domenica 31 luglio 2011

Jukebox DeLorean, Bananarama

Bananarama "Cruel Summer"
Anno: 1983
Genere: new-wave pop
Provenienza: London, Inghilterra
Album: Bananarama
Canzone sentita in: Karate Kid, Romy & Michelle, Blue Crush, Dal college con furore, Supercar
Coverizzata da: Ace of Base
Nel mio jukebox perché: questa è una summer più cruel che cool

Testo liberamente tradotto
Bollenti strade d'estate
e marciapiedi a fuoco
mi siedo, cerco di sorridere
ma l'aria è troppo pesante e asciutta
strane voci dicono
(cos'è che dicono?)
che ci sono cose che non riesco a capire
questo caldo sta andando fuori controllo
è una crudele estate
mi hai lasciato da solo
è una crudele crudele estate
ora che sei andata via

sabato 30 luglio 2011

Top ten Amy

"kurt and amy" by berkozturk su deviantart

10. Will you still love me tomorrow
Canzone scritta da Gerry Goffin e Carole King portata al successo dalle Shirelles e reinterpretata magnificamente da Amy Winehouse.
E la risposta alla domanda è sì.


9. Help Yourself
Una classe fuori dal tempo per una piccola grande gemma del suo album d’esordio Frank.


8. You know I’m no good
Amy Winehouse mette a nudo tutte le sue insicurezze e fragilità su una base hip-hop di Mark Ronson paurosa che reinventa l’urban pop degli ultimi anni. You know I’m no good, cantavi, e invece eri dannatamente good.


7. Stronger than me
Primo singolo di Amy e anche il suo primo pezzo in assoluto che ho sentito. Passava in radio ai tempi del mio primissimo stage-lavoro giornalistico e mi faceva - e mi fa tuttora - ridere per quel verso “Always have to comfort you every day, But that's what I need you to do - Are you gay?” cantata con questa voce pazzesca mai sentita. Ho cominciato subito ad adorarla.


6. Fuck me pumps
Il pezzo più divertente di Amy, con cui fin da subito si smarcava da tutto il resto del poppame in giro, prendendosi gioco di chi nella sua vita vuole diventare una “footballer’s wife”. Splendido inno anti-veline, grande Amy.


5. Rehab
Il pezzo più intimamente rock’n’roll del decennio. Un fanculo a tutto e tutti, ma anche un disperato grido di allarme: “Ooh, I just need a friend”.


4. Love is a losing game
Ballatona da groppo in gola, la delicatezza e la poesia fatte musica.


3. Valerie
Canzone splendida di un ottimo e sottovalutato gruppo post brit-pop, gli Zutons, nella versione del produttore Mark Ronson con la voce sublime di Amy raggiunge i vertici del capolavoro. Summer hit di qualunque summer.


2. Back to black
Una delle canzoni più belle mai scritte, o almeno una delle mie preferite in assoluto.
Già mi venivano le lacrime quando la sentivo prima, figuriamoci adesso…


1. Tears dry on their own
Quando ho ascoltato questa canzone per la prima volta ho capito che Amy era entrata nella mia lista di cantanti preferite di sempre, insieme a Fiona Apple, Bjork e, di lì a poco, anche Bat For Lashes. E soprattutto ho capito che era entrata per sempre nel mio cuore.




venerdì 29 luglio 2011

One nation one station

Daydream Nation
(Canada 2010)
Regia: Michael Goldbach
Cast: Kat Dennings, Reece Thompson, Josh Lucas, Andie McDowell, Natasha Calis, Rachel Blanchard, Katie Boland, Landon Liboiron, Calum Worthy
Genere: indie teen
Se ti piace guarda anche: Youth in Revolt, Igby Goes Down, Paper Man

Prima cosa da segnalare di questo film: il titolo, preso da un memorabile album dei Sonic Youth. E con un titolo così io mi aspetto come minimo un capolavoro.
Seconda cosa da segnalare: trattasi di un trattato esistenziale adolescenziale.
Terza cosa da segnalare: la protagonista è Kat Dennings, reginetta degli indie movies già vista nel delizioso Nick & Norah - Tutto accadde in una notte accanto al king of all nerds Michael Cera.
Basta con le cose da segnalare?
Per il momento sì.



Potenzialmente sembra che questo Daydream Nation abbia quindi tutte le carte in mano per vincere un giro a poker e diventare un bel cult cannibale in piena regola, ma purtroppo non tutto funziona alla perfezione e così si rimane intrappolati dentro un’aurea mediocritas che non dispiace epperò manca anche di quei guizzi decisivi richiesti.
Sarà che forse la storia vuole servire in tavola troppe portate, senza però cucinarne a puntino nessuna: la protagonista Kat Dennings è caruccia, ha delle pere notevoli, però nella parte della sex bomb alternativa del liceo non sembra del tutto a suo agio. Il suo personaggio è confuso all’inizio e lo rimane anche alla fine: è vero che “Confusion is sex”, come dicevano i Sonic Youth, però a rimanere confuso è anche lo spettatore.
I personaggi maschili che le ronzano intorno come api arrapate intorno al miele sono abbozzati e rimangono in superficie: c’è Thurston (come Thurtston Moore sempre dei Sonic Youth), il ragazzotto innamorato perso della protagonista, i suoi amici fattoni senza personalità alcuna, il professore che pure lui finisce immancabilmente pazzo per Kat Dennings ed è interpretato da un Josh Lucas piuttosto schizofrenico e parecchio convincente (di lui avevo già parlato a proposito di Stolen Lives ed è un grande attore finora parecchio sottovalutato).
In più c’è un serial killer che scorrazza in giro per la città uccidendo delle ragazze del liceo (altro elemento inserito così tanto per aggiungere qualcosa, ma approfondito zero), i genitori (tra cui una rediviva Andie McDowell quella I feel it in my finger, I feel it in my toes con Hugh Grant) dei protagonisti che abbozzano una mezza storia di cui a nessuno frega una cippa e infatti pure questa mezza storia viene rapidamente accantonata, e quindi qualche altra vicenda secondaria messa giusto per allungare un po’ la brodaglia e cercare di arricchire il mosaico.
Ma questo non è Magnolia e tutto scivola solo sulla superficie delle cose, senza mai andare a scavare dentro argomenti dal buon potenziale. A differenza di altre pellicole indie adolescenziali dello stesso genere non ci sono nemmeno delle frasi memorabili, di quelle da appuntare sul diario, e allora resta più altro una pregevole colonna sonora, delle buone intenzioni, dei bei riferimenti ai miei adorati Sonic Youth, ma qui sento comunque una puzza familiare.
“E di cosa, te la sei mica fatta addosso?”
Ma no: sento puzza di occasione mancata.
(voto 6+)

giovedì 28 luglio 2011

Fai un Breaking Bad, spezza con Pinkman

Breaking Bad
(serie tv, stagioni 1-4)
Rete americana: AMC
Rete italiana: AXN
Creata da: Vince Gilligan
Cast: Bryan Cranston, Aaron Paul, Anna Gunn, Dean Norris, Betsy Brandt, RJ Mitte, Bob Odenkirk, Giancarlo Esposito, Charles Baker, Krysten Ritter, Jonathan Banks
Genere: fuoriserie
Se ti piace guarda anche: Weeds, Nip/Tuck, The Killing

C’è una serie che dovete assolutamente vedere!
E anche i più grandi facciano attenzione che, una volta tanto, non consiglio un telefilm adolescenziale come mio solito bensì una serie tv matura, profonda, cinematograficamente notevolissima, recitata da Dio, con delle sceneggiature a prova di bomba e insomma una roba che piacerà anche - anzi, soprattutto - ai fondamentalisti anti-teen.


Breaking Bad non prende subito. Non conquista del tutto fin dal primo episodio. O almeno, con me non è successo. Dall’inizio comunque incuriosisce e stuzzica, visto che racconta di Walt White (Bryan Cranston), un tranquillo (ma attenti perché le apparenze… sapete già come finisce la frase) professore di chimica di una cittadina americana cui un giorno viene diagnoticato un cancro e allora, come fare a pagare le costosissime cure e, soprattutto assicurare un futuro alla famiglia, proprio ora che sta per arrivargli anche la seconda figlia?
Semplice: da buon chimico si mette a fare metanfetamine, per la precisione cristalli (Crystal meth), insieme a un suo ex studente tossico, Jesse Pinkman (Aaron Paul), il vostro futuro nuovo idolo e vi consiglio di seguire la serie in inglese, perché come dice “Yo, bitch!” Jesse Pinkman non lo dice nessuno e lui lo dice rivolgendosi a chiunque, un po’ come Hugo di Lost chiamava tutti “Coso”. Yo hai capito, bitch?

Un espediente narrativo curioso, quello della persona insospettabile che si mette nel campo della droga, ma che sa già di sentito, dopo L’erba di Grace, Weeds et similia. Però la forza di Breaking Bad sta nell’imprevedibilità dei suoi script, nel continuare a cambiare e a muoversi sempre, evolvendosi in maniera pazzesca tra droga, chemioterapie, sparatorie, spacciatori, routine quotidiana, e con colpi di scena e di genio davvero notevoli che faranno crescere la serie nella classifica delle vostre preferite episodio dopo episodio.
Per il rapporto tra i due protagonisti, soci di attività molto diversi tra loro, e per la mutazione costante delle storie, Breaking Bad per me è il vero erede di Nip/Tuck, ma dev’essere solo una sensazione mia, visto che per atmosfera siamo proprio su due pianeti differenti. Tanto era patinato, glamour & 80s scintillante la Miami (e poi la L.A.) dei due chirurghi plastici, quanto è quieto, lenta, disperata e desertica la cittadina di Albuquerque sul confine col Messico in cui è ambientato BB. Un paesaggio tipico da profondo Sud degli Stati Uniti, ma non nel senso “hot” di True Blood.
Breaking Bad è una serie che va assaporata con calma e poi a un certo punto ti prende, ti afferra e non ti lascia più andare. Come un pitone. Io ad esempio la stagione 3 me la sono bevuta in un sorso veloce, senza nemmeno accorgermene, per poi partire in tempo con la stagione 4 ora in onda negli USA su AMC (non a caso il network di altre serie strepitose come Mad Men e The Killing).

E vogliamo parlare delle interpretazioni? Qui siamo davvero over the top, roba da consegnare subito l’Emmy anzi l’Oscar a tutti, dal pazzesco protagonista Bryan Cranston al junkie show di Aaron Paul, alla M.I.L.F.ona Anna Gunn, al cognato che lavora nella DEA (agenzia americana antidroga) Dean Norris, all’esilarante avvocato dei protagonisti interpretato da un Bob Odenkirk su-bli-cazzo-me, a Giancarlo Esposito che dietro la facciata da gestore di un tipico fast-food americano detta invece le regole nel cartello della droga al confine tra USA e Messico e si rivelerà il più spietato figlio di puttana che vi capiterà di vedere in azione.

Se non l’avete mai visto: cominciate a seguirlo e non ve ne pentirete.
Se l’avete visto ma magari l’avete lasciato da parte: dategli fiducia che la terza stagione è una bomba e la quarta dai primi due strepitosi episodi promette di essere er mejo der mejo.
E se non vi fidate di me, fidatevi di un tranquillo, noioso professore di chimica di provincia che non farebbe mai niente di minimamente illegale e non farebbe mai del male a una mosca
… sì, come no.
(voto 9)




mercoledì 27 luglio 2011

Biofila!

Il nuovo album di Bjork Biophilia rappresenterà una nuova frontiera del concetto di album, visto che sarà integrato ad app per iPad e a un progetto multimediale e soprattutto multisensoriale unico e innovativo. Ma se pensate che la qualità musicale passi in secondo piano, vi sbagliate di grosso.
Questo è il primo singolo “Crystalline”, con un video diretto da Michel Gondry (mica ho detto Neri Parenti).
Bjork + Michel Gondry = nuovo capolavoro? Purtroppo no, però la canzone (soprattutto nel finale aphextwiniano) spacca


E come altra anticipazione dal disco-app c’è questa impressionante emozionante “Cosmogony”.
Fanculo, mi sa che Bjork mi costringerà a farmi l’iPad, maledetta!

Braccia rubate alla lap dance

Bitch Slap - Le superdotate
(USA 2009)
Regia: Rick Jacobson
Cast: Julia Voth, Erin Cummings, America Olivo, Michael Hurst, Minae Noji, William Gregory Lee, Kevin Sorbo, Lucy Lawless
Genere: soft porno
Se ti piace guarda anche: Grindhouse - A prova di morte, Sucker Punch, Machete, Piranha 3D

Trama
Perché, volete dire che questo film ha pure una trama?

Recensione cannibale
Uh, si inizia con una citazione di Joseph Conrad, giusto per darsi un tono. E poi i titoli di testa aprono con un montaggio di donne cazzute del cinema mondiale e appare persino la nostra Sophia Loren nazionale. Ci troviamo per caso di fronte a un film acculturato e profondo?
Ma va, appena parte la storia (quale storia?) vera e propria ci troviamo di fronte a un soft porno di discreto livello. Un peccato perché ci saremmo potuti essere le premesse per uno dei cult movies “ignoranti” assoluti del nuovo millennio e invece è solo una mezza puttanata. Un vorrei essere Grindhouse ma non posso.


Non tutto è da buttare, comunque: qualche momento divertente c’è, qualche battuta volgare è anche più o meno riuscita, ma soprattutto è un bel vedere per le 3 tettute protagoniste. Cosa che a questo punto può far scatenare il dibattito su come questo sia un film profondamente maschilista, che ci propone delle tipe che sembrano uscite dritte da un porno della Brazzers che si baciano, si menano e si gettano dell’acqua addosso. Ma se non vogliamo essere così estremi con i giudizi, potremmo semplicemente dire che è a suo modo un omaggio, per quanto piuttosto distorto, all’universo femminile. Da un divertissement come questo, seppur cinematograficamente non molto riuscito, alla prostituzione di Arcore ne passa parecchia di acqua sotto i rubinetti in oro. Così come pure siamo distanti dalla velinizzazione dell’immaginario collettivo nostrano.
Bitch Slap mi sembra più semplicemente un giuoco innocuo che non pretende di dare un’immagine realistica dell’universo femminile (così come non vuole dare un’immagine realistica di un bel niente) attraverso questa bella serie di top model con due bombe. D’altra parte anche in True Blood, ad esempio, ci sono in pratica solo uomini a torso nudo dai fisici perfettamente scolpiti, ma non mi sembra che questo abbia mai fatto sorgere le proteste di qualche associazione maschile. Quindi approcciandosi a una pellicola del genere dimenticate di prendere le cose sul serio. Anche perché - andiamo - come si fa a prendere sul serio una roba intitolata Bitch Slap (tralasciando il solito esagerato titolo italiano)? E poi, e questo è più che altro un difetto, il film non spinge mai troppo sulla violenza, sullo splatter, né tantomeno sul porno (ci sono tante tette vedo non vedo, ma non un vero nudo uno, Diobono!).

Venendo comunque alla materia prima fondamentale del film, le tre protagoniste sono delle gran gnocche (parere strettamente tecnico): Julia Voth svetta, anche per capacità recitative (ma non ci va tanto), nelle vesti della giovane Trixie per cui  tutti, sia uomini che donne, perdono la testa; la rossa Erin Cummings invece con quel cognome sapete già in quale campo cinematografico proseguirà la sua carriera, mentre la latina America Olivo è molto sexy, ma a recitare nella parte della bad girl è davvero cagna. Ed ecco spiegato il titolo, essendo un film recitato da vere bitches, nel senso che più che attrici sono proprio cagne, come le chiamerebbe René Ferretti di Boris.
Non bastando queste 3 piccole porcelline, che nell’unica trovata intelligente del regista ci vengono mostrate in maniera generosa attraverso ralenty enfatici sulle loro curve, a un certo punto compare pure una tipa orientale che è la copia uscita da una produzione porno della Gogo Yubari di Kill Bill. E qui il regista Rick Jacobson sembra guardare al Maestro Quentin, chiaramente omaggiato più volte all’interno di questa “opera”, anche se a livello visivo siamo più dalle parti di una versione low-budget virata al femminile di 300. In pratica come un Sucker Punch, ma senza la componente pseudo fantasy.

Per tacere su una pessima colonna sonora metal-tarra e sull’uso dei split-screen (con uno sfoggio sbagliato di tecnica cinematografica inesistente), i continui flashback sono inseriti assolutamente a casaccio: va bene che non tutti possono avere la maestria di un Tarantino o di un Nolan nel viaggiare attraverso storie temporalmente intricate, ma allora se uno non è capace è meglio evitare di complicarsi la vita e provare a raccontare la storia nel modo più semplice possibile. Peccato che qui la storia sia talmente esile, per non dire inesistente, che la confusione dei numerosi flashback è fumo negli occhi per mascherare tale mancanza. Ma più che Tarantino, il regista Rick Jacobson vorrebbe diventare il Russ Meyer della nuova generazione, solo che per il momento il suo tentativo è decisamente fallito. D’altra parte da uno che in curriculum ha una serie di tremendi filmacci action anni ’90 + una serie di discutibili serie tv come Spartacus, Xena e Baywatch Night (!) non è che si possano pretendere miracoli. O film un minimo minimo sensati.
Se cercate del Cinema qui dentro ce n’è davvero pochino, giusto un confuso tentativo, altrimenti Bitch Slap per farsi le seghe va più che bene.
(voto 5,5)

martedì 26 luglio 2011

¡Lega legalización ma no lega legalizanord!

Festini hardcore con puttane da 5.000 euro a botta?
Ma noi ci si accontenta anche così, con 'na cannetta sulle note della nuova di Caparezza.
Piccoli piaceri comunisti.

Victroio Feltri

Prima c'è stata la prima pagina-capolavoro "Sono sempre loro: Ci attaccano", in cui per quanto successo in Norvegia se la prendevano con il "solito" Islam, salvo poi scoprire poche ore dopo che l'attentatore era un estremista di destra, cristiano fondamentalista, conservatore, razzista, anti islamico e pure iscritto a una loggia massonica: esatto, il ritratto preciso sputato del lettore (e del giornalista) medio del loro Giornale. A questo punto nella nuova titolazione, facendo per una volta i timidi & prudenti, dicevano solo un generico: "Attacco sanguinoso. Strage in Norvegia."
Non contento di ciò, Vittorio Feltri ha espresso la sua opinione a proposito della strage sull'isola di Utoya in un editoriale pubblicato sul Giornale di ieri (25 luglio 2011) intitolato "Quei giovani norvegesi incapaci di reagire":

“Poiché la strage si è consumata in 30 minuti, c'è da chiedersi perché il pluriomicida non sia stato minimamente contrastato dal gruppo destinato allo sterminio. […] Cinque, sei, sette, dieci, quindici persone, e tutte disarmate, non sono in grado di annientare un nemico, per quanto agisca da solo, se questo impugna armi da fuoco. Ma 50 - e sull'isola ce n'erano dieci volte tante - se si lanciano insieme su di lui, alcune di sicuro vengono abbattute, ma solo alcune, e quelle che, viceversa, rimangono illese (mettiamo 30 o 40) hanno la possibilità di farlo a pezzi con le nude mani. […]
E' incredibile come, in determinate circostanze, ciascuno pensi soltanto a salvare se stesso, illudendosi di spuntarla, anziché adottare la teoria più vecchia (ed efficace) del mondo: l'unione fa la forza. Varie specie di animali quando attaccano lo fanno in massa e nello stesso modo si comportano quando si difendono. Attenzione però: gli animali istintivamente antepongono l'interesse del branco a quello del singolo. Unopertutti, tutti per uno. Evidentemente l'uomo non ha, o forse ha perso nei secoli, l'abitudine e l'attitudine a combattere in favore della comunità della quale pure fa parte. In lui prevalgono l'egoismo e l'egotismo. Non è più capace di identificarsi con gli altri e di sacrificarsi per loro, probabilmente convinto che loro non si sacrificherebbero per lui.”
Vittorio Feltri

Vediamo qualche successivo commento random preso dalla pagina Facebook di Feltri (non credo aperta personalmente da lui)
“Probabilmente, pezzo di un imbecille, ti sei infilato una penna su per il culo e hai scritto sculettando. Perchè bisogna essere davvero dei cretini, bisogna essere davvero senza palle, dei cani a guinzaglio della popolarità . Credi di essere un provocatore, sei solo un anziano, che implora ancora un posticino in società, sei estinto. Bye bye.”
Michele Lupi

“cosa vuol dimostrare con questa schifezza di articolo?
che è un giornalista?
un grande giornalista?
credo che lei sia semplicemente molto cretino....”
Luigi Nistri

“Vergognoso? No, troppo poco... Testa di cazzo? Già detto in 6812 post... Bastardo vigliacco? Potrebbe esserne felice (gli suonerebbe come un complimento)... Merda? No, neanche quella, essa ha un'utilità (quella di concimare) mentre ella si rassegni, andrebbe solo ad inquinare... E come minchia ti si può offendere?!?! Minacciarti? E' solo una perdita di tempo... Accopparti? Poi bisogna smaltirti... No cazzo, sai che sei davvero un grosso problema?”
Sergio Bergamaschi

Il mio commento (che non ho postato, perché per scrivere in bacheca bisogna prima cliccare su “Mi piace” e anche se subito dopo mi sarei potuto cancellare, mi avrebbe comunque fatto troppo schifo fare click su "Mi piace Vittorio Feltri"):
“Ha ragione, mio caro sig. Feltri, perché se c'è una cosa certa è che io per lei non mi sacrificherei. Mai.”
Cannibal Kid

Il commento migliore che ho trovato comunque è questo:
“TANTI AUGURI DI PRONTA GUARIGIONE PER IL TUMORE AL CERVELLO”
Ferdinando Salamini

OkNotizie

lunedì 25 luglio 2011

Ritratti di Amy

Tre anni fa avevo scritto una serie di brevi ritratti immaginari di personaggi femminili più o meno celebri che avevo pubblicato nel post Ritratti di signora. Tra di questi c’era anche una certa Amy.
Poi avevo continuato a scrivere e a sviluppare i personaggi e a intrecciare le loro storie con l’immaginario di Alice nel paese delle meraviglie, in quella che rimane a oggi un’opera folle e incompiuta.
In ogni caso questi sono i brevi ritratti immaginari che avevo scritto su Amy e a parte il primo non li avevo mai postati. Questo è il mio modo per ricordarla…

A letto
Amy si è addormentata guardando le stelle distesa sul manto morbido di un prato inglese. Accanto a sé ricorda una bottiglia di Jack e una di J&B, l’odore dell’erba fresca di pioggia nelle narici sensibili, l’umido delle sue mutandine e nient’altro. Si sveglia per magia a casa nel suo lettuccio caldo a fianco di un corpo che non conosce. Si chiede come abbia fatto a tornare lì. Svelta dice al corpo: “Sai che non sono una brava ragazza,” citando il testo di una sua canzone, anche se non ricorda di preciso quale, e gli indica la porta con decisione. Il tizio la guarda con l’aria del “Ieri sera mi sembravi molto più arrapante, baby,” ma non dice niente. Si alza dal letto nudo grattandosi le chiappe e se ne va con il cazzo ancora in erezione mattutina. Amy si guarda intorno preoccupata. La testa le fa un gran male. “È un rave party, non è una testa,” pensa. I bassi pulsano feroci sulle meningi. “Boom Boom Boom Boom.” Ha bisogno di qualcosa per tirarsi su. E alla svelta, Cristo. Ma non c’è niente di già pronto per tirarsi su. Quel tizio deve essersi fottuto tutto ieri sera. “O forse sono stata io?” si chiede in un breve attimo di lucidità. “Sì, devo essere stata io. Non quell’incapace.” Allora si mette a scaldare con amorevole cura la miscela di cloridrato di cocaina ed acqua preparata e poi aspetta che si raffreddi. Una lunga attesa. “Che nervi!” Il tempo sembra non passare mai quando si aspetta qualcosa. Un paparazzo se ne sta appostato lì fuori e appena vede sbucare la sua sagoma le scatta veloce una fotografia digitale. Mentre scappa via si chiede: “Ma perché quella si fa sempre davanti alla finestra?"


Al pub
“Tutto bene, Amy?” le chiede il barista.
“Certo che va tutto bene, pezzo di coglione.” Dà un’altra golata direttamente dalla bottiglia di Jack Daniel’s. “Ti sembra che ci sia qualcosa che non va?” Si alza cullando la bottiglia tra i suoi seni rifatti a mò di bebè. L’istinto materno ce l’ha, suo padre lo dice sempre alla stampa, è solo male indirizzato.
Infila un penny dentro al jukebox. Incredibilmente centra la fessura giusta. Gli tira un pugno per farlo andare giù ed ecco che nell’aria del pub si respirano le note di una vecchia canzone delle Chiffons. “Ancora le Chiffons,” si lamenta qualcuno. “Questa sta in fissa,” sussurra qualcun altro. Amy prova a cantare il pezzo insieme al jukebox, ma non ricorda esattamente tutte le parole, e quelle che ricorda le strascica. Balla ad occhi chiusi, ma più che ballare scuote solo un poco la voluminosa capigliatura da Marge Simpson e continua a dondolare la bottiglia di Jack Daniel’s tra le braccia secche.
“Hey, ho bisogno di una liposuzione, secondo te?” Chiede improvvisamente a un anziano che se ne stava quieto quieto a giocare a carte con gli amici. Il vecchio la guarda come si guardano i pazzi scatenati, o gli alieni. “Macchè liposuzione,” sghignazza guardando i compari solidali. “Hai bisogno di una bella bistecca, mia cara figliola,” le fa col tono più amorevole che esce fuori di bocca. Poi rivolge lo sguardo ai suoi compagni di po-po-poker scotendo vistosamente la testa e avvicina un dito alla tempia.
Amy è già da un’altra parte, lontana. Amy è dentro il jukebox. Tra un “sha la la la” e un “uou ou oo ooo.” Persa per sempre nel suono, nella musica, nelle parole, nei coretti.
Due tizi impomatati in giacca e cravatta e coi capelli pettinati all’indietro entrano nel pub. Tutti si voltano a guardarli. Tutti tranne Amy, presa da una danza che nella sua naturalezza ha un chè di tribale. I due tizi le si avvicinano minacciosi. Si tolgono gli occhiali da sole e la guardano fissi. Cercano di attirare la sua attenzione, ma lei ha gli occhi chiusi e avendo le orecchie troppo vicine alle casse del jukebox non ha sentito i passi dei mocassini Gucci identici che i due tizi calzano.
“Signorina?” le chiede tizio numero uno, educatamente.
“Signorina, ha un minuto da dedicarci?” insiste tizio numero uno.
“Signorina!” urla tizio numero due. La prende per una spalla e la scuote. Finalmente Amy si gira, anche se i suoi occhi non sono aperti al 100%. Sono aperti diciamo a un 40%, il che può andare già bene. Almeno, i due tizi se lo fanno bastare. “Signorina, possiamo sederci un momento?” le chiede tizio numero uno. “Dovremmo parlarle di una cosa.”
“Non ne ho voglia,” piagnucola Amy. “Non ne ho vogliaaaa. Papi, dove sei?”
“Suo padre non è qui, signorina,” le ricorda tizio numero uno. “Suo padre in questo momento sta rilasciando delle dichiarazioni in una conferenza stampa. Dichiarazioni amorevoli su di lei. Suo padre le vuole molto bene. Adesso si vuole sedere, signorina?” “Io voglio solo ballare,” afferma Amy sbattendo la testa voluminosa su e giù. “Ballare e cantare, ecco,” mette su il broncio.
“Signorina,” la afferra per un braccio tizio numero due. “Vuole ballare… e balliamo, allora.” La stringe tra le sue possenti braccia e poi la fa volteggiare come una ballerina da soprammobile. Il suo corpo secco ruota per incanto e i capelli le si sciolgono e le ricoprono il viso. I ciuffi neri le vanno a finire sugli occhi semi-aperti. Sorride. Per un momento i due tizi pensano, anzi ne hanno la certezza: “Amy è felice”. Subito dopo lei si porta una mano sullo stomaco e farfuglia qualcosa tipo “Devo vomitare. Adesso!” prima di correre velocemente verso il bagno. Non ha ancora aperto la porta, però, che lo sbocco le viene su e inonda il pavimento del pub. “Ora mi sento fottutamente meglio,” respira.
Il proprietario fa cenno al garzone di andare a pulire. Dalla sua faccia (che è quella di chi ha perso ogni speranza) si direbbe abituato a vedere scene di questo genere. Il garzone pulisce il pavimento svelto come quei ragazzini che sbucano da non si sa dove e puliscono il campo di Wimbledon. È di nuovo tutto in ordine. Amy va a risciacquare il viso in bagno. Una volta giunta davanti allo specchio e aperto il rubinetto dell’acqua fredda fa dietro front e và dal barista al banco. “Un Irish coffee, please,” chiede. “Alla sveltaaa,” piagnucola. “Ne ho bisogno. Ora.”
I due tizi si sono messi seduti comodi a un tavolo. Hanno capito che non sarebbe stato facile parlarle. Per niente. “Ci porta due scotch, prego? Lisci.” Tanto le cose si stavano già tirando per le lunghe. Lo scotch almeno avrebbe aiutato a far passare meglio il tempo.
Una volta bevuto il suo caffè irlandese, Amy viene convocata dai due eleganti signori al loro tavolo. Di nuovo. “Ma di cosa diavolo volete parlarmi?” chiede sinceramente incuriosita.
“Signorina. Noi veniamo per conto della sua casa discografica,” le annunciano. “C’è il nuovo disco schedulato per la fine dell’anno e le registrazioni vanno completate. Abbiamo ancora molto lavoro da fare, signorina. Si rende conto di questo? C’è molta gente in attesa di questo benedetto disco. Noi, e i suoi fan, abbiamo bisogno di lei, in forma. Riesce a capire ciò di cui le sto parlando?” le domanda tizio numero uno.
“Mmm… Sì?” risponde in modo tutto fuorchè sicuro Amy.
“Per farmi capire meglio,” prosegue il discorso a staffetta tizio numero due, “lei deve essere RIPULITA per lavorare all’album. Questo significa NIENTE ALCOOL e NIENTE DROGHE. Questo significa RIABILITAZIONE,” afferma alzando il tono di voce sulle parole chiave. “E questa volta la casa discografica non ha intenzione di accettare un No No No come risposta. Ci siamo intesi, signorina?”
“No No No?” chiede Amy in confusione.


In studio
“Una canzone su un bracconiere,” fa Amy, strafatta. “Anzi, una canzone d’amore su un bracconiere che perde la testa per una balena che doveva cacciare,” corregge il tiro Amy, sempre più strafatta.
“È una bella idea,” la incoraggia Mark convinto. “Ma sai che c’è, Amy? Le balene non comprano i dischi e i bracconieri sono un mercato piuttosto ristretto.” Si prende una pausa caffè per riflettere su quello che dice. È la presenza di Amy che lo stordisce. Tira una boccata di Lucky Strike modificata per calmarsi e poi prosegue. “Quello che sto cercando di dirti è che balene e bracconieri non corrispondono, almeno al momento, al target cui la nostra musica si rivolge. Me lo hanno confermato anche quelli della casa discografica.” Fa segno a un tecnico del suono di levarsi velocemente dalle palle. “È un mercato che potenzialmente vorremo raggiungere, in futuro. Quindi questa idea mettiamola per il momento da parte. Però è buona. È una idea molto buona, Amy. Sono fiero di te e sono fiero della tua testa.”
“Grazie, uomo,” se la sghignazza Amy divertita. “Allora niente canzone d’amore. Facciamo una canzone d’odio.”
“Mi piace questa id…” Mark dà un colpo di tosse secco. “Scusami, Amy. Oh, scusami davvero tanto.”
Il colpo di tosse ha provocato dei piccoli lapilli che sono finiti sul suo décolletè pronunciato. Lei non se n’è nemmeno accorta. Gli fa cenno di proseguire. “Dai, che sennò mi dimentico di cosa stai parlando,” lo invita ad affrettarsi.
“Dunque,” tossicchia ancora un pochino Mark dopo aver tirato un’altra boccata dalla Lucky. “Dicevo che l’idea di una canzone d’odio è ottima. Dannazione! e dico: veramente un’ottima idea, donna.” Fa su e giù con la testa seguendo il ritmo del batterista che sta provando di là in sala di registrazione. “Di preciso, che hai in mente?”
“Una canzone d’odio puro,” si concentra Amy. “Un odio di quelli veramente bastardi, sai cosa intendo?”
Mark fa cenno di sì con la testa, convinto. In realtà non ha idea di cosa stia parlando Amy.
“Qualcosa tipo una madre che uccide il figlio. Questo genere di cose. Una merdata da stronzi puri. Una cosa imperdonabile.”
“Una madre che uccide il figlio?” fa Mark pappagallo, riflettendoci sopra. Si accarezza il mento leggermente peloso.
“Già,” tossicchia pure Amy.
“In effetti non mi viene in mente niente di più bastardo di questo,” riflette Mark tirando un’altra boccata dalla Lucky Strike corretta. “Ma se tornassimo alla canzone d’amore del bracconiere per la balena?”


In tour
“Amy, svegliati. C’è il soundcheck da fare,” le sussurra uno sconosciuto.
“Mmm,” fa lei scansando con un riflesso condizionato la mano che gli sta dando una pacca energica sulla spalla. “Va via. Voglio dormire,” piagnucola. “Gnegnegnegnegneee.”
“Amy…” la prende in braccio. “Coraggio, andiamo.”
“Nuoooo… non voglio andareee.”
Gettata sul palco, Amy riscalda la voce. “La la la la.” La voce non va un granchè. “La la la la.” Niente da fare. È il microfono che non funziona?
“Portatemi qualcosa da bere,” si mette a gridare. “Per favore,” la voce le è già scesa del tutto.
Lo sconosciuto di prima (“Dev’essere il mio schiavetto” pensa) le porta una bottiglietta.
“Ma non acqua, Cristo Santo. Io non bevo acqua,” sclera lei quasi in lacrime. “Mai!”.


In carcere
“Hai promesso,” le dice suo marito dall’altra parte del vetro. “Hai promesso sarebbe stato per sempre. L’hai giurato davanti a Dio.”
Amy fa per accendersi un joint, ma un secondino la ferma in tempo. “Non vorremmo dover arrestare anche lei, signorina,” la supplica nel modo più gentile possibile. “Magari la arrestiamo un’altra volta,” aggiunge poi vedendo come la popstar ha gettato il joint davanti ai suoi piedi.
“Io non ho veramente giurato davanti a Dio,” riesce finalmente a replicare al marito. O ex marito? “Avevo le dita incrociate. Ho barato. Ta-dan! Eccoti servita la vera verità.”
Il maritino guarda i suoi occhi da cerbiatta allungati con l’eyeliner e non vede amore. Vede il vuoto. Due buchi neri che le scavano il volto e non danno segno alcuno di emozione. Vorrebbe non avere quel vetro in mezzo alle palle per poterla toccare, capire se i suoi peli contro i suoi peli si rizzano per l’emozione oppure no. Capire se quei buchi neri sono qualcosa di irrimediabilmente irreversibile o irreversibilmente irrimediabile. Capire se il loro matrimonio è veramente giunto al capolinea o più semplicemente l’autista è sceso a farsi una pisciata e a mangiarsi un panino alla porchetta prima di riprendere il viaggio. Un viaggio non finisce fino a che non si arriva da qualche parte. E se il punto d’arrivo coincide con il punto di partenza altro non è che una mara-maratonda senza inizio né fine.


In strada
L’amore è un gioco perso in partenza. Amy l’ha capito presto. Il giorno dopo averle dato il suo primo primo bacio, in prima media, Jimmy le ha tirato i capelli in classe e tutti si sono messi a ridere a crepapelle. I suoi capelli erano già molto particolari e lei ci teneva a distinguersi dagli altri bambini normale. Quel giorno il suo cuore si è spezzato per la prima volta.
Tutte le emozioni che sente potrebbero non essere vere. Un’illusione di umanità dentro a un guscio fragile e scheletrico. Si allontana dal carcere e non sa nemmeno perché ci è venuta. Magari per mettere il punto alla frase. La parola “fine” a un romanzo iniziato male. Sapeva dall’inizio che sarebbe andata a finire così. L’amore è un gioco perso in partenza. Adesso ci vuole una bella canzone delle Supremes e un J&B on the rocks.
Invece squilla il telefono. Will You Still Love Me Tomorrow delle Shirelles. “È ora di cambiare suoneria,” pensa Amy, indecisa se rispondere o meno. Non ha proprio voglia di sentire il bla bla bla di qualche scocciatore. Al settimo squillo decide di rispondere perché tanto il pub è ancora così maledettamente lontano che prima di arrivarci si annoia e allora può anche sopportarsi un bla bla bla fino a quando il suo culo magro non sarà seduto sopra lo sgabello alto del bancone. A volte le capita di soffrire di vertigini, seduta là sopra. Ma questa è un’altra storia.
“Amy,” le fa tizio numero uno. Pare sorpreso che le abbia risposto al telefono, e così in fretta. Dopo meno di dodici squilli. Non è una cosa che succede spesso.
“Come stanno procedendo le registrazioni per il nuovo album?”
“Procedono,” taglia corto Amy.
“Qualche dettaglio maggiore me lo puoi fornire?” tizio numero uno ci prova. Bisogna dargli atto che almeno ci prova. Da quando la composizione per il tema portante di quel film da cento milioni di dollari di budget era andata all’aria si sentiva veramente poco fiducioso che Amy potesse riuscire a portare un intero album di canzoni nuove alla fine.
“Abbiamo provato un paio di cose, io e Mark,” si sforza Amy. “Qualcosa di nuovo, o forse qualcosa di vecchio. Dipende da come vedi le cose. Le note sono 7. Tutto è già stato fatto. Tutto è già stato suonato. Ogni scandalo compiuto. E tutte le droghe sono state già prese.” Amy prende fiato. Di solito non parla così tanto. “Però penso che dovremo ancora mettere a posto i dettagli. I dettagli sono importanti,” si dà l’aria di quella che cerca veramente di far funzionare le cose. Amy la lavoratrice. Amy la sgobbona. Amy la professionista instancabile.
“Mi fa piacere sentirti dire queste cose,” sorride tizio numero uno realmente contento. Il suo sorriso non può essere visto da alcuno, se non dalla segretaria che gli sta portando un caffè lungo proprio in quel momento. “Ecco, signore. Con tanto zucchero come piace a lei.”
“Grazie, Mary. Lascialo pure qui,” le fa guardandole la scollatura generosamente esibita.
“Amy. Amy, cazzo. Il mio nome non è Mary. È Amy, cazzo!” torna la popstar rabbiosa. Butta giù e spegne il Blackberry. Lo sapeva che non doveva rispondere. Lo sapeva che non doveva andare fino al carcere a trovarlo. Lo sapeva che se si muoveva dal pub cominciavano a girarle le scatole e il karma le andava a puttane.
“Adios, Amy la lavoratrice. Adios, Amy la sgobbona. Adios, Amy la professionista instancabile,” si ripeteva tra sé e sé piano piano con quella stupenda voce roca da anziana donnona di colore rinchiusa dentro il corpicino secco di una ragazzetta inglese.
“Adios, Amy.”

domenica 24 luglio 2011

Amy


Non si può certo dire che non fosse una morte annunciata. Lo sapevamo tutti a cosa andava incontro. Lei stessa probabilmente lo sapeva. Allo stesso tempo però la notizia mi è arrivata come uno shock e sono ancora nella fase del rifiuto che ciò possa essere vero.
La più bella voce della mia generazione non c’è più?
Qualcuno mi svegli da questo incubo.
Sono inconsolabile e le mie lacrime non si asciugheranno da sole.
No no no

sabato 23 luglio 2011

Un Comic-Con poco Comic molto Con

In questi giorni a San Diego, California, USA, Pianete Terra, Universo, si sta tenendo il Comic-Con, l’annuale convention festival dedicata a cinema, fumetti, videogames e quant’altro legato al mondo di fantascienza, sci-fi, fantasy, supereroi etc., un tempo meta di culto per tutti i nerd del mondo e oggi diventata ormai un trampolino di lancio per un sacco di film e serie tv di qualunque tipo.

Una delle nuove serie più promettenti della prossima stagione americana? Almeno per tutti i buffi fan di Buffy come me è Ringer, la nuova misteriosa e intrigante serie con Sarah Michelle Gellar. Regia: vai di contributo video.


Un’altra nuova serie molto attesa (ma potrebbe anche rivelarsi una robetta non eccezionale alla Falling Skies) è Alcatraz, prodotta da J.J. Abrams e con protagonista Coso… l’ex Hugo di Lost


Tra le novità più cooooool presentate c’è poi il primo assaggio del ritorno di Beavis & Butthead. Sì, i due idoli + idoli e scemi e + scemi degli anni ’90 torneranno quest’autunno su Mtv (almeno negli USA, ma probabilmente anche in Italia) e questa è un’anteprima di un nuovo episodio in cui assistono anche a quegli zarri pazzeschi del reality di Mtv Jersey Shore…


Immancabile poi il nostro serial killer di quartiere Dexter, con il promo della sesta stagione


Altra preview interessante è quella di The Walking Dead. La prima stagione della zombie-serie non mi aveva entusiasmato per niente, però voglio continuare a dargli fiducia e il trailer della seconda promette non dico benissimo, ma almeno cose decenti…


E infine i vampiri: sì, sono arrivati anche i protagonisti di Twilight: Breaking Dawn tra urla, scene di delirio varie, gente che voleva farsi mordere sul collo (dimenticando che Edward Cullen è una fighetta che non morderebbe nemmeno una mosca), però c’è stato spazio pure per il più interessante The Vampire Diaries, con il trailer della stagione 3 (anche se in realtà è un montaggio di scene della 2...).
Magari con i comics questo Comic-Con ha sempre meno a che fare, però almeno la robba interessante non manca…


OkNotizie

venerdì 22 luglio 2011

Rebecca Merd is back

Lo so, era il momento che voi bimbiminkia là fuori stavate aspettando da tutta una vita, cioè tipo dagli ultimi 8 anni.
L’autrice del video scult dell’anno Friday, ovvero Rebecca Black, è tornata con una nuova canzone che, contrariamente ai miei pronostici, non si chiama "Yesterday was Friday, Today Surprise Surprise is Saturday", bensì "My moment". Canzone & video fanno schifo, è vero, però non è rimasto più niente della bruttezza assurda e genialmente trash del precedente.
Mi sa che il tuo moment è già bell’e che finito, Rebecca Merd...


E questa è la meravigliosa versione senza auto-tune
(grazie a Mattia per la segnalazione!)

OkNotizie

Il portasfiga della scuola

Per sfortuna che ci sei
(Francia, Belgio 2010)
Titolo originale: La chance de ma vie
Regia: Nicolas Cuche
Cast: Francois-Xavier Demaison, Virginie Efra, Raphael Personnaz, Thomas N’Gijol, Armelle Deutsch, Brigitte Rouan, Yves Jacques, Elie Semoun
Genere: commedia sfigata
Se ti piace guarda anche: Carissima me, LOL (Laughing Out Loud), Il favoloso mondo di Amelie

Avete presente il portasfiga della vostra scuola, o quello della vostra città? Oh, andiamo, non fate finta di non sapere di cosa sto parlando: in ogni scuola e in ogni città c’è almeno un portasfiga ufficiale. Spesso anche più di uno. Non si sa bene perché, non si sa bene per come, ma ovunque c’è qualcuno che viene additato come tale e, a quanto pare, non solo in un paese particolarmente superstizioso come l’Italia (qualcuno ha nominato Napoli???), ma pure in Francia. Di solito capita che la leggenda venga ampliata dalle voci, dal passaparola, e spesso anche dalla stupidità umana. Oppure capita che ci siano persone che portano per davvero sfiga, chi lo sa?
Comunque il protagonista di questa commediola francese è proprio un portasfiga: ogni ragazza che esce con lui finisce inevitabilmente all’ospedale, o comunque per farsi mooolto del male, o comunque per subire imprevisti e ielle di vario tipo. Oltre che un portasfiga, Julien è però anche un fenomeno nel suo lavoro, ovvero il consulente matrimoniale e per coppie in generale. In quello è davvero bravo, anche se gli sceneggiatori (tra cui un certo Luc Bossi, parente?) non si sforzano certo più di tanto per darcene una dimostrazione concreta. Il film gioca così prevedibilmente sul contrasto tra i suoi fallimenti amorosi personali e il successo invece nel far stare insieme gli altri, un po’ come un novello Amelie al maschile (ma la nuova commedia francese riuscirà mai a scrollarsi di dosso l’eredità de Il favoloso mondo di Amelie?).
Fino a che non arriva una donna affascinante, o perlomeno molto più affascinante di lui (perché lui è davvero brutto!), e così cercherà in tutti i modi di conquistarla, fregandosene del fatto che pure lei dovrà incorrere in tutta una serie di sfighe varie per colpa sua.

Questo spunto della sfiga è simpatico e riuscito e la prima mezzoretta della pellicola fila bene, tanto che potrebbe essere un’idea già bell’e pronta servita in tavola per un remake americano dal successo facile facile. Per la restante ora la commedia francese scivola invece nella noia, tra tutta una serie di gag che non fanno ridere nemmeno un… francese, varie trovate da far invidia ai nostri cinepanettoni (il pompino in ascensore, ancora??), e qualche inserto di animazione grafica da far accapponare la pelle.
Male gli attori: il protagonista per tutto il tempo ha indosso, oltre che una rara faccia da pirla, anche un capotto con una sciarpa: ma dargli un altro vestito no? Il budget costumi era terminato? Come portasfiga è anche piuttosto credibile, però certo che questo attore Francois-Xavier Demaison è davvero odioso a partire dal nome, e la protagonista femminile Virginie Efra non è che pure lei ispiri tutta ‘sta simpatia, per non parlare di tutta una serie di caratteristi in ruoli minori che sono macchiette della peggio specie.

Il fatto che una porcatina (persino definirlo porcatona è esagerato) del genere abbia trovato una distribuzione italiana, quando molte altre pellicole meritevoli d’Oltralpe non ce la fanno, non è comunque certo una cosa che stupisce, anche perché questo sembra un prodotto già perfetto per una prima serata di Canale 5. E poi perché il trailer funziona ed è accattivante al punto giusto da poterti convincere che sì, sarà la solita commedia leggera, ma magari non sarà così male. Invece, dopo una partenza decente, si trasforma in quello che credo, mi pare, penso i francesi chiamino Cinema de merde.
Se quindi vi cimentate nella visione di questo film… buona fortuna!
(voto 4,5)


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giovedì 21 luglio 2011

Hanno ucciso Batman in bagno chi sia stato non si sa

Può esistere uno scontro più epico di quello tra me e il mio acerrimo blogger rivale Mr. James Ford? Non credo, ma se proprio dovesse esserci, eccolo qui.
The Amazing Spider-Man, il nuovo reboot dell’Uomo Ragno firmato dal promettentissimo Marc Webb, regista rivelazione assoluto con la stupenda commedia (500) giorni insieme...


... contro il Batman di Christopher Nolan, con l’ultimo capitolo della sua trilogia The Dark Knight Rises (se poi la serie continuerà, non sarà più diretta da Nolan).
Voi da che parte vi schierate?


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