fai vedere.” “Sì, lo so. Ho fatto una stronzata, come al solito. Ma Eugene dov’è?” comincio a preoccuparmi. “È passata una Mercedes. Un ragazzo ubriaco uscito dalla festa.” Mi fa lei. Il quarterback. La Mercedes nuova. So già come sta per finire quella frase. “Li ha presi sotto. È morto. Eugene è morto. E anche la sua amica, Tiffany. Come hai potuto lasciarli lì da soli?” mi chiede in lacrime e mi fissa, fino a che il tempo per le visite finisce. Mi riportano in cella. Sono accusato di essermi introdotto più volte in casa della signora Anberlin negli ultimi mesi e di averle rubato soldi e gioielli per potermi comprare degli psicofarmaci contro la paranoia e contro i vuoti di memoria. Paradossalmente me ne sono scordato. Questo spiega perché la casa della signora Anberlin mi sembrava così familiare. Naturalmente sono anche accusato di abbandono di minore. Quanto basta per farmi restare qui dentro un bel po’. Dentro questa cella piccola e fredda, dove però non sono solo. Ci sono Eugene e Tiffany che ogni tanto mi fanno visita e mi scattano delle foto da mettere su myspace. C'è il Dr. Steinberg che mi incoraggia “Puoi controllarla! Se ti impegni puoi sconfiggere la paura,” e stronzate del genere. C’è anche uno specchio alla parete. Dentro vedo la mia faccia che continua a ripetere: “Sei tu, sei sempre stato tu. E l’hai sempre saputo.”

venerdì 29 ottobre 2010

Ho ammazzato la cheerleader - Parte seconda

(Un mio racconto di Halloween in 2 parti, leggi la PRIMA)

Più tardi, nel garage di Jeremy.
“È tutto pronto?” Krispin, impaziente come un liceale che sta per perdere la verginità.
“Dannazione. Ancora non riesco a credere che mi hai convinto a farlo!” Jeremy, in versione stregone, stava mescolando uno strano intruglio.
“Amico, in fondo al cuore sai che questa è la cosa giusta. Devi solo cercare dentro te e guardare nel profondo. Ti meraviglierai di ciò che puoi trovare. E poi, non dimentichiamo che tutta questa storia degli incantesimi per farsi spompinare è partita da te, Mister Moralità. Io nemmeno sapevo che esistesse una cosa simile… A proposito, su che sito hai trovato l’incantesimo?”
“Uff,” Jeremy nella sua solita versione sbuffante.
“E va bene. Ogni mago ha i suoi trucchetti. Errore mio, facciamo che non te l’ho mai chiesto. Hey, si tratterà mica di quel sito di porcelline coreane che ti ho consigliato io?”
“Uff uff,” ancora Jeremy, ancora sbuffante.
“Ok, ok. Ti sto deconcentrando, lo so. Ora mi tappo la bocca e ti lascio concludere il tuo magico incantesimo. A proposito… ci vorrà ancora molto?”
Jeremy pucciò un dito nell’intruglio fumante. “Sì, mi sembra pronto.”
“E ora? E ora?” Krispin l’impaziente.
“Ora verso qualche goccia della pozione sulla foto dell’annuario di Lizzy Grable.”
“Lizzy Grable? Ommioddio… È la mia cheerleader preferita!”
“Lo so benissimo, pezzo di coglione. È per questo che ho scelto proprio la sua foto.”
Boom. Una grossa esplosione. In mezzo al fumo che si dirada per il garage sgangherato di Jeremy, si materializza Lizzy Grable, in carne e ossa.
“Ommioddio… ci sei riuscito.” Krispin rimase per la prima volta in tutta la serata, e forse in tutta la sua vita, senza parole.
Cinque minuti di sguardo da pesce lesso dopo, Lizzy Grable lo prende per mano e lo porta su dalle scale.
“Credo… credo che andremo in camera tua a… a… a fare del sesso, amico,” balbettò Krispin. Lo faceva solo quando era davvero, davvero emozionato.
Jeremy si ritrovò lì in garage, da solo. Si mise a sfogliare l’annuario della scuola, così per passare il tempo. Quando capitò sulla pagina dei giocatori di football. Alla vista di quella serie di facce dagli zigomi perfetti e dai capelli perfettamente pettinati all’indietro, lo gettò a terra.
“Dannati loro. Hanno tutto quello che vogliono, senza bisogno di incantesimi, e nemmeno se ne rendono conto.” Per il nervoso, Jeremy diede un calcio alla pozione, che si riversò sulle pagine aperte dell’annuario scolastico. “Ooooops.”
Subito dopo aver serrato il garage, corse sopra a bussare alla porta di camera sua. Era chiusa a chiave. “Krispin, aprimi. Presto! Abbiamo un problema.”
“Uff,” stavolta era Krispin a sbuffare, mentre apriva la porta semi-vestito. “Tu e i tuoi problemi. Beh, che c’è?”
“Dobbiamo andarcene di qui. Subito. Le foto dell’annuario si sono animate!”
“Fantastico, amico! Ciò significa un sacco di cheerleader vogliose tutte per noi,” sorrise Krispin, in versione Mitch Buchannon il piacione di Baywatch.
“Vedi, non sei a conoscenza di un piccolissimo dettaglio: l’annuario in quel momento era aperto sulla pagina dei giocatori di football. E non mi sembrano affatto amichevoli quanto le cheerleader.”
Rumori. La porta del garage era stata sfondata. I giocatori di football stavano salendo su per le scale rumorosamente.
“Presto,” fece Jeremy, spingendo Krispin e la sua cheerleader zombie avvolta nelle lenzuola verso la finestra. “Usciamo di qui!”

Lo strano trio corse fuori nell’oscurità. In giro non c’era più nessuno. Halloween aveva lasciato giusto qualche strascico. Rotoli di carta igienica avvolti intorno ai rami degli alberi nei giardini e uova marce rotte contro le finestre dei vecchietti avari che avevano scelto “scherzetto” anziché “dolcetto”.
Un irreale silenzio li circondava. Finalmente un po’ di tranquillità. L’esercito di giocatori di football sembrava esser stato seminato. Poteva quindi scattare il momento confessioni.
“Allora, amico. Com’è andata con la cheerleader dei tuoi sogni? Spero di non avervi interrotto mentre…”
Krispin fece: “No, no. Avevamo già finito.”
“Già finito?”, Jeremy, lo stupito. “Oooh, non è una cosa positiva” realizzò poi. “Coraggio, amico. Sono cose che capitano anche ai migliori.”
“Beh, grazie,” Krispin, in versione imbarazzo portami via lontano da qui.
“Perlomeno la tua cheerleader non ha perso le braccia,” constatò Jeremy, girandosi verso di lei.
“Ehm,” lo interruppe. “Ho dimenticato di mostrarti una cosa.”
Krispin levò il lenzuolo dal corpo di Lizzy Grable. Oltre a essere totalmente nuda, non aveva più le braccia.
“Però è viva. Strano…” riflettè Jeremy.
“C’è anche una cosa che non ti ho detto,” fece con un filo di voce Krispin. “Forse so perché è ancora viva.”
“Racconta, che stai aspettando?” Jeremy, impaziente come una pensionata alla fine di una puntata di Beautiful.
“Ehm, è un po’ imbarazzante.”
“Ti ho chiamato nel mezzo della notte per dirti che una cheerleader mi è morta in mezzo alle gambe mentre mi stava spompinando. Credi che a questo punto mi faccia ancora problemi riguardo a qualche cosa?”
“Ok. Ti dico quello che è successo: Lizzy si è spogliata ed, ehm… eravamo sul punto di farlo. Io ero mooolto eccitato ed ehm… non so se mi spiego. Sono venuto. Allora lei, molto paziente, mi ha pulito e poi ha cominciato a succhiermi beh, lì sotto. È stato in quel momento che le sono cascate le braccia.”
“È capitato anche a me. So di cosa stai parlando. Ma poi? Che è successo poi?”
“Beh, io sono venuto un’altra volta. Sulla sua faccia. Mentre lei stava perdendo le braccia. Lo so, è una cosa malata, ma non sono riuscito a trattenere l’eccitazione.”
“Vuoi dirmi che credi sia stato il tuo sperma a tenerla in vita?”
“No, amico. Dopo è successo qualcos’altro.”
“Sono tutto orecchi.” Jeremy e la sua più completa attenzione.
Krispin proseguì il racconto: “Dopo che le sono cadute le braccia stava diventando debole, sempre più debole. La vedevo morire davanti a me e non c’era niente che io potessi fare per farla stare meglio ed è stato a quel punto che le ho detto…”
“Cosa? Che cosa le hai detto?”
“Le ho detto: “Ti amo, Lizzy Grable. Ti amavo quando eravamo in prima elementare e tu non mi rivolgevi nemmeno la parola. Ti amavo alle medie quando ti ho tirato le trecce bionde e tu con un destro mi hai steso e ho dovuto passare il resto dell’anno scolastico in ospedale. Ti amavo quando fino a ieri mi toccavo guardandoti chiuso in un armadietto buio degli spogliatoi mentre tu avevi finito uno dei tuoi allenamenti. Ti ho sempre amato e ti amerò per sempre, Lizzy Grable.”

Ecco, dopo averle detto tutte queste cose lei si è rianimata ed è tornata ad essere una cheerleader zombie in piena forma. Quindi, sei arrivato tu, hai bussato alla porta e hai spezzato il nostro momento di intimità.”
“Beh, scusa.”
“Non fa niente, Jeremy. In fondo è camera tua. O dovrei dire: era, camera tua. Dopo il passaggio di tutti quei giocatori di football inferociti non so cosa ne sia rimasto.”
“Grazie per avermici fatto pensare, amico.”
“Fortuna che i tuoi sono andati via, questo weekend. Hey!” gridò Krispin.
“Che c’è?” chiese Jeremy, preoccupato.
“Pensi che stiano facendo sesso, in questo momento. Tuo padre e tua madre, intendo. Iiih, che schifo…”
“Krispin!” Jeremy in versione urlo di Munch.
“Forse ho esagerato. Scusa, amico. Non avrei dovuto dire quelle cose sui tuoi geni…”
“Krispin, abbassati!”
Grazie al suggerimento dell’amico, Krispin evitò per un pelo un grosso giocatore di football zombie che gli stava volando addosso. Quindi spuntarono fuori anche tutti gli altri. Ormai erano circondati.
“Ci sarà pur qualcosa che possiamo fare per fermarli,” pensò a voce alta Krispin. “In fondo, noi due siamo dei quasi geni. Pensa solo all’incantesimo che siamo riusciti a fare. Loro invece, loro sono solo un ammasso di muscoli che di cervello ne avevano poco già da normali. Figuriamoci in versione zombie.”
“A me non viene in mente nessuna soluzione, amico. Sicuro che siamo dei geni?”
“No. Ho usato il termine quasi geni proprio perché non ne sono sicuro.”
“Più che quasi geni, mi sa che siamo quasi spacciati.” Jeremy guardò tutti quei giocatori di football sempre più vicini e poi il suo sguardo si posò su Lizzy Grable, la cheerleader senza braccia ma ancora in vita. E realizzò. “Lizzy Grable!” si mise a gridare.
“Sì, è una gran figa, anche se è una storpia senza braccia,” fece Krispin. “Mi dispiace che la tua cheerleader sia deceduta in circostanze poche fortunate, ma non ho intenzione di dividere Lizzy con te. Senza offesa, amico: lei è mia.”
“Non è questo che intendevo,” fece Jeremy mentre scansava a fatica un grosso energumeno rabbioso. “Ripensavo a ciò che hai fatto. Le hai detto che la ami. Esattamente ciò che ogni ragazza, anche una ragazza zombie, vuole sentirsi dire. Sono state le tue parole a salvarle la vita e allora saranno delle altre parole a mettere fine alla patetica esistenza di questi stronzi.”
“Hai ragione. Ma cos’è che un giocatore di football non vorrebbe mai sentirsi dire?”
“I tuoi muscoli sono flaccidi!” gridò Jeremy. Uno zombie cominciò ad arrancare.
“Hai un inizio di calvizie!” urlò Krispin. Un altro zombie giù per terra. “Hey, amico: funziona!”
“Avete perso una partita, anzi, avete perso l’intero campionato,” Jeremy con tutto il fiato in gola. Un gruppetto di giocatori morti sul colpo.
“Tutti in biblioteca” gridò poi Krispin. E di giocatori di football non ne rimase in piedi nemmeno uno.
“Amico, hai fatto strike,” Jeremy andò ad abbracciarlo.
“Ok ok,” Krispin si liberò dalla stretta. “Poniamo subito fine a questo momento gay. Ho una ragazza, adesso,” disse facendo l’occhiolino alla sua pollastrella senza braccia.
Il volto di Jeremy si corrucciò.
“Andiamo, uomo…” lo consolò Krispin.
“Dove?”
“A farti una ragazza cheerleader zombie, naturalmente.”
“Credi davvero che dovremmo continuare con gli incantesimi, dopo tutto quello che è successo questa notte?” chiese Jeremy in versione Jeremy il ragazzo dai mille scrupoli morali.
“Certo che sì, amico. Certo che sì,” fece Krispin in versione uomo che non deve chiedere mai. “Don’t stop, ‘til you get enough.”

giovedì 28 ottobre 2010

Ho ammazzato la cheerleader - Parte prima

(Un mio racconto di Halloween in due parti. Domani la seconda)
Titolo originale: The Fuckin' Cheerleader Is Fuckin' Dead

“Ho ammazzato la cheerleader!”
“No, un momento. Che cazzo vai dicendo, uh?”
“Sto dicendo che quella puttanella mi è morta tra le gambe mentre mi stava staccando un pompino. È questo che sto dicendo.”
“La cheerleader ti stava facendo una pompa? Ma grande!” esultò Krispin come fosse un’innocente matricola. Adesso che era al secondo anno di liceo era troppo grande per gesti infantili del genere.
“Sì, d’accordo. Yuppie! Sono grande, sono un grande. Lo so. Ma vedi,” Jeremy cercò di spiegargli con Santa Pazienza, “Il punto della questione qui non è che quel gran pezzo di figa mi stava succhiando via l’uccello. Il dannato punto della dannata questione è che quel gran pezzo di figa è morta. Stecchita. Andata. Kaput. Goodbye, England rose. Giusto lì,” indicò col dito un punto dello spazio nero davanti a sé. “Cosa facciamo adesso?”
“Cosa facciamo?” chiese stupito Krispin. “Amico, vorrai dire: cosa fai TU?”
“No, amico. Intendo cosa facciamo noi due. Ti ho messo a conoscenza del fatto, quindi tu sei mio complice. Se solo provi ad abbandonarmi, ti trascino nel merdoso fondo insieme a me.”
“Oh, andiamo uomo. Questo non è corretto.”
“È corretto, invece. Sono io a dettare le regole, adesso.” Jeremy si mise sul petto i gradi da generale.
“Ah sì, bello? E da quando?”
“Da quando sono così figo da farmi una cheerleader.” Pausa. “Cioè, mi facevo, visto che quella mi è trapassata davanti agli occhi giusto pochi istanti fa.”
“E va bene. Tu sei il capo e diciamo che io sono diventato tuo complice. Cosa facciamo, adesso?” domandò Krispin, con la sua tipica faccia da pesce lesso.
“Ecco bravo. Siamo in questa situazione insieme.” Pausa. “Direi che a questo punto ti porto a vedere la cheerleader morta.”
“Hey, amico. Andiamo… Lo sai che odio la gente morta.” Pausa di imbarazzo politically correct. “Volevo dire, odio vedere la gente morta. Sai che intendo? Non sono un razzista. Non ho niente contro la gente morta. È una scelta di vita, o di non vita, rispettabile come tante altre. Non ho niente contro i finocchi. Non ho niente contro i fottuti portoricani. E non ho certo niente contro i morti. Io amo la gente morta. Lo sai questo, vero?”
“Lo so, amico. Lo so. Però è necessario che tu veda con i tuoi occhi.”

Jeremy e Krispin. Due nerd al secondo anno di liceo davanti al corpo semi-nudo di una cheerleader morta.
“Gran pezzo di figa. Bella carrozzeria, anche se un po’ pallidina,” fu la prima cosa che disse Krispin, vedendola.
“Per forza, pezzo di coglione: è morta!” fu la prima cosa che gli disse Jeremy, guardandolo in quei due occhi da pesce lesso.
“Sto solo commentando quello che vedo. E quello che vedo è il corpo nudo di un gran bel pezzo di figa.”
“Questo te lo concedo. Però vogliamo concentrarci un momento sulla questione basilare. Vogliamo?”
“Veramente non vorrei…” Krispin, impegnato nel suo passatempo preferito: sprecare fiato.
Occhiata truce di Jeremy.
“E va bene. Vogliamo, vogliamo.” Quindi aggiunse, come una spoa davanti all’altare: “Lo voglio.”
Silenzio. Imbarazzante silenzio.
“Dunque… Quale sarebbe questa questione fondamentale? Anzi, basilare?” chiese poi Krispin.
“La questione è che la cheerleader è morta. Te lo sto spiegando da ormai più di dieci minuti. E non ha le braccia. Le si sono staccate le braccia dal corpo.”
“Rewind, amico,” Krispin chiese un time-out. “Lei ti stava facendo un succhia succhia senza fine, non un lavoretto di mano. Esatto?”
“Mmm…” grugnì Jeremy.
“Ok, non c’è bisogno che ti arrabbi. Sto cercando di analizzare i fatti in maniera obiettiva e per farlo devo raccogliere tutti gli indizi come farebbe coso…” Pausa riflessiva. “Grissom!”
“Quindi, qual è la sua conclusione, agente ehm… Grissom?”
“La situazione è parecchio complessa,” Krispin cominciò a strofinarsi gli occhiali da vista con il fazzoletto che teneva in tasca. Fazzoletto sporco, ovviamente e con fare riflessivo si mise a lisciarsi il pizzetto immaginario. “Questa cheerleader era impegnata con la bocca e le sono cadute le braccia. Dico solo che è strana, come cosa. Non credi? Però un’altra cosa non mi torna di tutta questa faccenda: perché diavolo la cheerleader stava succhiando l’uccello a te?”
“Che vuoi dire?” Jeremy, in versione permalosa.
“Andiamo amico. Non sei nella squadra di football. Né sei un… come dicono i francesi? Ah, sì. Non sei certo un tombeur de femme, ecco.”
“Ti ringrazio. Davvero. Grazie mille.”
“Oh, come on. Intendevo senza offesa, uomo. Cioè, voglio dire: quelli come me e te di solito se lo sognano di farsi una cheerleader. Io per esempio me lo sono sognato giusto ieri sera. Quindi, amico mio, se cerco di capire come hai fatto è solo perché voglio farlo anch’io.”
“Tu sei senza speranza, amico.”
“Oh, ti ringrazio anch’io. Tu sì che sei una persona veramente con un gran tatto, complimenti.”

Krispin rimase lì a fare l’offeso per un po’. Fino a che Jeremy non gli lanciò un contentino: “Ti dico come ho fatto se tu mi prometti di non dirlo ad anima viva.”
“Beh, non vedo molte anime vive, qui intorno,” Krispin indicò il corpo della cheerleader morta stecchita.
“Ah ah. Molto divertente,” Jeremy e la sua finta risata. “Davvero, me lo devi promettere che la cosa non esce fuori di qui.”
“Promesso. Sono un tomba.” Mano sul petto. Quando prometteva una cosa, Krispin tornava sempre serio.
“Ho fatto un incantesimo,” confessò Jeremy.
“Cazzooo!” Krispin, in versione urlo di Munch.
“Sì, lo so. Sono patetico. Prendimi pure per il culo.”
“Amico, io non ti sto affatto giudicando. Voglio dire: tu sei un genio. Un fottuto genio, cazzo.”
“Non ti sembra una cosa da sfigati, fare un incantesimo per farsi la ragazza più figa della scuola?”
“Sì beh, cioè. Forse un pochino.” Pausa di riflessione. “Ma no… ma che dico? Tu sei un genio e basta! Insomma, i giocatori di football la possono conquistare con i muscoli, una ragazza così. Tu l’hai fatto con l’intelletto, o meglio ancora: con un incantesimo. Sei un cazzo di genio. Amico, sono fiero di essere tuo amico! Voglio dire, spiegami come hai fatto che lo faccio pure io. Immediatamente, Santissimo il Signore. Facciamo l’incantesimo, così posso finalmente perdere anch’io la mia fottutissima verginità.”
“Ti vorrei solo far notare che nell’immediato abbiamo un’altra questione più urgente da affrontare della tua verginità,” interruppe bruscamente i suoi piani Jeremy. “Una cheerleader morta, senza braccia, probabilmente come tragica conseguenza del mio sciagurato incantesimo. Ricordi?”
“Già. Beh, quelli sono problemi suoi. Contrattempi del mestiere. Se è questo il prezzo che dobbiamo pagare per farci la più gran figa di tutti i tempi, o per lo meno la più gran figa della squallida cittadina in mezzo al nulla in cui viviamo, beh amico: io sono pronto a pagarlo.”
“Sei pazzo!” lo guardò di striscio Jeremy, come a mostrare il suo profilo da duro a una telecamera immaginaria. Pensava che se da tutta quella stramba vicenda avessero tratto un film, la sua parte avrebbe dovuta farla Jason Schwartzman. Nella parte di Krispin sarebbe invece andato benissimo uno sfigato qualsiasi, pensava anche.
“Tu dici: pazzo. Io dico: realista. Tu dici: cheerleader morta. Io dico: scopiamo. Voglio dire, questo è il nostro secondo anno al liceo e questo è l’unico modo che abbiamo per farci qualche cheerleader superdotata. Certo, a meno che tu non voglia farti un bell’abbonamento in palestra e cominciare a giocare a football.”
“Mettiamo tu abbia ragione…” Jeremy distolse il pensiero dalla versione cinematografica della sua vita e cominciò a riflettere sulle parole di Krispin.
“Amico, io ho ragione. Devi solo cominciare a vedere le cose con chiarezza.”
“E quindi? Cosa suggerisci di fare?”
“Ce la spassiamo, amico. Questo è ciò che suggerisco di fare. È la notte di Halloween. Buttiamo il corpo di questa troietta giù nel fiume, ci liberiamo del sangue e di tutte le maledette tracce e se anche restiamo un po’ sporchi, chissenefrega? Penseranno tutti solamente che abbiamo un trasvestimento molto realistico e molto fico. Adesso andiamo a fare un altro di questi bei incantesimi che mi tenevi nascosti. A moi, il tuo migliore amico. Dovresti vergognarti per non avermene parlato prima.”
“E se un’altra ragazza dovesse morire?” Jeremy in versione riflessiva, mano sul mento. Lisciarsi il pizzetto immaginario va molto di moda, tra i ragazzi del secondo anno.
“Hey, è il liceo. È duro. Solo i più forti sopravvivono e si evolvono. Sono le regole, non sei stato attento durante la lezione su Darwin?”

(fine prima parte)

venerdì 15 ottobre 2010

Viviamo in un film

Non abbiamo bisogno di andare al cinema a vedere i film.
Noi viviamo in un film.

dal film "Flashbacks of a Fool" (di cui parlerò prossimamenji)

Negli ultimi giorni ho fatto fatica a trovare un film che mi entusiasmasse e sorprendesse veramente. Sarà per l’effetto post-Inception o, più probabilmente, sarà che negli ultimi giorni la realtà nazionale e internazionale si è veramente scatenata con copioni e sceneggiature davvero incredibili.

Abbiamo avuto quello che sembrava un drama adolescenziale che poi a sorpresa si è trasformato in un thriller e quindi si è trasformato nell’horror più agghiacciante degli ultimi anni. E tra l'altro continua a rivelare nuovi colpi di scena (l’omicidio di Avetrana);
I minatori cileni intrappolati in quello che è partito come un film horror alla The Descent e che poi si è trasformato in una storia strappalacrime con tanto di happy end pronto per il trionfo alla notte degli Oscar;
Il filmone bellico anche questo da Oscar, ma stavolta senza happy end (i militari morti in Afghanistan);
Un film sportivo che si è trasformato in un intreccio terroristico internazionale, con tanto di scaricabarile politico sullo stile della serie 24 e un duro degno di un action movie con Dolph Lundgren (Italia – Serbia e Ivan il Terribile);
Un nuovo avvincente legal drama tra Perry Mason e Forum con protagonisti Silvio e Pier Silvio Berlusconi;
Episodi di ultraviolenza degni di Arancia Meccanica (a Milano e Roma);
Episodi di censura che sembra di essere in un film sul Fascismo (Annozero e adesso persino Lo Zoo di 105).

Insomma, sceneggiatori di Hollywood (e non), vi volete svegliare?
La realtà oramai vi sta dando davvero merda!

mercoledì 13 ottobre 2010

Reality Fiction

Reality Fiction
(Italia, Cile, Serbia 2010)
Regia: Bruno Vespa
Cast: Mario Sepulveda, i parenti di Sarah Scazzi, lo Shrek di Avetrana, Federica Sciarelli, Tiziano Ferro, Michele Santoro, Mauro Masi, un teppista serbo incappucciato, Ignazio La Russa, Will Smith
Genere: horror
In onda: su reti Rai e Mediaset unificate

Cos’è reality? Cos’è fiction?
Ormai non riesco più a distinguerlo.
Il reality-show più estremo del mondo sta volgendo al termine. I minatori cileni escono uno ad uno dal tugurio, quest’anno più oscuro e tetro del solito, sotto lo sguardo vigile delle telecamere e davanti a una folla in delirio come dopo un gol di Zamorano. Mario Sepulveda esce esultando come un qualunque concorrente sulla passerella del Grande Fratello: è lui il vincitore morale di questa edizione, così almeno dice Studio Aperto.
I minatori concorrenti escono tutti indossando degli stilosi occhiali da sole. La ragione ufficiale è quella di proteggere gli occhi affinché tornino ad abituarsi alla luce solare dopo 60 giorni di buio (che potrebbe diventare il titolo per il sequel del film 30 giorni di buio). Ma c’è anche chi ipotizza sia una scelta dovuta a ragioni di sponsor: pare infatti che i minatori debbano indossarli per rispettare il contratto firmato in esclusiva con Gucci.
Tutto il globo sta seguendo l’evento e, visto il clamoroso successo del format cileno, anche negli altri paesi si stanno pensando a degli adattamenti locali. Simona Ventura e Alessia Marcuzzi si stanno già combattendo la conduzione dell’edizione italiana. Maria de Filippi, Mara Maionchi e Tiziano Ferro, che da quando ha fatto coming out è diventato così cool (ho detto cool, non cul) saranno i giudici che sceglieranno i concorrenti. Non si è ancora decisa invece la sede in cui si svolgerà il nuovo elettrizzante reality; pare infatti che nel nostro paese di luoghi di lavoro con un tasso di sicurezza vicino allo zero ce ne siano un sacco e quindi la concorrenza è davvero altissima.
Nell’adattamento hollywoodiano della storia vedremo invece Will Smith costruire a mani nude, da solo, un tunnel nella terra che porterà eroicamente in salvo tutti gli altri minatori, mentre lui morirà appena prima di terminare l’impresa. Per il resto del cast si fa il nome di diversi attori messicani, visto che gli attori cileni chi li conosce? e poi tanto i latini per Hollywood sono tutti uguali. Vedremo allora Gael Garcia Bernal, il protagonista di Machete Danny Trejo e Salma Hayek che dovrebbe interpretare la moglie sgnacchera dell’eroe Will Smith.

È intanto in fase di preparazione anche una fiction già contesa da Rai e Mediaset ispirata all’omicidio di Sarah Scazzi. Per la parte della conduttrice di Chi l’ha visto che annuncia in diretta alla madre il ritrovamento del cadavere della figlia sono in corsa la conduttrice stessa e Isabella Ferrari. Quest’ultima reclama dalle pagine di Tv Sorrisi & Canzoni: “Sarei una Federica Sciarelli molto più credibile di lei.”
E intanto una donna rumena è stata aggredita nella metro di Roma e se ne parla solo perché c’era una telecamera a riprendere il tutto. E intanto un gruppo di nazionalisti serbi capitanato da un energumeno che sembra il Malamadre del film Cella 211 in versione cicciobomba incappucciato mette a soqquadro Genova e l’opposizione chiede le dimissioni di Maroni il quale si difende dicendo: “Abbiamo evitato una strage”. E intanto Michele Santoro viene sospeso per dieci giorni dalla Rai perché ha mandato il (direttore) Generale Mauro Masi affanbicchiere (urca, che insulto!).

Però nessuna sanzione viene data a Bruno Vespa che a Porta a Porta fa la pietosa telecronaca del filmino matrimoniale con l’orco Shrek di Avetrana che porta all’altare la figlia, come se volesse significare chissà cosa (vedi qui, a partire dal minuto 57) e invece è solo “una cazzata”, come ha detto in diretta il fratello della vittima. Nessuna sanzione per Augusto Minzolini e il suo TG1 che viola palesemente ogni norma di par condicio e libera informazione. Nessun richiamo alla Sciarelli che manda in onda lo show della morte in diretta, né viene posta alcuna limitazione alla tv del dolore e dell’orrore. Una ragazzina muore ma the show must go on, con tutti i famigliari, gli amici, i conoscenti, gli opinionisti, gli sciacalli shaka laka laka, gli innocenti e i colpevoli che non vedono l’ora di sfilare davanti alle telecamere. Il dolore non è più privato. Le sentenze non avvengono più nei tribunali. I giornalisti a seconda delle occasioni sono diventati entertainer, detective o criminali. La televisione è diventata la verità assoluta.

E i militari in Afghanistan stanno come d'autunno sugli alberi le foglie e La Russa cosa fa? Li manda a casa? Certo che no. Dotiamo gli aerei di bombe, così magari i nostri non sono più al sicuro, ma almeno possiamo fare più danni ai cattivi. Che se fosse la battuta di Bruce Willis in un film ci ammazzeremmo tutti dal ridere, ma se a dirla è il ministro della Difesta ad assere ammazzati finiscono i soldatini. Ma tanto lui è a casa con i pop-corn a "godersi lo show", come l'ha invitato a fare lo zio di uno degli alpini morti.

Tutto è reality. Tutto è fiction. Il rischio è quello di non riuscire a distinguere tra le due cose, anche perché un confine ormai non esiste più. Ma il rischio maggiore è quello di essere investiti da talmente tanta informazione di merda da diventare insensibili a qualunque notizia.

Parafrasando Christopher McCandless, il ragazzo che ha ispirato Into The Wild (anche questo un caso di fiction che si mischia alla verità), che diceva “La felicità è reale solo quando è condivisa”, mi viene da dire che “La realtà è felice solo quando è condivisa.” Sì, su Facebook.

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domenica 22 agosto 2010

L'ultima estate di Joan, Episodio finale

4. L'incubo

Il sole sorse la mattina seguente. Michael non aveva quasi chiuso occhio. Si sentiva tutto frizzante in corpo. Si sentiva come se qualcosa in lui fosse cambiato. Magari non era ancora diventato un uomo. Magari era ancora un bambino senza peli, ma sicuramente era diventato grande abbastanza da baciare una ragazza. E fare anche qualcosa di più, con una ragazza. Voleva dire questo e altro a Joan. Per una volta anche lui aveva qualcosa da raccontare. Michael aspettava solo di sentire quel dolce suono. Il suono delle stelline che ballano sulla porta d’ingresso del loro ostello.
Un altro suono, meno atteso, giunse invece. Era quello della sveglia. Il mattino era già arrivato tra di loro. L’ultimo mattino in Costa Brava. E ancora, Joan non era rientrata. L’atmosfera in spiaggia era strana. Nessuno aveva voglia di fare il bagno. Nessuno aveva nemmeno voglia di parlare e Michael non era di certo nell’umore per surfare. Era troppo in ansia. Mitchell e Franklin stavano a distanza di sicurezza l’uno dall’altro, senza rivolgersi la parola. Le ragazze se ne stavano a prendere il sole con le cuffie bianche nelle orecchie. Un’altra canzone triste andava a morire nell’iPod. Un’altra estate stava finendo. Presto ci sarebbe stato solo il grigio e il freddo dell’inverno in Germania. La tristezza stava scendendo a palate sui loro corpi oramai abbronzati.
La suora-capo intanto riunì le altre suore. Di Joan nessuna notiza. Cominciarono così a cercarla ovunque. Chiesero ai ragazzi se qualcuno sapeva dov’era finita. Emily, la rompicazzo che dormiva nel letto a castello insieme a lei, parlò: “È uscita. Sgattaiolata fuori come tutte le sere da quando siamo arrivati. Sarà andata in qualche discoteca, avrà bevuto, si sarà drogata… o Dio solo sa che cosa.”
Le suore andarono in giro per le strada della cittadina spagnola chiedendo informazioni ai proprietari di bar e locali. Mostrarono loro una foto di Joan in versione acqua e sapone. Sembrava una bambina. Quando usciva la sera, truccata, era tutta un’altra persona. Quella foto non poteva essere di alcun aiuto. In ogni locale ripetevano che: “No, non abbiamo mai visto quella bambina. Qui possono entrare solo persone con almeno 18 anni.”
Niente. Joan non si trovava. Ancora niente. Si aprirono le indagini ufficiali. Sempre niente. La partenza venne rimandata. “Non si può tornare indietro senza uno dei ragazzi,” dissero le suore.
Anche quella notte Michael non riuscì a chiudere occhio. Il fastidio dell’herpes che gli era spuntato sul labbro superiore grazie a Kristin si era mixato con l’ansia. Aspettava di sentire il suono delle stelline sulla porta d’ingresso. Aspettava che Joan venisse fuori, annunciando con un sorriso: “Scherzone! Vi ho preso tutti per il culo… Eccomi qua, babbei!” Ma da fuori l’unica cosa che arrivava erano i lampi di un temporale. L’ennesimo.
La mattina dopo tutti i ragazzi vennero convocati nel salone, lo stesso in cui avevano giocato a 7 minuti in Paradiso. La suora-capo li guardò uno per uno negli occhi. Calò un silenzio irreale. La sua voce sembrò avere un attimo di indecisione: “Il-il corp…” Si fermò. Quindi respirò profondamente, riprese coraggio e mesta annunciò: “Mi spezza il cuore dovervelo dire, ragazzi…” Sospirò. Non aveva mai avuto tanta difficoltà nel dover dire qualcosa. Alla fine, senza pensarci ulteriormente disse: “Il corpo della cara Joan è stato trovato senza vita. Adesso è in Paradiso, dove riposa in pace tra le braccia del Signore.” Scoppiò in lacrime.
Quello che la suora-capo aveva preferito non precisare è che erano state trovate solo alcune parti del corpo di Joan. Brandelli di braccia. Un gomito. Il cranio con cui era stato possibile fare il riconoscimento dentale. Joan era stata prima stuprata e poi tagliata a pezzettini, come confermerà l’autopsia un paio di giorni più tardi.
All’annuncio della suora-capo, Michael si mise a urlare:
“Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Non è vero
Non può essere vero!”
Scappò fuori dal salone. Prese la tavoletta da surf sotto braccio e corre verso la spiaggia. Il mare era in tempesta. Da nord soffiava un vento gelido. I tuoni avevano lo stesso suono di una bomba atomica che esplode. In questo scenario apocalittico, Michael si gettò tra le onde del destino. Surfò come un campione. In pochi giorni era diventato davvero bravo. Il suo dovev’essere un talento naturale. Se solo fosse nato sulla costa, invece che nel cuore freddo della Germania, beh pensava che magari sarebbe potuto diventare un campione. Che magari avrebbe anche potuto farlo come professione. Ma ancora era troppo inesperto per affrontare delle onde del genere. Resistette a lungo, sotto lo sguardo disperato di amici & suore, fino a che un cavallone abnorme coprì ogni visuale alle sue spalle. Non era il buio piacevole di 7 minuti in Paradiso. Era il buio dell’Inferno, che lo divorò in un sol boccone. Il corpo di Michael venne sbattuto a riva, dove il bagnino cercò di rianimarlo. Massaggio cardiaco. Respirazione bocca-a-bocca. Non sembrava esserci niente da fare. Forse era meglio se gliela faceva Kristin, la respirazione. Tanto ormai l’herpes se l’era preso. Il bagnino passò al defibrillatore. “Uno, due, tre… libera.” Ancora niente. “Uno, due, tre… libera.” Come nel finale di una cazzo di puntata di Baywatch, Michael riprese incredibilmente a respirare.

“Sveglia, Michael,” sussurra una dolce voce femminile.
“Joan. Sei tornata!” pensa Michael. Apre gli occhi e a letto al suo fianco c’è una donna matura, nuda. Non è Joan. È Kristin, sua moglie. Che gran bel paio di tette che ha. Le ha sempre adorate. Dev’essere per questo che l’ha sposata.
Le dà un bacio, su quello stesso herpes che ogni estate puntuale le rispunta fuori, quindi si alza dal letto. Fa colazione. Una tazza di caffè nero. Dà un’occhiata alla sua agenda. Niente gare in vista, questa settimana.
“Non dimenticare di salutarmi Mitchell, quando lo vedi,” gli grida Kristin dalla camera da letto. Ah, già. L’appuntamento con Mitch al pub. Se n’era scordato. Si era scordato di tutto.
“Hey, vecchio mio. Come va la riabilitazione?” domanda Michael al pub, abbracciandolo. È quasi ora di pranzo. Al bancone ci sono solo loro due.
“Al solito. Alcuni giorni sono meglio di altri. Questo è un giorno non male,” gli risponde Mitch davanti a una bottiglietta di birra analcoolica. “Sono felice di rivederti, piccolo Michael.”
“Oh,” sorride Michael. “Non credo di essere così piccolo, oramai. Guarda qui,” e mostra fiero all’amico il suo braccio muscoloso.
“Non mi interessa quanti muscoli hai. O quanti cazzo di soldi ti sei fatto con il surf,” gli dà un pugno Mitch su quello stesso braccio. “Per me sarai sempre il piccolo Michael.” Quindi si guarda intorno, fa l’occhiolino alla barista: “Un’altra birra anal, please,” ordina. “E una fortemente alcoolica per il campione che mi fa l’onore di sedersi qui al mio fianco.”
Michael arrosisce: “Oh, andiamo. Così mi metti in imbarazzo.”
“Dimmi te se è possibile che mi innamori sempre delle bariste?” si chiede retoricamente Mitchell tra sé e sé.
Michael lo guarda, cercando di non scoppiare a ridergli in faccia: “Sei senza speranza, amico mio. E a proposito: quell’altro caso perso di Franklin, sai che fine ha fatto? È una vita che non lo vedo.”
“Oh già, il vecchio Frank. È da quell’estate di 10 anni fa che non lo vedo né lo sento. Ho letto su una di quelle stupide riviste di gossip che è finito a Hollywood. Fa l’addestratore di scimmie e altri animali attori che recitano nei film. Immagino sia contento laggiù,” ride. “Si sa, Hollywood è piena di froci…”
“Aspetta, aspetta…” lo interrompe Michael shockato. “Mi stai dicendo che Franklin è gay? Non l’avrei proprio mai detto.”
“Quello è gay al 100%, te lo dico io,” annuisce Mitchell con l’aria di chi la sa lunga.
“Posso chiederti una cosa?” Michael domanda sottovoce all’amico. Sembra per un momento tornato ad essere quel bambino timido e inesperto che era anni prima. “Mi puoi dire cosa diavolo è successo tra te e Franklin, dentro quell’armadio?”
“Se ci tieni proprio a saperlo, te lo dirò.” Ancora Mitch non l’aveva finita con la storia del creare suspence. Però, maledizione, bisognava riconoscerglielo: gli riusciva davvero bene. “La porta si è chiusa e le luci si sono spente. Il porco mi ha tirato giù i pantalani e ha cominciato a spompinarmi. Io pensavo di tirargli una botta in testa o un calcio. Qualcosa del genere, giusto per farlo smettere. Solo che era veramente piacevole. Insomma, non prendermi per un finocchio,” Mitch agita un dito davanti all’amico. “Quella è stata la prima e anche l’ultima volta che qualcuno che non si chiamasse Crystal o Roxy ha succhiato il mio Chupa-Chups. Però, intendiamoci: quello è stato il pompino più godurioso che mi abbiano mai fatto in tutta la vita.”
Michael manda giù una gran sorsata di birra. “È pazzesco,” riflette. “Ti conosco da ormai dieci anni e ancora riesci a stupirmi…” Quindi trova il coraggio di chiederglielo. Il vero motivo per cui aveva organizzato quella rimpatriata. La domanda che gli era ronzata in testa per tutti quegli anni. “E con Joan, invece? Che cosa successe durante i vostri 7 minuti in Paradiso insieme?”
“O, con Joan. Adesso sì che mi prenderai per un ricchione,” Mitchell sospira. Fa quello che gli riesce meglio: crea suspence. Poi si stufa e lo ammette: “Non successe proprio un bel niente.” Quindi sorride amaro. Michael lo guarda sorpreso. “Ho sempre trattato le ragazze come se fossero delle troie, ma con lei era diverso. Joan era diversa dalle altre. Avevo troppo rispetto per sfiorarla anche solo con un dito. Le chiesi semplicemente di fingere che fosse successo qualcosa. Sai, per non giocarmi la mia reputazione da stronzo…”
Michael ascolta in silenzio. Ripensa all’uomo che quella notte le ha tolto la vita. Lei doveva essere sbronza, forse un po’ più del solito. Probabilmente le aveva detto qualche parola dolce e l’aveva convinta senza troppi problemi a salire sul suo bel yacht, dove anziché offrirle una rosa e una coppa di champagne l’aveva violentata e uccisa. Quindi, aveva ridotto il suo corpo esile in piccoli pezzi e, come se si trattasse di spazzatura, li aveva gettati in mare. Tutto questo giusto un momento prima di prendere una pistola, caricarla ed esplodersi un colpo in testa.
Michael ripensa a quanto era bella, Joan. Anche quelle rare volte che la vedeva senza trucco sulla faccia e senza quegli abitini sexy che indossava la sera sulla Costa Brava per farsi rimorchiare da qualche vecchio maniaco. E ripensa egoisticamente a come avrebbe voluto darle un bacio. Solo un piccolo bacio. “Almeno tu hai avuto l’onore di passare 7 minuti in Paradiso con lei,” confessa all’amico, con una punta di gelosia.
“Andiamo,” Mitch guarda a terra. “In colonia lo sapevamo tutti che lei aveva una cotta per te. Possibile che fossi così ingenuo da non accorgertene?”
“Mi sa che era davvero così, invece,” sorride Michael. “Quei Mormoni dei miei genitori avevano proprio ragione: non ero abbastanza grande.”

Das Ende
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