lunedì 14 agosto 2017

Smetto quando voglio di guardare sequel





Smetto quando voglio – Masterclass
Regia: Sydney Sibilia
Cast: Edoardo Leo, Stefano Fresi, Greta Scarano, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Marco Bonini, Giampaolo Morelli, Rosario Lisma, Valeria Solarino, Luigi Lo Cascio


C'è una cosa che ho sempre adorato del cinema italiano.
Dite le magistrali interpretazioni dei nostri attori?
Ma che siete fuori di testa?


Dite le magnifiche sceneggiature perfettamente orchestrate?
No, dico: sul serio?


Dite l'enorme organizzazione produttiva e distributiva?


No. Non ci siamo assolutamente e comunque devo smetterla di farvi domande. Una cosa che mi è sempre piaciuta del nostro cinema è quella di non aver mai dato troppo spazio ai sequel. Non quanto gli americani, se non altro. Quelli sono proprio fissati, con i sequel, ma pure con i prequel, i remake, i reboot, gli spin-off, le saghe, le serie e chi più ne ha, più ne metta. L'importante è fare soldi senza avere idee nuove. Meglio rubarle da altre parti, che possono essere romanzi, racconti, fumetti, cartoni animati, videogame, film vecchi o film stranieri o qualsiasi altra cosa, giochi in scatola compresi.


In mezzo a tutta questa infinita scelta di possibilità rigorosamente non originali, i sequel restano sempre un porto sicuro. Se un film ha funzionato, o al giorno d'oggi se anche solo ha avuto un minimo di successo (si vedano lavori dagli incassi non poi così stellari come Pacific Rim, Underworld, Resident Evil o John Wick), la strada più semplice è replicarlo. Dopo tutto le serie tv sfornano un episodio dopo l'altro, una stagione dopo l'altra, e il cinema che fa? Resta a guardare? Eh no. È così è arrivato il tempo di serializzarsi anche per i nostri film.


Smetto quando voglio qui su Pensieri Cannibali è stato accolto come una vera e propria boccata d'aria fresca. Questo nonostante la sua fonte d'ispirazione mica tanto nascosta fosse un certo Breaking Bad. Poco importava. La pellicola aveva una forza tutta sua, un impeto tardo-adolescenziale che faceva riflettere sui tempi magri in cui la generazione di neo (o neanche tanto neo) laureati vive, e che allo stesso tempo sapeva divertire ed esaltare. Quasi come se si fosse fatti di qualche sostanza più o meno legale. Quasi come se ci si trovasse dentro un The Wolf of Wall Street alla romana, e ho detto quasi. Sydney Sibilia è sì un regista promettente, ha la capacità di regalare un ottimo ritmo alle sue pellicole, però non credo sia il nuovo Martin Scorsese. Questa sarebbe una sparata eccessiva perfino per i miei standard.


Per quanto mi fosse piaciuto, e cioè parecchio, non sentivo comunque un enorme bisogno di un seguito. E infatti Sibilia, preso in un momento di wachowskite acuta, ha deciso di non fare un seguito solo, bensì due: il qui presente Smetto quando voglio – Masterclass, e poi Smetto quando voglio – Ad honorem, di prossima uscita.
Masterclass ha il merito di non essere un seguito-fotocopia della pellicola originale e ha anche il pregio, al giorno d'oggi mica da poco, di farsi guardare con piacere dall'inizio alla fine, senza far accusare grossi cali d'interesse. In più ha una colonna sonora molto cool, in cui spiccano Stop the Rock degli Apollo 440, Underdog dei Kasabian e il punk d'apertura di Take Back the Power degli Interrupters. L'altro grande pregio?
Greta Scarano.
Chi è Greta Scarano?

"Chi è 'sta Greta Scarano? Io proprio non lo so..."

È l'attrice rivelazione di Suburra che qui ha un ruolo da quasi protagonista. Nei panni dell'agente di polizia buca lo schermo ed è parecchio convincente. Impresa non semplice, se consideriamo che la rappresentazione media delle nostre forze dell'ordine in genere è questa...

"Ce l'hai per caso con noi?"

I punti di forza della pellicola – ahimé – si fermano qui. Così come il primo film, anche questo Masterclass guarda Oltreoceano come fonte d'ispirazione principale. Questa volta però non siamo più dalle parti di uno spaghetti-Breaking Bad, quanto piuttosto di una revisione in stile “Cervelli in fuga edition” delle pellicole poliziesco-action ammeregane e il risultato è riuscito solo in parte.
La prima metà del film è in pratica tutta dedicata al recap di quanto successo ai protagonisti dopo le vicende del primo capitolo, più la presentazione delle new entry portate sullo schermo da Marco Bonini, Giampaolo Morelli e Rosario Lisma. Un “reclutamento” che ricorda quello di blockbusteroni Usa come Armageddon e pure il tanto criticato Suicide Squad. Una scelta narrativa che rende la pellicola più un collage di sequenze a sé stanti, con tanto di qualche momento in stile videoclip, e che pecca di mettere troppa carne al fuoco. Troppi personaggi abbozzati. Ognuno riesce a ritagliarsi un suo spazio, per carità, ma alcuni proprio uno spazio minimo. Non viene inoltre permesso ai protagonisti della prima pellicola di avere una vera crescita. Restano personaggi piuttosto bidimensionali. Stefano Fresi sembra già essere diventato la parodia di se stesso ed Edoardo Leo (che fino ad ora ho sempre sostenuto) comincia a recitare un po' con il pilota automatico.


Masterclass nel complesso non è una copia del primo film, ma non riesce nemmeno a esserne una vera evoluzione. Resta lì impantanato a metà strada tra il cercare una narrazione nuova, più poliziesca e d'azione, e allo stesso tempo non riesce a far allontanare la sensazione di déjà vu.
Il problema principale della pellicola però non è tanto della pellicola in sé, quanto mio. Pur avendo un buon ritmo, non mi ha coinvolto in pieno e nel corso della visione non ho provato la stessa eccitazione provata con il primo capitolo. Pur regalando qualche momento divertente, non è riuscita a strapparmi le stesse fragorose risate. Pur facendo pensare e un pochino incazzare sulla situazione lavorativo/culturale/sociale dell'Italia attuale, non mi ha fatto nascere le stesse riflessioni. Mi è sembrato tutto più spento, tutto più sottotono. Un sequel decente, per carità, ma per quanto mi riguarda anche piuttosto diludente.


Certi film sono perfetti così. Delle istantanee che fotografano un preciso momento e non hanno bisogno di repliche o di seguiti. Smetto quando voglio per me è era uno di quei film. Il consiglio, per quanto non richiesto, che voglio dare ai registi italiani che hanno girato delle pellicole cult, mi riferisco in particolare a Paolo Genovese di Perfetti sconosciuti e a Gabriele Mainetti di Lo chiamavano Jeeg Robot, è quindi quello di non seguire questo trend dalle nostre parti nascente. Non facciamo come gli americani. Non cominciamo a fare dei seguiti così, tanto per fare. Cerchiamo progetti nuovi, idee originali. E smettiamola con 'sti ca**o di sequel!
(voto 6/10)


P.S./Scena dopo i titoli di coda Quando dico “facciamo”, “cominciamo”, “cerchiamo”, intendo in realtà voi registi e sceneggiatori "fate", "cominciate" e "cercate". Io, da blogger pseudo cinematografico quale sono, mi limiterò a cercare di smetterla di guardare sequel. Anche se, considerando che tra gli ultimi film che ho visto ci sono T2: Trainspotting, The Ring 3 e Fast & Furious 8, la vedo alquanto dura...

7 commenti:

  1. Concordo con te.
    Per me, poi, già il primo era sopravvalutato e abbastanza inutile, nonostante la fotografia acida e il buon cast. Meglio i Manetti e Song 'e Napule.

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  2. Sì, sequel piuttosto spento, soprattutto nella prima parte e il solitamente convincete Leo sembrava la parodia di se stesso. Tristemente.
    Spero le tue parole possano fermare il sequel non richiesto di Jeeg, o qualche reboot nostrano da rivoltarsi nella tomba.

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  3. A me invece è piaciuto molto, mi è sembrato un ottimo sequel sia in linea con il capitolo precedente sia in grado di far esplorare nel giusto modo il genere action al cinema italiano. E per essere riusciti a farmi piacere una commedia action - che a me il più delle volte non vanno giù - bisogna fare un plauso a Sibilia. Attendo impazientemente il terzo e conclusivo capitolo in arrivo a Novembre.

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  4. Ha bruciato una bella occasione... Gran peccato!

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  5. Senza infamia e senza lode tanto quanto il sopravvalutato primo film.
    Ed Edoardo Leo. ;)

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