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giovedì 20 giugno 2019

Arrivederci cinema



Pochi ma buoni?
I film in arrivo questa settimana nei cinema italiani non sono numerosi ma, a guardarli di sfuggita e da lontano, non promettono niente di troppo buono. Sarà davvero così?

Proviamo a scoprirlo, con la piacevole compagnia dei miei commenti, con la sgradita presenza del mio blogger nemico James Ford e con l'incognita dell'ospite di turno. In questa puntata abbiamo insieme a noi Bobby Han Solo, blogger dal nickname geniale. O forse non è un nickname ed è tutto merito dei suoi genitori che hanno deciso di chiamarlo per davvero in questo modo?
Fatto sta che Bobby Han Solo è l'autore di un blog che si chiama... Cinema Tv Musica. Ehm, sinceramente da uno come lui mi aspettavo una denominazione più fantasiosa, ma fa sempre in tempo a cambiarlo in Millennium Falcon giorni di te e di me, Luke Skywalker Texas Ranger o qualcosa del genere. A lui ora la parola.


Intro di Bobby Han Solo: Solo un grazie a Cannibal Kid (nonché relativo James Ford) per l'invito a partecipare alle recensioni settimanali. Ecco le mie impressioni "a prima vista" visionando i trailers.

LA BAMBOLA ASSASSINA
"Non sono un Cucciolo Eroico, sono una Bambola Eroica!"

lunedì 4 dicembre 2017

Seven Sestras





Seven Sisters
Titolo alternativo: What Happened to Monday
Regia: Tommy Wirkola
Cast: Noomi Rapace, Noomi Rapace, Noomi Rapace, Noomi Rapace, Noomi Rapace, Noomi Rapace, Noomi Rapace, Willem Dafoe, Glenn Close, Marwan Kenzari


Lunedì

I dont' like mondays. Tell me why...

Eh, tell me why un cazzo. A chi piace il lunedì?
È l'inizio di una nuova settimana lavorativa, o di scuola, o comunque di calvario.
Non a caso, le cose non iniziano bene nemmeno per Monday. Chi è Monday e, soprattutto, cosa le è successo, come chiede il titolo originale del film di cui è protagonista insieme alle sue sorelle?
What Happened to Monday, uscito in Italia (ma anche in Francia, c'è da dire) con l'inspiegabile titolo di Seven Sisters, e non ad esempio Sette sorelle, è ambientato in un futuro distopico dove, per contrastare il problema della sovrappopolazione, è in vigore la legge del figlio unico, la politica del controllo sulle nascite per cui una coppia non può avere più di un figlio. Più che in un futuro distopico, a questo punto non potevano ambientarlo nella Cina a cavallo tra il 2002 e il 2013?

lunedì 23 marzo 2015

CHI È SENZA COLPA... NON LA DIA A ME





Chi è senza colpa
(USA 2014)
Titolo originale: The Drop
Regia: Michaël R. Roskam
Sceneggiatura: Dennis Lehane
Ispirato al racconto: Animal Rescue di Dennis Lehane
Cast: Tom Hardy, James Gandolfini, Noomi Rapace, Matthias Schoenaerts, John Ortiz, Elizabeth Rodriguez, Ann Dowd
Genere: colpevole
Se ti piace guarda anche: Mystic River, Gone Baby Gone, The Iceman

Chi è senza colpa?
Chi è stato assolto in Cassazione in maniera definitiva può essere considerato senza colpa?
Per la legge italiana sì.
Chi altri?
Io sono senza colpa. L'unica colpa che mi si può imputare è quella di parlare malamente di cinema e a volte pure di musica e serie tv, ma nessuno è perfetto.

lunedì 29 luglio 2013

PASSION PER LA PASSERON




Passion
(Germania, Francia 2012)
Regia: Brian De Palma
Sceneggiatura: Brian De Palma
Ispirato al film: Crime d’amour di Alain Corneau
Cast: Rachel McAdams, Noomi Rapace, Karoline Herfurth, Paul Anderson, Rainer Bock, Benjamin Sadler, Dominic Raacke
Genere: thriller
Se ti piace guarda anche: Crime d’amour, Effetti collaterali, Il cigno nero, Femme fatale
Uscita italiana: ?

I remake sono un po’ come le cover musicali. Inutili, il più delle volte, con qualche piacevole eccezione ogni tanto. Certe volte mi chiedo: ma che gusto c’è, a utilizzare l’idea di qualcun altro? La Storia è fatta di riproposizioni delle stesse storie, è normale che sia così. Un conto però è quando vengono rilette vicende del passato in una chiave nuova, con una rivisitazione moderna, attuale, o che magari proponga una visione personale dell’autore, come Il grande Gatsby del grande Luhrmann.
Alcune volte, si tratta di adattare pellicole per il mercato USA, perché gli americani non hanno la pratica del doppiaggio e i film con i sottotitoli si rifiutano CA-TE-GO-RI-CA-MEN-TE di guardarli. Capita in taluni altri rari casi che la nuova versione aggiunga persino qualcosa all’originale. Tra i miei remake preferiti metto The Ring, che ho trovato meglio recitato nella versione USA, grazie a una grande Naomi Watts, più teso e pure più approfondito nella sua riflessione sul potere della televisione.
Ogni tanto, il remake si risolve invece in un giochino divertente soprattutto per chi lo realizza. È il caso della fotocopia US version di Funny Games, con cui Michael Haneke ha rifatto il suo stesso film con mezzi americani, e con ancora una volta per protagonista la specialista nel settore Naomi Watts. Oppure il rifacimento a colori, ma per il resto ricalcato scena per scena, di Psyco a opera di Gus Van Sant. Un divertissement cinefilo irresistibile per chi l’ha girato, un po’ meno per lo spettatore.

Detto tutto ciò, dove si colloca Passion, rifacimento di Brian De Palma di Crime d’amour, un film francese del 2010, quindi recentissimo? Qual è la sua utilità?
È davvero difficile da capire. Il film è girato in inglese anziché in francese, però si tratta pur sempre di una co-produzione Germania-Francia dal forte sapore europeo, quindi non possiamo nemmeno considerarlo la classica americanata.
Come protagoniste ci sono due attrici lanciatissime come Rachel McAdams e Noomi Rapace, ma nell’originale c’erano comunque già due nomi piuttosto conosciuti al pubblico internazionale come quelli di Ludivine Sagnier e Kristin Scott Thomas. Non sembra quindi una semplice operazione commerciale come poteva essere The Tourist, con i divi Angelina Jolie e Johnny Depp alle prese con la loro versione glamour, e clamorosamente fallimentare, di un altro thriller francese recente, Anthony Zimmer.

Perché allora realizzare un remake di questo tipo?
Sinceramente non lo so. Probabilmente Brian De Palma è rimasto tanto affascinato dall’originale da volerne a tutti i costi girare una sua versione personale. In effetti Crime d’amour ha affascinato parecchio anche me e lo considero uno dei thriller migliori degli ultimi anni. Eppure io non avrei realizzato un rifacimento, innanzitutto perché non sono un regista e poi perché non ne vedevo lo scopo.
Brian De Palma testardo ha comunque voluto fare il suo remake e, a sorpresa, non appare nemmeno così tanto inutile. Per carità, non l’avesse girato, si sarebbe potuti tutti rimanere soddisfatti dell’ottimo film originale francese e anche all’interno della filmografia del grande regista italoamericano questo Passion non  è che aggiunga né tolga nulla. È il classico thriller alla De Palma. Il classico ottimo thriller alla De Palma.

Uomini Donne che odiano le donne.
Crime d’amour non è che sia stato un successone clamoroso. In Italia tanto per dire non è mai manco stato distribuito, li mortacci nostri. Forse allora è per questo che il buon De Palma ha voluto farne un remake: dare maggiore visibilità a una delle sceneggiature thrilla meglio orchestrate degli ultimi tempi. La storia raccontata è quella del rapporto di amore-odio tra due donne, Noomi Rapace e Rachel McAdams, due colleghe che lavorano in una prestigiosa agenzia pubblicitaria. Tra loro c’è rivalità, ma allo stesso tempo anche una carica di attrazione sessuale, Black Swan style. Brian De Palma, da buon vecchio porco quale è, accentua la tematica lesbo presente in Crime d’amour, aggiungendo un terzo personaggio femminile (Karoline Herfurth, tedesca, e si sente), apertamente omosessuale, per aggiungere ulteriore pepe alla vicenda.
Che poi io quando ho sentito del casting del film, mi immaginavo Rachel McAdams nella parte che fu di Ludivine Sagnier e Noomi Rapace in quella di Kristin Scott Thomas, invece De Palma mi ha stupito optando per scelte opposte.
Ancor più dell’originale, già bello perfidello, Passion accentua pure la tematica della cattiveria femminile. C’è una scena in cui le due protagoniste deridono una modella che indossa tacchi troppo alti e cade durante una sfilata. Quale umiliazione peggiore, per una donna? E quale cattiveria peggiore ridere alle sua spalle?

All’interno del film si sviluppa inoltre un intrigante discorso su originalità e copia. Noomi Rapace propone un’idea per una campagna pubblicitaria geniale e Rachel McAdams se ne assume i meriti. Discorso simile per Brian De Palma, che ha tirato fuori un thriller avvincente e notevole ai livelli di Femme fatale, eppure una buona fetta del merito va al film originale francese, diretto dal fu Alain Corneau.
Una buona fetta, ma non tutta la torta. Lo chef è De Palma e si vede. Nonostante la vicenda ricalchi molto la pellicola originale, e anche le atmosfere non siano troppo distanti, lui ci mette il suo bello zampino, con una regia notevole, fresca come pochi registi ultrasettantenni (e non solo) possono vantare. Il De Palma ci regala inoltre un nuovo saggio di bravura in quella che è la sua specialità assoluta: lo split-screen, con una sequenza grandiosa. In più, ha cambiato le carte nel finale, incasinando ulteriormente la trama, ed è tornato a collaborare con lo storico compositore italiano Pino Donaggio, che già gli aveva regalato le splendide musiche per film come Carrie, Vestito per uccidere, Blow Out, Omicidio a luci rosse e Doppia personalità, la loro ultima collaborazione risalente al 1992. Dopo 20 anni, i due sono tornati insieme e le musiche di Pino Donaggio sono sempre uno splendore, oltre ad un accompagnamento perfetto per le immagini del De Palma.

Rachel McAdams: "Bella recensione, Cannibal!"
Noomi Rapace: "Mah, un po' una ciofeca. Soprattutto la parte in cui mi critica..."
Era allora davvero necessario, un remake a così breve distanza di una pellicola come Crime d’amour?
No, assolutamente no.
Brian De Palma ha però tirato fuori il miglior remake possibile. La tensione è assicurata per l’intera visione, Rachel McAdams è bravissima, la monolitica Noomi Rapace un po’ meno, tutto funziona alla grande e l’unico problema allora, per quei pochi che l’hanno visto, è dimenticare l’originale.
E alla fine - colpo di scena immancabile in ogni thriller che si rispetti - l’ho capito. Ho capito perché Brian De Palma ha girato questo remake in apparenza inutile. Il motivo ce l’ho avuto lì davanti tutto il tempo, nel titolo della pellicola originale: il suo è stato un Crime d’amour. Oui.
(voto 7+/10 ma se non avete visto Crime d’amour fate anche un mezzo voto in più)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter.



lunedì 17 settembre 2012

Prometheus di amarti e rispettarti nella buona e (soprattutto) nella cattiva sorte

"Palla magica, dimmi un po': chi ha l'uccello più grosso di tutta Hollywood?"
Prometheus
(USA, UK 2012)
Regia: Ridley Scott
Cast: Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Logan Marshall-Green, Idris Elba, Sean Harris, Guy Pearce, Kate Dickie
Genere: alieno
Se ti piace guarda anche: Alien e compagnia, Sfera, Moon

Prometheus è riuscito a sorprendermi. A sorprendermi e poi a deludermi. Affare mica da poco, per una pellicola per cui nutrivo aspettative davvero basse. Aspettative basse, essendo un non fan della saga di Alien, anzi un vero e proprio anti Alien. La mia non è una scelta di stampo razzista: non odio tutti gli alieni dell’universo, odio solo i cosi di Alien, cui aggiungo pure i puffoni giganti di Avatar. Con le altre forme di vita extraterrestri invece: vengo in pace.

"Kristen Stewart, intendi ancora sostenere di essere la più bella del reame?"
Nonostante le diffidenze iniziali, la prima parte di quello che è stato annunciato come il prequel di Alien è riuscita a conquistarmi poco a poco. La storia è all’incirca la solita vista già in decine di altre pellicole sci-fi. Un gruppo di persone con competenze variegate viene mandato nello spazio per raggiungere un altro pianeta ed entrare in contatto con… Dio. Ma non è che sia proprio Dio Dio. Non è uno e trino. Vengono chiamati “ingegneri” e in pratica sembra che siano dei cosi che hanno creato gli uomini. L’intera umanità. La spedizione è organizzata dal solito vecchino (vecchino? diciamo pure vecchiazzo più nell’aldilà che nell’aldiqua) facoltoso, con l’aiuto della solita assistente figon (Charlize, in questo caso), e con la solita coppia di genietti che ha scoperto dell’esistenza di questi “ingegneri” (ma trovare un nome migliore per delle divinità no, eh?).
Tutto nello standard dello sci-fi medio, tutto nella dimensione del già visto, professionale quanto asettica regia di Ridley Scott compresa. Ciò che coinvolge, ciò che mi ha coinvolto, è però la riflessione diciamo “religiosa”, forse è meglio dire “teologica” che ci sta “dietro”. Perché continuo a mettere le “virgolette” tra le “parole” “?” Non lo so, però fa “fico” perché così “sembra” che le “parole” acquistino un maggior “spessore” o significato “nascosto”.

Questo film lo vedo come un punto di contatto con Contact, pellicola 90s di Robert Zemeckis anch’esso non del tutto compiuta, ma che portava a riflessioni interessanti. Proprio come questo Prometheus, in cui viene affrontato l’eterno tema del rapporto con chiamatelo Dio, chiamatelo Creatore, o chiamatelo Ingegnere (ma anche no), il risultato non cambia, la domanda è sempre la stessa: chi ci ha creati e perché?

"Dicono che somiglio a Tom Hardy:
spero solo di non venir doppiato anch'io da Filippo Timi..."
Entrare all’interno delle dinamiche del film è quindi una questione di Fede. Io all’inizio mi sono approcciato da infedele, ma poi dopo qualche minuto sono stato risucchiato all’interno della Chiesa, volevo dire dell’astronave capitanata da Ridley Scott.
Merito delle riflessioni che la pellicola mi ha fatto nascere, e che vanno al di là del valore cinematografico intrinseco, e merito anche di un buon cast. Noomi Rapace non ho ancora capito se e quanto mi convinca in generale, c’è chi dice abbia solo due espressioni, una con il piercing e l’altra senza, però qui in versione prequel di Sigourney Weaver mi è sembrata parecchio in parte. Così come il suo partner cinematografico Logan Marshall-Green, uno che arriva da serie come 24 e The O.C. e a cui Ridley Scott ha regalato finalmente una bella ribalta cinematografica. Così così una persino troppo (f)rigida Charlize Theron, decisamente meglio come Young Adult che come Space Bitch, mentre a spiccare è soprattutto… è lui o non è lui? Certo che è lui: Michael Fassbender.
Un grande Michael Fassbender. E quando dico “grande” non mi riferisco alle dimensioni del suo pene, non in questo caso almeno, ma alle dimensioni del suo talento recitativo. Era difficile non cadere nel ridicolo o nell’assurdo, visto che interpreta la parte di un robot umanoide, e invece ha superato la prova brillantemente.



"Ehm, in realtà nel CV ho mentito: non ho la patente manco per il motorino!"
Fino a qui, tutto bene. Pur senza risultare niente che non si sia già visto prima, la visione è scivolata in maniera più piacevole di quanto mi aspettassi. Le note positive però sono finite, poiché l’ultima parte del film rovina clamorosamente.
Dopo aver posto tante belle domandine sull’esistenza di questi Dei che ci avrebbero creato e su come gli uomini e le donne facciano qualcosa di analogo, sia con i figli che progettando ad esempio robot, le conclusioni cui arriva questo Prometheus sono decisamente sconclusionate. La navicella condotta fino ad allora con mestiere dall’ultimo degli Scott precipita e si schianta contro il suolo, distruggendo con sé tutte le buone premesse costruite e gettando pure nel cesso il promettente personaggio del Fassbender-robot.
La conclusione apre a tutta una possibile sequela di sequel, che poi sarebbero degli altri eventuali prequel di Alien e insomma sarebbero dei remake-prequel e al solo pensarci c’è da farsi andare in pappa il cervello più che a riflettere sull'esistenza di Dei Ingegneri.
Quanto alla scena inserita sui titoli di coda: portatemi un velo pietoso, per favore.
Complimenti Ridley, sei riuscito a rovinare un film promethente!

Di recente, ho avuto un’esperienza analoga ma opposta con un altro film sci-fi: Beyond the Black Rainbow. In quel caso, per 2/3 si è rivelato una noia mortale, fino a una parte finale sorprendentemente interessante. Con Prometheus tutto il contrario: per 2/3 valido, conclusione da dimenticare.
Non è che riusciamo a combinare questi due film promethenti ma non del tutto riusciti e ne mettiamo insieme uno decente?
In fondo siamo nel campo della fantascienza e quindi tutto è possibile. E poi, per creare questa nuova vita, possiamo sempre chiamare gli “Ingegneri”.
(voto 6/10)

giovedì 9 febbraio 2012

Millennium - Uomini che odiano le donne senza sopracciglia

"Cannibal, attento a quello che dici.."
Millennium - Uomini che odiano le donne
(USA 2011)
Titolo originale: The Girl with the Dragon Tattoo
Regia: David Fincher
Cast: Rooney Mara, Daniel Craig, Christopher Plummer, Stellan Skarsgard, Robin Wright, Joely Richardson, Steven Berkoff, Goran Visnjic, Yorick van Wageningen, Geraldine James
Genere: thrilla
Se ti piace guarda anche: Uomini che odiano le donne (Swedish version), Se7en, Let Me In

Durante la visione del film, mi sono sentito per tutto il tempo come Neo di Matrix.
No, purtroppo non quando impara il kung fu. E per fortuna (soffro di vertigini) nemmeno quando salta tra i grattacieli.
Ho avuto semplicemente un deja vu. O meglio: due ore e 40 minuti di deja vu.


"Trinity, sei vicina a un'uscita..."
Lo sapevo gia che dietro a una produzione come quella di Millennium c’era una sola motivazione principale.
L’arte?
Macchè arte, sto parlando dei soldi. Per quale altra ragione girare nella stessa Svezia la versione cinematografica di un best seller che già aveva avuto il suo primo adattamento svedese su grande schermo appena nel 2009?
Soldi, non c’è altra risposta. Gli americani non vanno a vedere i film sottotitolati, ma solo quelli in inglese. Da questo punto di vista, le cose sono andate benino, anche se il film non è che abbia poi fatto uno sfracelli di incassi.
Sotto altri punti di vista, Millennium è un film (quasi) del tutto inutile.

"Quante volte ti devo dire che non sono Trinity, anche se un po' le somiglio...
La pellicola del 2009 Uomini che odiano le donne era girata con una produzione più povera che non poteva contare sui mezzi hollywoodiani, però a differenza dei due meno riusciti seguiti La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta, era realizzata piuttosto bene, nonostante una regia non eccelsa. Alla fine riusciva a convincere grazie allo sguardo rapace della Noomi Rapace e alle sue atmosfere molto anni ’90, molto da thriller alla… David Fincher.
Se guardando la versione svedese del romanzo di Stieg Larsson l’impressione era quella di trovarsi dalle parti di Se7en, non stupisce certo che dietro alla macchina da presa per la versione high-budget made in USA si sieda proprio lui, fresco reduce da quel capolavoro dei nostri tempi che è The Social Network.
È questo che mi ha fregato, che mi ha creato aspettative per quella che già sapevo essere un’astuta operazione di marketing e basta. Speravo però che Fincher mi avrebbe saputo contraddire, che avrebbe trovato una chiave di volta nuova per rileggere questi Uomini che odiano le donne.
E invece, deja vu.

"E mo' adesso con sto tatuaggio chi mi scrittura più
per interpretare una Bridget o una Jennifer?"
Il film si lascia vedere. Magari è giusto un filino lungo: 2 ore e 40 minuti (!), roba che io se mi fossi trovato in sala montaggio avrei fatto un taglio bastardo giusto di quella mezzora abbondante di troppo. Millennium è un thriller molto basic (pure un po’ instinct, viste le scene di sesso) e molto ben congegnato, ma questo già si sapeva. È girato in maniera impeccabile, ma d’altra parte da David Fincher non ci si può mica aspettare una schifezza. La fotografia è splendida, le musiche non sono davvero niente male anche perché la firma è quella di Trent “Nine Inch Nails” Reznor e di Atticus Ross, già accoppiata da Oscar proprio per il lavoro sul precedente The Social Network. E Rooney Mara nei panni di Lisbeth Salander è una bomba, ma considerata l’immedesimazione totale con cui l’avevamo ammirata nelle foto promozionali non ci aspettavamo niente di meno.
E allora cosa c’è che non va?
Ah, già: quel senso di deja vu. Costante, opprimente, proprio non se ne vuole andare via, come questa ca**o di neve!

Rooney Mara compie una performance davvero notevole, a livello recitativo e ancor di più a un livello fisico. Non parlo solo dei piercing ai capezzoli, ma proprio dell’espressione da hacker-nerd-incazzata appiccicata sul suo volto. Eppure pure per lei scatta un senso di deja vu. Nei confronti di Noomi Rapace, l’interprete svedese, certo, ma non solo. La Rooney Mara nonostante il nome non mi rimanda a un incrocio tra Mickey Rooney e Mara Venier, bensì alla cantante con frangetta e senza sopracciglia (o sopracciglia decolorate che dir si voglia) Yo-Landi Vi$$er, cantante dei Die Antwoord, gruppo hip-hop electro sudafricano molto cool per cui sto in fissa al momento e che a loro volta mi ricordano un po’ i Prodigy.
(la prima volta che sentirete questa canzone magari direte: "Che schifo!", ma al terzo o quarto ascolto non potrete più vivere senza...)


"Oh, ke ce l'avete 'na pasta?"
A sua volta, lo stesso personaggio di Lisbeth Salander, l’hacker cyberpunk bisessuale, non è che rappresenti poi ‘sta novità assoluta, visto che fa molto personaggio uscito dritto sempre dagli anni ’90. E se le mie parole vi suonano anch’esse con un senso di deja vu è perché Chicken Broccoli sul suo blog ha rimarcato con decisione il concetto, da buon uomo che odia Lisbeth Salander.

Il resto del cast?
Daniel Craig a questo giro è più convincente del solito. Di solito è un attore che mi fa pena, vedi il recente Dream House in cui fa davvero cascare le braccia e pure qualcos’altro. Eppure qui la parte sembra fatta apposta per lui. Anche lui però mi ricorda qualcuno… l’attore svedese Michael Nyqvist che se me li mettessero vicini non saprei dire chi è chi. Monoespressivi come sono, uno vale l’altro.
E poi c’è Stellan Skarsgard nel ruolo che gli riesce meglio: quello del tipo inquietante, per l’occasione pure misogino e nazi cosa che, da fido attore vontrieriano, suona pure questa come un deja vu. O anche un cliché. A completare il quadro svedese altri attori che con la Svezia non c'entrano una cippa e già deja visti qua e là come il canadese Christopher Plummer, l'inglese Joely Richardson e il croato Goran Visnjic.

"Mark Zuckerberg, sono più nerd di tè. Tié!"
E poi ci sono le musiche. Le musiche sono ‘na figata. Però anch’esse, per chi è da praticamente da tutta la vita che si ascolta i Nine Inch Nails, non è che suonino proprio inedite e mai sentite. Certo, fa piacere ascoltarle all’interno di un film, ma allora il senso di deja vu, oltre che ai dischi della band di Trent Reznor, direttamente al già citato The Social Network, in cui tra l’altro erano decisamente molto più ispirate, mentre qui appaiono giusto come una copia sbiadita realizzata per commissione.
Quanto ai pezzi d’apertura e di chiusura del film, anche lì è tutto giocato sul senso di deja vu, o se preferite di deja senti, considerando come si tratti delle cover di Immigrant Song dei Led Zeppelin cantata da Karen O degli Yeah Yeah Yeahs e di Is Your Love Strong Enough di Bryan Ferry, reinterpretata dagli How to Destroy Angels, che poi altri non sono che il gruppo messo insieme dallo stesso Trent insieme alla mogliettina Mariqueen Maandig e all’immancabile Atticus Ross. Compagno ormai così onnipresente di Trent che a questo punto credo lo filmi anche mentre fa sesso con Mariqueen.


"Vabbé, il film non viene osannato, ma almeno io ne esco bene.
Cannibal, per questa volta ti sei risparmiato un tatuaggio sulla pancia!"
Se la tensione in questo film è pressoché inesistente, sarà che racconta una storia ormai più nota della fiaba di Cappuccetto Rosso, le chicche del film allora quali sono?
Oltre a una Rooney Mara che per quanto dejavuosa offre comunque una prova mostruosa, c’è un momento divertente quando il misterioso (ma chi sarà mai?) killer suona l’odiosa “Sail Away” dell’odiosa Enya in un momento non a caso di tortura. Il meglio arriva però con il nerd che indossa la maglietta dei NIN, in un omaggio metatestuale a Trent Reznor. Roba da mandare in cortocircuito l’intero tessuto narrativo.
Come si chiede Anita Caprioli in Santa Maradona: “Quando in un film c'è il protagonista che va a vedere un film, il problema è: che cosa va a vedere? In Leon, Jean Réno, che fa Leon, va a vedere Cantando sotto la pioggia... e se in quel cinema davano, che so, I Visitatori, sempre con Jean Réno? Sarebbe stato possibile?”
Ecco, se il personaggio nerdoso di Millennium scoprisse che è il personaggio nerdoso che indossa una maglietta dei NIN nella colonna sonora di un film musicato da Trent Reznor, che cosa succederebbe? Probabilmente niente, perché è solo un personaggio minore che compare all’interno del film per circa 10 secondi. Oppure potrebbe diventare un serial killer e ispirare una nuova saga letteraria nordica da milioni e milioni di copie vendute…

"Ed eccolo il vero motivo per cui siete finiti in questo post:
i capezzoli di Rooney Mara. E poi non dite che non vi accontento..."
In tutti questi omaggi, citazioni e soprattutto deja vu, si respira quindi una fortissima aria anni Novanta. Potremmo quasi dire che è un omaggio revival di Fincher a quel decennio cui, con film simbolo come Se7en e Fight Club, è inevitabilmente legato. Però al di là di questo, Millennium (titolo deja vu tra l'altro di una serie tv anni '90) resta un thrillerone efficace quanto non necessario. Se anche non l’avessero realizzato, ci saremmo accontentati della versione svedese senza sentire la mancanza di una rilettura-molto-poco-riletta americana. Che tra l’altro fa di tutto per essere meno americana possibile.
L’intera operazione poi ricalca da vicino quanto fatto molto di recente da Let Me In, il remake yankee del 2010 di Lasciami entrare del 2008, anch’esso svedese e anch’esso tratto da un romanzo di successo. Un altro film impeccabilmente realizzato, ben girato, interpretato, fotografato e musicato, quanto inutile.

Millennium è comunque un film consigliato a chi non ha mai visto l’altra versione, o in alternativa ai super patiti della saga di Stieg Larsson. Per i fan di Fincher, invece, meglio sperare che il regista non realizzi i due eventuali sequel e ci regali qualcosa di nuovo e di possibilmente più originale. Qualcosa che non ci faccia stare per tutto il tempo come Neo di Matrix.
No, purtroppo non quando impara il kung fu. E per fortuna (soffro di vertigini) nemmeno quando salta tra i grattacieli.
Ho avuto semplicemente un deja vu. O meglio: due ore e 40 minuti di deja vu.

Avete avuto anche voi un deja vu?
È normale. L’avevo già scritto a inizio post.
Scusate: mi sono fatto contagiare dal film!
Scusate: mi sono fatto contagiare dal film!
Scusate: mi sono fatto contagiare dal film!
Scusate: mi sono fatto contagiare dal film!
Scusate: mi sono fatto contagiare dal film!
Scusate: mi sono fatto contagiare dal film!
(voto 6/10)

domenica 20 giugno 2010

La regina dei castelli di Marco Carta

La regina dei castelli di carta
(Svezia, 2010)
Regia: Daniel Alfredson
Cast: Noomi Rapace, Michael Nyqvist, Annika Hallin, Lena Endre, Peter Andersson

Non che ce ne sia un reale bisogno, ma torniamo alla trilogia Millennium (visto che mi sono sbattuto a vederla tutta) con quello che dovrebbe essere l’ultimo capitolo. Dico dovrebbe, perché nel mistero che circonda la figura dell’autore della saga letteraria, lo scomparso Stieg Larrson, si vocifera di un possibile quarto (compiuto o meno che sia) libro.
Per quanto riguarda la versione cinematografica, dopo l’avvincente Uomini che odiano le donne e il discreto La ragazza che giocava con il fuoco, la qualità scende ulteriormente con questo La regina dei castelli di carta: regia modesta, attori scazzati e alcuni semplicemente pessimi (l’avvocato di Lisbeth che sembra uscita da una fiction Rai o il gigante biondo che al confronto Dolph Lundgren sembra Robert De Niro), lo stesso protagonista Michael Blomkvist sembra sul punto di addormentarsi da un momento all’altro per la noia dell’intreccio, mentre Lisbeth dopo la conclusione drammatica del secondo episodio è diventata catatonica manco avesse subito un trattamento intensivo di canzoni di Marco Carta sparate nell’iPod.

Con la Salander costretta prima in un letto d’ospedale e poi in un carcere psichiatrico, la vicenda si incentra su un intreccio spy-politico meno appealing di una cassettiera Ikea, così come i cenni di umorismo svedese sono incomprensibili e persino inquietanti (ma almeno qualcosa di inquietante l'hanno messo). È un peccato vedere come i personaggi siano stati buttati via, anche rispetto al già non eccezionale secondo episodio della saga che però almeno aveva il merito di indagare nella inquietante family della tatuata protagonista. Non pervenuti anche gli elementi di tensione che in un thriller uno si aspetterebbe di trovare.
Una durata di 2h e 20min è poi veramente da insani, per una storia che sarebbe potuta essere raccontata tranquillamente in meno della metà del tempo, visto che nella prima 1h e 20min non succede un bel niente. Ma proprio niente. Il film comincia per davvero solo con il processo a Lisbeth, che si presenta in aula con un look punkettone fighissimo. Questo è il primo momento memorabile del film. Ah, dimenticavo: è anche l’ultimo momento memorabile del film.
Una volta che la pellicola ha cominciato a carburare con la lentezza di un diesel messo davvero male, si scivola quindi verso un finale indefinito, inconcludente, che lascia così, sospesi come dei puntini… in attesa di un qualcosa che forse non verremo mai a conoscere. A meno che dall’aldilà non sbuchi veramente fuori questo fatidico quarto volume…
(voto 5)

Potete trovare il film QUI

venerdì 4 giugno 2010

Uomini che continuano a odiare le nonne (ma povere!)

La ragazza che giocava con il fuoco
(Svezia, 2009)
Titolo originale: Flickan som lekte med elden
Regia: Daniel Alfredson
Cast: Noomi Rapace, Michael Nyqvist, Lena Endre, Peter Andersson, Paolo Roberto

Ieri vi ho parlato del primo episodio della saga Millennium, Uomini che odiano le donne. Speravo di investigare sulle cause di un successo globale notevole, ma devo dire che razionalmente non sono riuscito a comprenderle del tutto: una trama sfaccettata che si snoda su più livelli (caso thriller, storia romantica, indagine giornalistica) toccando tematiche nazi-politiche e sfiorando la Bibbia. Insomma, niente di così nuovo se si eccettua il personaggio di Lisbeth, eppure ne sono rimasto inspiegabilmente e irrimediabilmente irretito e affascinato, come sotto l’effetto di una efficace droga, tanto che sono subito andato a procurarmi il secondo capitolo della saga tratta dai romanzi di Stieg Larsson. E mi sono iniettato un’altra pera di Millennium in vena. Ma stavolta niente overdose. La roba era di qualità meno buona, peccato…

Il secondo capitolo cinematografico della saga nordica non è al livello del primo. Il cambio in regia si fa sentire (non che tale Niels Arden Oplev fosse un genio, ma questo Alfredson è davvero mediocre al confronto), le atmosfere sono molto meno dark e coinvolgenti, l’intreccio narrativo è più semplice e allo stesso tempo più povero di contenuti, monco degli aspetti politico-fanatici e con i due protagonisti che si incrociano soltanto nel finale. Un peccato, visto che l’alchimia tra loro era il plusvalore del precedente film. Mancando il gioco di coppia dei due Mulder & Scully svedesi, che c’è di buono, allora? C’è che si scava più in profondità nel personaggio di Lisbeth e nella sua malata perversa famiglia. Ché poi spesso è meglio non sapere le motivazioni che stanno dietro al comportamento di un personaggio, ma comunque intorno alla sua figura permane ancora una certa patina di mistero. Almeno la cyber Lisbeth si/ci regala in questo episodio un paio di scene da dura: una alla Easy Rider in motocicletta e l’altra truccata alla Joker. E in più un ottimo momento porno lesbo! Non molto, ma c’è un qualcosa in questi personaggi e in tutta questa saga Millennium di sottilmente intrigante, anche in questo poco riuscito episodio due. Sarà l’aria della Svezia? E allora prima di cambiare spacciatore mi sa che mi toccherà vedere pure il terzo…
(voto 6+)

Potete trovare il film QUI

E intanto il remake di Uomini che odiano le donne dovrebbe uscire negli USA nel dicembre 2011 e intitolarsi The Girl With The Dragon Tattoo. Tra le attrici in lizza per la parte di Lisbeth oltre alla Carey Mulligan da me personalmente suggerita a quelli del casting ci sono anche Ellen Page (sarebbe un'ottima scelta!) e Anne Hathaway (se non siete convinti che possa reggere il personaggio, vi invito alla visione di Rachel sta per sposarsi). Per il ruolo di Mikael Blomkvist oltre a Brad Pitt oggi è spuntato fuori il nome dello 007 Daniel Craig. Maaah...

giovedì 3 giugno 2010

Uomini che odiano le nonne

Uomini che odiano le donne
(Svezia, 2009)
Titolo originale: Män Som Hatar Kvinnor
Regia: Niels Arden Oplev
Cast: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Lena Endre, Peter Haber, Peter Andersson

Visto che nelle sale italiane è approdato già il terzo e conclusivo capitolo della trilogia Millennium, mi sono finalmente deciso a cercare di capire di che si tratta e perché mezzo mondo sembra essere rimasto folgorato dai romanzi dello svedese Stieg Larsson da cui poi sono stati tratti i film. Tra l’altro davvero sfortunato, Larsson, morto poco prima che la sua trilogia venisse pubblicata per uno di quegli strani scherzi che il dannato destino si diverte a fare.

Uomini che odiano le donne, dunque. Titolo di grande impatto per un thriller davvero ricco e ben orchestrato. Nonostante ci siano alcuni elementi piuttosto scontati, da thriller old-school classico, quello che convince maggiormente è il racconto di due personaggi (un giornalista e una hacker) radicalmente differenti che si incontrano invischiati in un vecchio “cold case” irrisolto (e terribilmente affascinante), roba che risale addirittura agli anni Sessanta. Il giornalista Mikael Blomkvist lavora per la rivista Millennium, bollata come “comunista” dal solito Berluska di turno (che palle, pure in Svezia ce ne sono!) solo perché cerca di rivelare al mondo le verità più scottanti su una serie di personaggi molto potenti. Una bella battaglia giornalistica che dà alla storia un interesse aggiunto. Il personaggio di Lisbeth Salander poi sembra rivelare grosse potenzialità: una bisessuale hacker cyberpunk incazzata con il mondo, anzi con gli uomini “porchi sadici e stupratori”. Con un più spiccato senso dello humor e una attitude ancora più splatter diventerebbe un personaggio quasi tarantiniano.

Negli Usa è già in preparazione un remake: alla regia ci sarà David Fincher e la scelta non sorprende certo visto che la storia e le atmosfere avvolgenti di questo film ricordano, e non poco, quelle di Se7en e Zodiac. Il cast sarà più glamour con (probabilmente) Brad Pitt nei panni del protagonista. Chi sarà invece la tosta Lisbeth? Io vedrei benissimo Carey Mulligan (An Education), Kristen Bell (che ha un viso simile alla protagonista svedese) o in alternativa la sempre valida Scarlett Johansson. O magari persino la stessa Noomi Rapace. Per quanto riguarda il cattivone piuttosto deludente di questo originale svedese, spero che Fincher tiri fuori dal cilindro qualcosa al livello del Kevin Spacey di Se7en, che faccia fare il salto di qualità da thriller semplicemente buono, a thriller davvero inquietante e sconvolgente. Dai Fincher, che con questo bel materiale a disposizione ce la puoi fare!
(voto 7,5)

Potete trovare il film QUI

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