Visualizzazione post con etichetta pop. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pop. Mostra tutti i post

domenica 22 novembre 2015

La vita di Adele e le vite degli altri





Adele “25”
Hello Adele, it's me, Cannibal.
Ho chiamato per dirti che la tua vita faceva schifo...

No, aspetta. Non buttarmi subito il telefono in faccia. Fammi continuare.
La tua vita, Adele, faceva schifo. È probabilmente per questo che il tuo precedente album “21” era uscito così bene. L'arte migliore proviene dal dolore, diceva qualcuno. Chi di preciso non lo so, ma qualcuno nel corso della Storia prima o poi l'avrà detto, no? E se non l'ha mai detto nessuno, lo dico io ora, ok?
Dentro “21” mettevi a nudo la tua anima ferita, il tuo cuore ridotto in mille pezzettini. Quello era un album di rottura. Quello era un disco in cui tutti potevano trovare il giorno di dolore che uno ha... ho davvero citato il Liga, sul serio?
Mai più. Il mio nome è mai più, mai più, mai più...
L'ho citato di nuovo?
D'altra parte, certe notti ti metti a scrivere delle cose e poi tu non vuoi smettere, smettere mai...
Basta, qualcuno mi fermi!

Hello Spank...
No, scusa, ho sbagliato...

domenica 7 dicembre 2014

MAN OF THE YEAR 2014 – N. 5 STROMAE






n.5 Stromae
(Belgio, Ruanda 1985)
Genere: cantautorapper
Il suo 2014: la partecipazione al Festival di Sanremo come ospite, il successo anche in Italia del suo album del 2013 “Racine carrée” grazie ai singoli “Papaoutai”, “Formidable” e “Tous les mêmes”, il pezzo “Meltdown” nella colonna sonora di Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I

C'è poco da fare. Il 2014 è stato l'anno del Belgio.
Il piccolo staterello che fino ad ora si era segnalato più che altro perché ospita il Parlamento europeo e perché come monumento più noto ha un bambino che piscia, è stato protagonista su tutti i fronti. Dal Belgio arrivano due dei film più belli degli ultimi mesi, la sorpresa Alabama Monroe - Una storia d'amore e Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne, senza dimenticare il delirante e visionario L'étrange couleur des larmes de ton corps, mentre sul campo sportivo la squadra di calcio è stata la rivelazione assoluta degli ultimi Mondiali in Brasile, capace di arrivare fino ai quarti di finale e di mostrare forse il gioco migliore della competizione. Il Belgio sfoggia inoltre uno degli interpreti musicali più interessanti e particolari degli ultimi tempi: il rapper/cantante/cantautore Stromae.

La prima volta che abbiamo sentito parlare di lui in Italia è stata nell'estate del 2010, quando la sua tamarreggiante “Alors on danse” si è trasformata in uno dei tormentoni del periodo. Con un pezzo del genere, Stromae sembrava destinato a essere un one-hit wonder e a scomparire nel nulla, invece no. Dopo l'album d'esordio “Cheese”, nel 2013 ha pubblicato il suo secondo lavoro “Racine carrée”, diventato un grande successo anche dalle nostre parti soltanto nel corso del 2014. Il merito?
Per una volta, diamogliene atto, il contributo di Fabio Fazio è stato fondamentale. È stato lui a volerlo sul palco del Festival di Sanremo, dove Stromae ha interpretato la sua “Formidable” fingendosi ubriaco, tra lo sconcerto e l'incomprensione del pubblico zombie sanremese. Uno dei momenti più sorprendenti e formidabili nella storia della tv italiana, nonché l'unica occasione in cui è valsa la pena tenere gli occhi aperti durante il Festival di quest'anno. E un po' in generale di tutti gli anni.

giovedì 6 novembre 2014

TAYLOR SWIFT, DALLE STALLE (DEL COUNTRY) ALLE STELLE (DEL POP)





Taylor Swift “1989”
Ogni periodo ha le sue popstar. Con periodo non intendo il Medioevo o il Rinascimento, ma più semplicemente gli ultimi decenni, da quando esiste la musica pop. Sebbene, a ben vedere, ogni epoca storica abbia avuto le sue popstar: Gesù Cristo, per esempio, non era forse una stella della popular culture? E William Shakespeare? E Leonardo da Vinci? E, andando più indietro nel tempo, il Tyrannosaurus Rex non era un po' l'Elvis della sua era?

Una volta le popstar duravano più a lungo. Madonna e Michael Jackson hanno segnato interi decenni, tanto per dire. Più di recente Britney Spears è stata all'apice per una manciata di anni. Non troppi, ma alcuni sì. Adesso la vita di una popstar è ancora più breve. Con vita intendo vita al top delle charts, non (necessariamente) vita fisica. Justin Bieber, tanto per dire, è una cometa già spentasi e pure malamente. Lady Gaga per un paio d'anni è apparsa come la stella più brillante nel cielo della pop music moderna e invece ora è già un nome che fa tanto retrò. Anche se, secondo me, in futuro qualche sorpresa ce la potrebbe regalare ancora.

Se nel 2013 la popstar dell'anno è stata Miley Cyrus, nel 2014 dobbiamo inchinarci a una nuova pop queen: Taylor Swift. Va detto che il suo è un nome in circolazione da diversi anni. Nonostante abbia appena 24 anni, Taylor ha già pubblicato 5 album, venduto vagonate di dischi, soprattutto negli Stati Uniti, ed è da parecchio una star di prima grandezza nel firmamento musicale. Fino ad ora però era più che altro stata la reginetta della musica country-pop. Un genere da cui aveva cominciato a smarcarsi un paio d'anni fa con la super hit “We Are Never Ever Getting Back Together”, ma è soltanto ora con il suo ultimissimo album “1989” che la Swift ha tagliato del tutto il cordone ombelicale che la legava al country e ha spalancato le gamb... ehm, volevo dire le porte al pop.

giovedì 16 ottobre 2014

COSÌ VICINI VICINI A CRISTINA DONÀ





Cristina Donà "Così vicini"
Cristina Donà l'ho sempre vista un po' come la nostra PJ Harvey. Lo so, è un paragone e come tutti i paragoni è limitativo e va preso per quello che è. Ciò non toglie che le ho sempre accomunate parecchio, non ci posso far niente. Sarà per via di quella loro vena da rockettare ribelli che le aveva contraddistinte negli anni '90. D'altra parte quello era il decennio della rabbia esistenziale e non poteva essere altrimenti. Seguendo l'ordine naturale delle cose, entrambe sono poi cresciute, dirigendosi verso un sound differente, più delicato, più riflessivo. Tutte e due hanno tirato fuori maggiormente la loro vena cantautorale, sempre senza rinunciare alla loro più che gradita anima indie. Nessuna delle due cantanti ha mai ceduto al lato pop/commerciale della musica. Non hanno ceduto alle forze del Male. Le chitarre elettriche hanno lasciato via via spazio ad arpeggi di acustiche e ad accompagnamenti pianistici, certo, ma entrambe non si sono mai vendute a produzioni radiofoniche o a qualcosa in cui non hanno creduto fino in fondo.


sabato 7 giugno 2014

GUIDA GALATTICA ALLE GIRL BAND





La settimana scorsa abbiamo dedicato un ricco approfondimento alle boy band. Oggi, per par condicio, per non essere accusati di sessismo e soprattutto perché ci piacciono, più che altro fisicamente, parliamo invece di girl band.
Come già nel precedente appuntamento, è difficile stabilire in maniera esatta cos’è una girl band, oltre a un conglomerato di figa. Per prima cosa, tutte le componenti devono essere ragazze, e fino a qui non ci piove, almeno credo. Quindi, devono essere piacenti e possibilmente zoccole, fare musica pop commerciale ed essere gestite da un manager/pappone che le schiavizza… pardon, che sfrutta la loro immagine e le loro canzoni.
Le Runaways ad esempio sono state una girl band? Non esattamente. Vale lo stesso discorso fatto per i Sex Pistols settimana scorsa. Pure le Runaways di Joan Jett erano gestite da un manager, però facevano musica rock’n’roll, quindi non le prenderemo in considerazione in questa sede, così come nemmeno le varie Go-Go’s e Bangles, oppure i mitici girl group degli anni ’50 e ’60 come le Ronettes, le Shirelles, le Crystals e le Supremes che si meritano una loro lista a parte.

Qui ci occupiamo delle girl band di pop commerciale in voga negli ultimi decenni, dal fronte più orientato verso l’R&B come le Destiny’s Child e le TLC, a quello più popparo rappresentato da gruppi come le All Saints e le Spice Girls. C’è stato un periodo in cui queste ultime vendevano dischi quanto i Beatles dei tempi d’oro. Quel periodo, grazie a Iddio, è durato poco e non ha lasciato un’enorme segno nel mondo musicale. Se le boy band stanno ritrovando un nuovo periodo di splendore (si fa per dire) grazie alla popolarità dei One Direction, le girl band dopo la golden age degli anni ‘90 hanno invece subito un progressivo declino, nonostante la geniale variante lesbo-russa delle t.A.T.u. e il fenomeno di brevissima durata Pussycat Dolls, che a oggi non ha avuto ancora un’inversione di tendenza. In Inghilterra alcune girl band pop come le Saturdays o le Little Mix continuano a tenere botta, mentre nel continente asiatico c’è un gran proliferare di popolarissimi gruppi femminili di J-Pop (Japanese Pop) e di K-Pop (Korean Pop) come le 2NE1, le Girls’ Generation o le T-ara, però a livello mondiale è un settore piuttosto in crisi.
I nostri occhi se ne possono lamentare, poiché le girl bands sono sempre un bel vedere, le nostre orecchie un po’ meno, visto che non molto spesso hanno prodotto della musica memorabile. Qualche canzoncina carina nel corso della Storia comunque ce l’hanno lasciata. Io ho raccolto le mie preferite nella playlist di Spotify che potete gustarvi a fondo post e le mie 10 favorite in assoluto nella Top 10 qui sotto.
Infine un'indicazione cinematografica: se ci tenete a vedere un film sulle girl band, recuperate il carinissimo e pucciosissimo Josie and the Pussycats, pellicola live action tratta dall'omonima serie a cartoni animati, mentre potete tranquillamente evitare Spice Girls - Il film.
E ora buon ascolto e, soprattutto, buona visione.

Top 10 – Le canzoni delle girl band preferite da Pensieri Cannibali


10. B*Witched "C'est La Vie"



9. Pussycat Dolls feat. A.R. Rahman “Jai Ho! (You Are My Destiny)”



8. Atomic Kitten "It's Ok!"



7. TLC "No Scrubs"



6. Girls Aloud "Whole Lotta History"



5. t.A.T.u. "All About Us"



4. Destiny's Child ft. Da Brat "Survivor"



3. Sugababes "Freak Like Me"



2. Spice Girls "Say You'll Be There"



1. All Saints "Pure Shores"
Alla numero 1 c’è una sorpresa. Nonostante le mie preferite all’epoca fossero le Spice Girls, la migliore girl-band song, "Pure Shores" dalla colonna sonora del film The Beach, l’hanno cantata delle altre sgallettate, le All Saints, che tra l’altro erano pure più gnocche!



Ed ecco la playlist di Pensieri Cannibali su Spotify dedicata alle girl bands.

sabato 31 maggio 2014

GUIDA GALATTICA ALLE BOY BAND





Questa settimana l’appuntamento con le guide galattiche di Pensieri Cannibali si occupa di musica impegnata, quella delle Boy Band.
Basta considerare i poveri ragazzi delle boy bands come della semplice carne, dei corpi privi di alcun talento musicale. Nel corso della storia, queste particolari formazioni apparentemente (o forse nemmeno troppo apparentemente) create dal mondo del business hanno infatti saputo tirare fuori un sacco di buona musica. Va buò, un sacco, diciamo un pochino. Andando a cercare in mezzo alla spazzatura, qualcosa di decente la si tira fuori. Il post di oggi cerca allora di rivalutare la musica delle boy band, per quanto parzialmente e per quanto possibile, mentre la settimana prossima ci sarà spazio anche per le girl band, che pure lì ce n’è di grande musica… più o meno.

Come si è arrivati al proliferare di casi umani band di successo di oggi come i One Direction, o un po’ meno di successo come i vari The Wanted, Big Time Rush, Union J e The Vamps?
Tutto è iniziato, almeno credo, negli anni Sessanta. A livello di seguito di massa, con tanto di fans che si strappavano capelli e mutandine, tutto è partito con i Beatles. Con questo non intendo sostenere che i Beatles siano stati una boy band, che se no mi fanno chiudere il blog subito, ma solo che i livelli di isterismo da loro provocati sono paragonabili a quelli che poi avrebbero scatenato le varie boy band. Un po’ come i Duran Duran negli anni ’80, altra non boy band che però ha avuto un seguito da boy band.

Cosa distingue un gruppo “normale” da una merdosa boy band?
Il fatto che queste ultime siano per lo più costruite a tavolino da un manager. A questo punto qualcuno potrà sostenere che anche i Sex Pistols lo siano, visto l’importante ruolo rivestito dal manager Malcolm McLaren, e in un certo senso sono in effetti stati la prima boy band punk, ma non divaghiamo. In questa sede si parla di boy band pop.
I primi casi storici sono stati gli Osmonds, i Monkees e i Jackson 5 di un giovanissimo Michael Jackson. Tutto è partito da loro e a questi gruppi sono poi succeduti nei 70s e negli 80s i Bay City Rollers, i Menudo di Ricky Martin, i New Edition, i Bros e i New Kids on the Block. Sono stati questi ultimi i veri padrini della scena pop successiva, con l’esplosione negli anni ’90 di una marea di boy band dall’incredibile popolarità: Take That e East 17 dal Regno Unito, Backstreey Boys e *N SYNC dagli USA, più una marea di loro cloni vari. E l’Italia se n’è stata a guardare?
No, perché abbiamo avuto i Ragazzi italiani, gruppo dall’enorme popolarità famoso per brani come…
Ma hanno mai fatto delle canzoni, ‘sti Ragazzi Italiani?

Tralasciando il caso nazionale, dopo l’invasione mondiale di gruppi canterini e ballerini durata fino ai primi Anni Zero, nel periodo successivo la moda delle boy band è (per fortuna) passata di moda, per tornare (purtroppo) con prepotenza di recente con orde di ragazzine arrapate per i One Direction. Fine della Storia.
Cioè, non so se mi spiego: questa sì che è Cultura musicale. Dove lo trovate un altro sito che vi fornisce simili nozioni di base fondamentali?

Sulle note di “Boy Band” dei Velvet, via ora alla Top 10 delle mie canzoni preferite cantate da boy bands e a fondo post, se ci tenete, trovate pure una ricca playlist Spotify.

Top 10 – Le 10 canzoni delle boy band preferite da Pensieri Cannibali


10. Blue "One Love"



9. New Kids on the Block “You Got It (The Right Stuff)”



8. 5ive “Everybody Get Up”



7. East 17 feat. Gabrielle “If You Ever”



6. N Sync “Bye Bye Bye”



5. Boyzone “Isn’t It a Wonder”



4. The Monkees "I'm a Believer"



3. Jackson 5 “I Want You Back”



2. Backstreet Boys “Everybody (Backstreet’s Back)”



1. Take That “Back for Good”


Ecco la boy-band playlist su Spotify di Pensieri Cannibali.

mercoledì 21 maggio 2014

“GHOST STORIES”, LE STORIE DELLA BUONANOTTE DEI COLDPLAY




Coldplay "Ghost Stories"
Il grande problema dei Coldplay è fondamentalmente uno. Più che un problema, una colpa. Sono troppo famosi, hanno venduto troppi dischi, hanno raccolto troppo rispetto ai loro reali meriti. I Coldplay non sono un gruppo pessimo, questo no, ma tanto meno sono fenomenali. Sono una band media, come tante, che però ha una popolarità enorme, come poche. Il segreto del loro successo? Chris Martin è riuscito a scrivere una serie di canzoni capaci di arrivare al cuore del pubblico, alcune davvero riuscite come “Yellow”, “The Scientist”, “Fix You” e “Viva la vida”. Allo stesso tempo manca loro il vero genio creativo. I primi tempi, quelli del loro album migliore, il debutto “Parachutes”, suonavano come un incrocio tra Radiohead e Jeff Buckley, poi è avvenuta la loro U2izzazione e hanno puntato a proporre uno stadium-pop con grandi cori e canzoni di facile presa. In ogni caso senza mai possedere un'enorme originalità. Ai Coldplay va però almeno dato atto di non essersi cristalizzati in un solo tipo di suono, ma di cercare sempre nuova gente cui scopiazzar… ehm, cui ispirarsi. Con l’ultimo poco riuscito “Mylo Xyloto” avevano tentato, senza convincere molto, qualche divagazione elettronica, ma il lavoro risultava un pasticciaccio brutto, e ora?

Con il nuovo “Ghost Stories” i Coldplay cercano di infilare tutto quanto fatto in precedenza in una forma più semplice, provando a spogliarsi delle produzioni eccessive e dei barocchismi dei loro ultimi album. Il suono del disco è delicato, leggero, sospeso. Impalpabile. Talmente impalpabile da essere quasi inconsistente.
Se a livello di tematiche questo è un disco di rottura, visto che Chris Martin affronta la fine della storia con l'ormai ex moglie Gwyneth Paltrow, a livello musicale pure, considerando come questa volta le rinnovate fonti di ispirazione sembrano essere James Blake, The xx e Bon Iver, si senta il soporifero clone di quest’ultimo che è “Midnight”, mentre a tratti pare di essere finiti in una versione for dummies dei Sigur Ros, basti dare un ascolto all'apertura di "Always in My Head". In mezzo a tante ballatone, a sorpresa c’è anche spazio per una parentesi quasi dance, con “A Sky Full of Stars” prodotta dal dj più in voga più tamarro del momento, Avicii. Il risultato? Sembra un pezzo di David Guetta che cerca di fare la copia dance di una canzone dei Coldplay.



Nonostante questo pezzo che con il resto della tracklist c’entra quanto un brano di Gigi D’Agostino in una compilation di musica new-age, i ritmi sono per lo più lenti, per non dire assenti. Provate ad ascoltare “Oceans” senza finire in coma e Chris Martin vi regalerà una bambolina per fare il voodoo a Gwyneth Paltrow.


A inizio post dicevamo che il grande problema dei Coldplay è quello di essere diventati più famosi di quanto meritassero. A dirla tutta, Chris Martin e compagni hanno anche un altro e più grave problema. Sono una lagna infinita e il loro nuovo lavoro ne offre un’ulteriore lampante dimostrazione. “Ghost Stories” non è un brutto album, è solo noioso. Penso ci sia solo una cosa più noiosa dell'ultimo disco dei Coldplay: Robert Redford da solo su una barca che si ascolta l’ultimo disco dei Coldplay.
La definizione di album di rottura è allora perfetta. Non perché documenta la rottura tra Chris Martin e Gwyneth Paltrow, ma perché è una gran rottura di palle.
(voto 5/10)

martedì 6 maggio 2014

IL CUORE SPEZZATO DI LYKKE LI




Lykke Li “I Never Learn”
Benvenuti nel club dei cuori spezzati. Dopo il best-seller “21” di Adele, è il turno della cantante indie-pop svedese Lykke Li di mettere a nudo la sua anima, con un disco costruito sulle ceneri della sua ultima relazione finita. Male.
Più che un album normale, sembra un greatest hits. Ogni canzone è un gioiello, un potenziale singolo, un piccolo capolavoro che riesce a farsi canticchiare fin dal primissimo ascolto, allo stesso tempo senza risultare una ruffianata commerciale o radiofonica. I brani presenti in “I Never Learn” suonano fin da subito come classici moderni, pezzi che conoscevamo già, solo non lo sapevamo ancora. È come stare in un sogno, “Just Like a Dream”. Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie e contemporaneamente aleggia anche un certo senso di speranza primaverile. Emerge la voglia di vedere il lato positivo, la “Silver Line”.

L’autrice di “I Follow Rivers”, il pezzo che ha accompagnato i balli di Marion Cotillard in Un sapore di ruggine e ossa e di Adèle Exarchopoulos ne La vita di Adele, ha tirato fuori “solo” la raccolta di canzoni più bella concepibile come colonna sonora di una storia d'amore terminata. Crogiolandosi nel dolore di una ferita che fa più male di un “Gunshot”, intonando una preghiera per essere amata ancora ma in modo differente, “Love Me Like I’m Not Made of Stone”, e poi promettendo di non innamorarsi mai più, “Never Gonna Love Again”. Costruendo un muro tra sé e il mondo, il muro di una persona che non imparerà mai dai propri errori, che continua a ripetere “I Never Learn” prima che parta il più bel tappeto d’archi mai sentito dai tempi di “Bitter Sweet Symphony”. Lykke Li si convince così di dover far crescere nel suo petto un cuore d’acciaio, un “Heart of Steel”, e finire per andare ad accucciarsi tra le coperte da sola, “Sleeping Alone”, restando però consapevole che non c’è riposo per chi non ha un cuore, non c’è pace per i cattivi, “No Rest for the Wicked”.
Quanto a noi, non possiamo che augurare a Lykke Li di innamorarsi di nuovo e, se il dolore le fa questo effetto creativo, di trovare un’altra persona che le spezzerà il cuore in tanti piccoli pezzi. Tanti piccoli pezzi di cuore capaci di tramutarsi in tanti grandi pezzi musicali.
(voto 8+/10)

sabato 3 maggio 2014

GUIDA GALATTICA ALLA MUSICA BRITPOP




Indovinello: qual è quell’animale che cento ne pensa e cento ne fa?
Esatto, il Cannibale. Un animale strano, selvatico, che non pago di aver creato già classifiche e liste assortite di tutti i tipi, come la serie della vergogna e quella della crescita, adesso ha ideato un modo nuovo per propinarvi le sue Top 10.
Questa volta la scusa è di fare delle Top Dieci dedicate ad alcuni generi e sottogeneri musicali, rivisti sempre attraverso l’ottica cannibale, ovvio. Ad aprire le danze ci pensa un genere con cui l’animale Cannibale è stato allevato: il Britpop.


Se da buoni babbani non sapete cos’è, vi dico brevemente che è stata quella scena musicale sviluppatasi in Gran Bretagna – dal nome l’avreste mai detto? – nel corso degli anni ’90. Le radici del genere si possono trovare nei 60s, con band fondamentali come Beatles, Rolling Stones e Kinks, così come nel glam-rock 70s di David Bowie, ma un’influenza enorme l’hanno giocata anche gruppi successivi come Smiths e Stone Roses.
Da queste basi, nel corso degli anni ’90 e a partire dal 1993-94 circa, in tutto il Regno (Unito) c’è stato un enorme fermento musicale e sono salite alla ribalta un sacco di band dal suono pop-rock, che oggi potremmo definire indie-rock, ma che allora chiamavamo Britpop. Tra i primi a ottenere una grande notorietà ci sono stati gli Suede con il loro look androgino e il loro sound glam, ma l’apice della popolarità il genere l’ha toccato con la rivalità epica tra Blur e Oasis, alimentata da sfide a colpi di grandi canzoni e di battibecchi verbali, puntualmente riportati dalle riviste inglesi più cool del periodo, NME e Melody Maker.
Da lì in poi la scena si è ingigantita, sono nate un sacco di band cloni, non solo in Gran Bretagna ma ovunque, persino in Italia, dove c’erano i Lunapop che prendevano in prestito pezzi dagli Ocean Colour Scene, i Super B che scimmiottavano i Blur, Daniele Groff che imitava (malamente) gli Oasis. Qualcuno se li ricorda?
Verso la fine degli anni ’90 l’interesse nei confronti della scena, come per tutte le scene, è scemato, e il Britpop è passato di moda ma ora, a 20 anni di distanza, è tempo di revival. Per fare un tuffo in quel periodo potete dare un’occhiata alla serie My Mad Fat Diary e dare un ascolto alla mia playlist su Spotify, nonché alla mia immancabile Top 10 qui sotto.



Top 10 canzoni Britpop (secondo Pensieri Cannibali)

10. Charlatans “One to Another”



9. Elastica “Connection”



8. Supergrass “Alright”



7. Bluetones “Slight Return”



6. Mansun “Wide Open Space”



5. The Verve “Bittersweet Symphony”



4. Oasis “Live Forever”



3. Pulp “Disco 2000”



2. Blur “The Universal”



1. Suede “Beautiful Ones”

lunedì 28 aprile 2014

NUOVI DISCHI: PAOLO NUTINI, DAMON ALBARN, SKRILLEX, PHARRELL




Breve rassegna discografica sui nuovi album di quattro artisti molto differenti tra loro. Cos’hanno in comune?
Niente, a parte il fatto di essere tutti quanti uomini e di comparire in questa rubrica sui dischi passati nelle ultime settimane sulle frequenze di Pensieri Cannibali.

Paolo Nutini “Caustic Love”
Paolo Nutini è bello, bravo e pure simpatico. Da premesse simili, è difficile non farselo stare sulle balle. Allo stesso tempo, è difficile pure odiarlo, perché il ragazzo ha talento. Non è un nuovo genio musicale come qualcuno, tipo Fabio Fazio all’ultimo Sanremo, vuole farci credere, però ha talento. Con questo terzo album Paolo lo scozzese di origini italiane dimostra di possedere anche un certo coraggio nel proseguire per la sua strada. "Caustic Love" riesce a essere un buon incrocio tra i sue primi due lavori, senza ammiccamenti ai suoni cool o alle tendenze musicali del momento. C’è dentro il gusto per le ballatone messo in mostra soprattutto ai tempi dell’esordio (ricordate le splendide "Last Request" e "Rewind"?), e confermato qui con inedite doti da crooner, si senta la ballatona strappamutande “One Day”. Allo stesso tempo c’è dentro pure quel sapore retrò-vintage del secondo album e che qui appare ancora più accentuato.
Paolo Nutini ha tirato fuori un nuovo disco molto soul/R&B, quasi come se fosse una versione bianca e maschile di Janelle Monae, la quale non a caso figura come prestigiosa guest-vocal del brano “Fashion”. Il limite del disco è solo quello di scivolare in maniera un po’ troppo tranquilla nella parte finale. Qualche brano uptempo in più come il primo singolo “Scream (Funk My Life Up)” non avrebbe guastato, ma nel complesso si può considerare un perfetto ascolto da domenica mattina: rilassato, sciallato e tranquillo. E un tizio che ti tira fuori un disco così, sebbene sia bello, bravo e simpatico, è difficile da odiare.
(voto 7/10)



Damon Albarn “Everyday Robots”
Per me parlare di Damon Albarn è un po’ come per un cristiano affrontare l’argomento Gesù Cristo o la Santificazione dei Papi. Ho un forte senso di soggezione e di gratitudine nei suoi confronti. Il Damon è uno dei pochi eroi degli anni ‘90 che nel corso della sua ormai lunga carriera non mi ha mai deluso. Qualche lavoro un po’ sottotono l’ha realizzato pure lui, che manco Dio è perfetto. I supergruppi The Good, the Bad & the Queen e Rocket Juice & the Moon ad esempio non mi avevano entusiasmato e le colonne sonore delle opere teatrali Dr. Dee e Monkey: Journey to the West ce la poteva pure risparmiare. Per il resto, Albarn non ha mai sbagliato un disco, né con i Blur, né con i Gorillaz. Dopo aver realizzato decine di lavori e molteplici progetti differenti, Damon Albarn è ora giunto al suo primo album solista vero e proprio, se si esclude l'EP "Democrazy". E com’è, questo “Everyday Robots”?

È un’albarnata pazzesca! Questo è il grande pregio così come l’unico piccolo limite del lavoro. Per chi conosce bene il suo percorso artistico, qui dentro è difficile trovare novità enormi. È come sentire i Blur senza la componente più rockettara fornita da Graham Coxon, o come ascoltare i Gorillaz privi della parte più hip-hoppara. L’album è più che altro una raccolta di ballate autobiografiche molto sentite e personali, alcune, la maggior parte, davvero splendide come la title-track "Everyday Robots", l’incantevole “Hostiles” (una delle canzoni più belle degli ultimi 120 anni), la malinconicissima “Lonely Press Play”, la sognante “The Selfish Giant”, e la molto soul “Heavy Seas of Love”, che ricorda “Tender” dei Blur. Manca solo quell’innovazione musicale che aveva sempre contraddistinto i suoi lavori passati. In compenso è ben presente una classe enorme e una capacità di scrivere canzoni eterne, fuori dal tempo, come pochi altri oggi sanno fare. A 20 anni dall’uscita di “Parklife” dei Blur, del periodo d’oro del Britpop e delle rivalità con i fratelli Gallagher, “Everyday Robots” è l’ulteriore, definitiva conferma che Damon è il migliore autore della sua generazione. Vi sembra poco?
(voto 8/10)



Skrillex “Recess”
Skrillex è un tamarro?
Sì.
Skrillex è un truzzo?
Sì.
Skrillex ha cambiato la musica degli ultimi anni?
Che vi piaccia o meno, anche la risposta a questa domanda è affermativa. Sonny John Moore (questo il suo vero nome), ha cominciato nella scena metal con i From First to Last, per poi reinventarsi come deejay e producer elettronico e inventare un suono nuovo. Skrillex non ha creato il genere dubstep, ma è riuscito a darne una sua particolare declinazione, commerciale e tamarra fin che si vuole, ma anche dannatamente efficace. Musica che va suonata a massimo volume col subwoofer a stecca, per assaporare in pieno i bassi, sentirseli pompare dentro al corpo e fare incazzare i vicini di casa.
Nel corso degli ultimi anni, Skrillex è diventato il nome di punta, il poster boy della scena dubstep e l’ha fatto con una manciata di singoli, di EPs, oltre ad aver contribuito alla devastante colonna sonora del cult movie più cult movie degli ultimi anni, Spring Breakers. Il suo primo album vero e proprio è arrivato solo adesso, si chiama “Recess” ed è un lavoro fico, pieno di bombe da dancefloor, come “Recess”, “Ragga Bomb” e “Ease My Mind”, pezzi capaci di polverizzare tutto. Allo stesso tempo il disco manca il bersaglio grosso, quello di diventare un vero e proprio manifesto del genere, l’album simbolo del dubstep. Skrillex si dimostra ancora come un tipo più da canzoni singole che da long playing, ma quando alzerete il volume dei suoi pezzi e sentirete le finestre tremare, potrete anche chiudere un occhio (e un orecchio) su questo aspetto.
(voto 6,5/10)



Pharrell Williams “G I R L”
Ormai non se ne può più. “Happy” è una canzone contagiosa, riuscitissima, capace di mettere subito di buon umore. Fino a qualche tempo fa. Dopo che è stata suonata ovunque, dagli Oscar al Grande Fratello, in qualunque servizio di telegiornale, spot, promo, e usata in qualsiasi balletto, c’è poco da fare, ormai ascoltare “Happy” fa diventare sad. E fa persino morire.


Il secondo album solista di Pharrell “G I R L”, dopo il non troppo riuscito “In My Mind”, ha il problema di essere costruito proprio intorno a quel fortunatissimo pezzo, un po’ troppo in fretta e furia. Qualche singola canzone come “Marilyn Monroe” o la nuova collaborazione con i Daft Punk “Gust of Wind” funziona, solo che nel complesso il disco manca di una sua coerenza generale e finisce per suonare a tratti come una versione di serie B di Justin Timberlake. Da Pharrell, producer e autore geniale, io mi aspetto qualcosa di più per farmi davvero happy.
(voto 5,5/10)

mercoledì 5 febbraio 2014

DISCHI VERGOGNA



Dopo aver annunciato al mondo i miei Film Vergogna, ed essere stato pubblicamente deriso, oggi bisso con i miei Dischi Vergogna. Di che si tratta?
Sono quei dischi che amo, o più che altro che ho amato in passato, segretamente. Quei dischi commerciali, o fatti da band e artisti discutibili o scandalosi, o tutte queste cose messe insieme. Gli album “guilty pleasure” che ascolto, ma soprattutto che ho ascoltato, e di cui più mi vergogno. E attenzione perché la settimana prossima ci sarà spazio pure per le mie 10 Canzoni Vergogna preferite, giusto per raddoppiare la dose di shame on me!


Ecco la blacklist dei miei dischi vergogna.

10. Duran Duran “Rio”
Partenza soft con un gruppo che la Storia ha ormai ampiamente riabilitato. Eppure, per i puristi della musica alternative anni ’80, i Duran Duran saranno sempre il suono degli yuppie, dei wild boys, dei paninari, per qualcuno anche i precursori delle boy band. Come sia o come non sia, il gruppo del bel Simon le Bon, che all’epoca faceva urlare le teenagers come oggi i One Direction, ha rappresentato il lato più pop e glamour  e godereccio della anni ’80. Dopo tutto non di soli Joy Division si può vivere. E poi Rio è un Signor Album.



9. t.A.T.u. “200 km/h in the Wrong Lane”
Una delle operazioni di marketing più geniali nella Storia. Della musica pop e non solo. Prendi due ragazzine russe dal fascino lolitesco (Nabokov d’altra parte di che paese era?), le metti a limonare e poi, se avanza del tempo, le metti anche a cantare qualche canzoncina, come “All the Things She Said” che spaccava e spacca ancora di brutto!



8. Robbie Williams “Life thru a Lens”
Tra le mie vergogne musicali non ci sono boy band, che non ho mai amato particolarmente manco per sbaglio. Preferisco quando un cantante esce dal gruppo, come Justin Timberlake dagli 'N SYNC, o come Robbie Williams che, dopo essere stato il cicciobombo cannoniere dei Take That, si è costruito una carriera di tutto rispetto. Tra i suoi dischi, il mio preferito è l’esordio solista, britpop nella sua veste più commerciale allo stato puro. Sì, è quello con “Angels”.
7. Lady Gaga “The Fame Monster”
L’esordio di Lady Gaga nel mondo del pop con “The Fame”, riuscito poi in versione deluxe più goduriosa come “The Fame Monster”, è stato una bomba, boom! Peccato che al terzo album abbia già fatto un bell’artflop. In attesa di capire se il suo periodo d’oro sia terminato o meno, io canto “po-po-poker face po-po-poker face” come se non ci fosse un domani.



6. Avril Lavigne “Let Go”/“Under the Grip”
La mia cantante bimbominkiosa preferita. Ultimamente la Avril non se pò più sentì, ma per i suoi primi due dischi, “Let Go” bello pop-punk e “Under the Grip” bello darkone, ci metto ancora oggi un sacco di ♥ ♥ ♥ ♥ ♥
Cotta adolescenziale ad honorem 4ever!



5. Articolo 31 “Così com’è”
Questa è stata la prima musicassettina tarocca che ho comprato da un vucumprà. Si sentiva malissimo e così più tardi mi sarei rifatto acquistando addirittura il CD originale. Insomma, c’ho smenato un sacco di soldi per questo disco di J-Ax e DJ Jad, ma alla fine ne è valsa la pena. A livello musicale suona come una versione spaghetti funk dell'hip-hop commerciale americano anni '90 e alcune canzoni non è che fossero proprio il massimo, però i testi erano e rimangono spettacolari, delle vere e proprie lezioni di vita.



4. Cristina D’Avena “Un Fivelandia a caso”
Cristina D’Avena è stata la nave scuola, a livello musicale intendo, per generazioni e generazioni e generazioni di italiani. Una vergogna collettiva e socialmente accettata, però pur sempre una vergogna.
Al di là dell’inevitabile effetto nostalgia, alcuni pezzi comunque restano niente male, come la mia canzone daveniana preferita, “Nanà Supergirl”. Ogni volta che la sento, mi viene da piangere.



3. Britney Spears “In the Zone”
Di Britney Spears dovrei citare l’opera omnia. Il video di “…Baby One More Time” mi ha bloccato la crescita, brani come “Sometimes”, “Lucky” e “I’m a Slave 4 U” per me sono stupendi, con l’album “Blackout” ha praticamente inventato il puttanpop (tra i generi musicali vergognosi il mio preferito!) e insomma io Britney la lovvo totalmente. Tra i suoi dischi il mio preferito è “In the Zone” del 2003, quello in cui hanno cominciato a intravedersi i segnali della follia che l’avrebbero portata a drogarsi pesantemente e a radersi i capelli a zero. Quello in cui ci sono “Toxic” e il sommo Capolavoro pop “Everytime” cantato anche in Spring Breakers. Britney Spears forever, bitches!



2. Gigi D’Agostino “L’amour toujours”
Su le mani. Su ‘ste cazzo di mani!
Il re del suono più tamarro degli anni ’90, e probabilmente dell’intera Storia della Musica, è lui e solo lui.
Arriva da Torino, è Gigi D’Agostino!



1. Spice Girls “Spice”
Nel periodo 1996/1997 i gruppi per cui andavo fuori di testa erano i Radiohead, gli Smashing Pumpkins, i Nirvana, i Blur, i Sonic Youth e… le Spice Girls.
Non mi sono mai piaciute le vie di mezzo. O ascoltavo le chitarre violentate dai Sonic Youth, oppure mi lasciavo andare al suono ultracommerciale delle ragazze speziate.
La mia preferita?
Andavo a periodi, ma in generale direi lei, la più vaccona: Geri Halliwell.



"Evvai, abbiamo vinto il Cannibal Vergogna Award!"

Vi invito a partecipare a questa pubblica gogna con i vostri personali Dischi Vergogna, qui sotto tra i commenti, oppure pubblicando le vostre liste su Facebook o sui vostri blog o dove preferite. Se lo fate, magari segnalate che la vergognosa iniziativa è partita da questo post, please:
http://pensiericannibali.blogspot.it/2014/02/dischi-vergogna.html

martedì 10 dicembre 2013

COTTA ADOLESCENZIALE 2013 – N. 9 SELENA GOMEZ



Selena Gomez
(USA, Messico 1992)
Genere: good girl gone bad
Il suo 2013: ha dato l'addio alla serie I maghi di Waverly e soprattutto a Justin Bieber, per darsi al cinema alternativo d'autore con Spring Breakers di Harmony Korine. In più ha registrato un valido disco di puttanpop commerciale come "Stars Dance", ha fatto una divertente comparsata nell'horror Aftershock e, tanto per non farsi mancare niente, ha pure girato uno dei peggiori film dell'anno, il thriller automobilistico Getaway.
Se ti piace lei, ti potrebbero piacere anche: Rachel Bilson, Lucy Hale, Mila Kunis, Demi Lovato
È in classifica: perché è la bimbaminkia più caliente dell'asilo di Hollywood
Il suo discorso di ringraziamento: "Grazie Cannibal, ma sei sicuro di non avermi confuso con la pornostar Selen?"

Dicono di lei su
Tetter
Justin Bieber @justinbieber
@selenagomez m'ha lasciato, e che mi frega? Ormai ho completamente voltato pagina.


10 secondi dopo...

Justin Bieber @justinbieber
Ueeeeee, @selena gomez, ti prego torna con me, ueeeeeee!!!





domenica 8 dicembre 2013

MAN OF THE YEAR 2013 – N. 11 JUSTIN TIMBERLAKE



Justin Timberlake
(USA 1981)
Genere: cantattore
Il suo 2013: ha pubblicato ben due album, The 20/20 Experience e The 20/20 Experience – 2 of 2, il primo davvero niente male, il secondo più che altro una raccolta di B-sides e riempitivi che comunque fanno la loro porca figura. Come attore, si è visto invece in Runner, Runner, in attesa che esca anche in Italia Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen. Agli Mtv Music Awards americani ha inoltre fatto una piccola (ed evitabile) reunion con la sua ex band, gli 'N Sync.
Se ti piace lui, ti potrebbero piacere anche: Ryan Phillippe, Matthew Morrison, Robin Thicke
È in classifica: perché ha fatto uno dei dischi più stilosi e di classe dell'anno, in bilico tra commercio pop e sperimentazione, con pezzoni come "Mirrors" e "Suit & Tie" accompagnati da super video diretti da Floria Sigismondi e David Fincher. E intanto zitto zitto prosegue pure la sua carriera cinematografica.
Il suo discorso di ringraziamento: "Accetto questo riconoscimento, Cannibal, ma solo se ti metti pure tu in Suit & Tie."

Dicono di lui su
cinguettator
Joey Fatone @FatJoey
Non capisco perché, tra tutti noi #NSync, ha fatto carriera proprio lui che non sa far niente ed è pure bruttarello e non io... #MisteriInspiegabili



lunedì 18 novembre 2013

SKYPE FERREIRA




Sky Ferreira “Night Time, My Time”
E se Sky Ferreira fosse una Miley Cyrus uscita da un mondo alternativo?
Considerando che è una delle giovani cantanti più lanciate del momento, che fa parte anche lei della leva del 1992 (ma perché, si dice ancora leva?), e soprattutto che le piace devastarsi e mostrarsi nuda, fin dalla copertina del suo album d’esordio, direi che il paragone ci può stare.
Sky Ferreira però è anche altro e molto più di questo. Anche perché lei non ha sviluppato la malattia che costringe Miley a tirare fuori la lingua in ogni occasione, almeno se non è in compagnia della diretta interessata (vedi foto a destra). Povera Miley, è malata, non è mica colpa sua.
Sky Ferreira è pure una specie di Courtney Love di nuova generazione. Di recente è stata fermata per possesso di eroina insieme al suo Kurt Cobain ovvero Zachary Cole Smith, il cantante della indie-band DIIV, gruppo il cui precedente nome era Dive, preso proprio, guarda caso, da una canzone dei Nirvana. Potete quindi capire che Sky Ferreira è un po’ una versione hardcore della già di suo piuttosto hardcore (almeno a livello sessuale) Miley “Banana Montanal” Cyrus. E poi c’è qualcos’altro. Sky Ferreira ha anche una voce sexy che ricorda Shirley Manson dei Garbage e un faccino innocente alla Emma Watson (come mi aveva fatto notare Alma Cattleya). E poi, poi ci sono le canzoni.

Prima di conoscere Miley Cyrus.

Dopo aver conosciuto Miley Cyrus.

Se il paragone con la povera malata Miley Cyrus vi ha fatto storcere il nasino e rizzare i capelli, tranquilli. Come musica, è tutta un’altra musica. Sky Ferreira fa pur sempre pop, però il suo è un pop deviato, strambo, alternative. Il suo è un pop di quelli che difficilmente sentirete in radio. Non oggi. Tra due o tre anni, forse, un sacco di popstar avranno copiato il suo sound e venderanno gigamiliardi di copie (ma perché, i dischi si vendono ancora?), al punto che è già sbucato fuori un suo clone commerciale, tale Margaret, ma oggi il suono di Sky Ferreira è ancora troppo alieno ed estremo per i capoccia delle radio.

Come sia o come non sia il sound che va sulle radiofrequenze (ma perché, esistono ancora le radiofrequenze?), “Night Time, My Time” (titolo che cita una frase di Laura Palmer in Twin Peaks), l’album d’esordio di Sky Ferreira dopo una manciata di singoli ed EPs, è il suono del pop del 2013. Di come dev’essere il pop del 2013. Un pop un po’p bastardo con echi degli Sleigh Bells (“Heavy Metal Heart”) e addirittura dei Suicide, omaggiati apertamente nella nipponica e delirante “Omanko”. Un pop perfetto incrocio tra romanticismo e disincanto, tra rock ed electro, tra Garbage e Madonna, come nel numero d’apertura “Boys”. Un pop 80s come quello di “24 Hours”, che sembra essere recuperata da una colonna sonora di un film di John Hughes, uno di quelli ambientati tutti in 24 hours come Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare, Una pazza giornata di vacanza o Breakfast Club.



Un pop stellare come “Nobody Asked Me (If I Was Okay)” che – Ciao a tutti! – ora come ora mi sembra la canzone più figa dell’universo.



Un pop non ruffiano e smielato e banale bensì raffinato e riflessivo e intimista come nell’ipnotica “I Blame Myself”. Un pop che non si consuma subito ma cresce con gli ascolti come “Ain’t Your Right”. Un pop cui basta una chitarrina sputtaneggiante e un ritornello che non va più via per mandarti in Paradiso, come capita con “You’re Not the One”. Un pop che non è pop, è rock come “I Will”. Un pop che non è pop per niente come “Night Time, My Time”, una spettrale ballad in slow-motion tra Zola Jesus e Radiohead con cui Sky, dopo averti mandato su in Paradiso, ti spinge giù tra le viscere dell’Inferno.

Sky Ferreira forse è la Miley Cyrus alternativa, o forse è il frutto dell’amore tra Courtney Love e Madonna, o forse è solo una cometa destinata a bruciare in fretta e di cui tra un paio di anni non sentiremo più parlare.
Per intanto però chissenefrega, questa cometa ha tirato fuori il disco pop definitivo del 2013, un disco con cui oggi dà merda alle varie e sorpassate colleghe (chi ha detto Gaga?) e con cui vola più in alto di tutte nello sky del pop.
(voto 8+/10)



venerdì 8 novembre 2013

LADY GAGA, ARTPOP O ARTPOOP?




Lady Gaga “Artpop”

Nel futuro, ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti.
Andy Warhol, 1968

Lady Gaga è la più grande popstar del mondo. Milioni di miliardi di copie vendute dagli album "The Fame" (poi anche in versione "Monster") e "Born This Way", tour mondiali tutti esauriti, copertine delle riviste di tutto il globo, canzoni come “Poker Face” e “Bad Romance” entrate nell’immaginario collettivo, è la persona più seguita sui social network, ha una sconfinata popolarità (forse) superiore a quella di Obama e del Papa…
Questo finora. Stefani Joanne Angelina Germanotta adesso è arrivata al fatidico appuntamento con il terzo album, con una Madonna ormai detronizzata dal trono di regina del pop, ma con diverse rivali/discepole che stanno cercando a loro volta di prendere il suo posto, come Rihanna, Katy Perry e la lanciatissima Miley Cyrus, colei che, tra nudi, scandali e twerk vari sta facendo apparire Gaga come un’educanda. Soprattutto, la sta facendo passare per qualcosa di superato. In un mondo del pop che gira velocissimo, la Germanotta con il suo nuovo album sarà allora riuscita a confermarsi la Regina?
Andiamo a scoprirlo.

“Artpop” track-by-track
Aura” è il brano anticipato dalla colonna sonora di Machete Kills, il film che segna il debutto cinematografico di Lady Gaga su grande schermo. Sì, vabbè, la Germanotta aveva fatto anche una breve apparizione in un episodio de I Soprano, ma era giusto un cameino-ino-ino. La canzone in ogni caso è una tamarrata prodotta dal lanciatissimo Zedd che si apre a un ritornello molto melodico. Non avrà un’aura magica, ma suona abbastanza bene.



Venus” prosegue sulla falsariga del pezzo precedente: truzzata clamorosa con qualche lampo di melodia. Il pezzo, prodotto da DJ White Shadow, campiona “Rocket Number #9” degli Zombie Zombie, a sua volta cover di una canzone di Sun Ra. Il risultato è un inno da discoteca fine anni ’80/primi ’90.



Con “G.U.Y.” l’impressione iniziale si trasforma in certezza: il suono di questo “Artpop” ricorda sempre più quello che si poteva sentire facendo un giro alle giostre in una primavera degli Anni Novanta: elettronica truzza, che spinge senza vergogna. Niente di nuovo, quindi, ma il producer Zedd, che fa doppietta con “Aura”, se la cava. Peccato non abbia prodotto anche il resto.

Sexxx Dreams” è sempre una tamarrata, però è una tamarrata più lenta. Un pezzo di puttanpop soft-erotico perfetto per una lap dance. Per un ascolto all’infuori di un nightclub non è però proprio l’ideale e nel ritornello suona come un pezzo di Mariah Carey remixato. E questo non è un complimento.

Il pop porno di “Sexxx Dreams” ci conduce nella seconda parte del disco. Con “Jewels n’ Drugs” si cambia registro e si entra in una versione di Gaga del rap, grazie anche ai featuring di T.I., Too Short e Twista, perché la Germanotta è la solita esagerata e un rapper solo non gli bastava. Lei voleva un’orgia di rapper e l’ha ottenuta. Peccato che il risultato sia da meh. L’hip-hop non fa per lei, proprio no, l’abbiamo capito.

Lady Gaga si va a fare la “Manicure” e cambia ancora sound. La canzone è una specie di rock tamarro alla Rock of Ages che però finisce per suonare più vicino all’ultima Avril Lavigne che ai Def Leppard. Nemmeno questo è un complimento.

Quindi è la volta del nuovo singolo “Do What U Want” che a tratti mi ricorda “Doin’ It Right” contenuta sull’ultimo album dei Daft Punk. Mentre il featuring di R. Kelly mi ricorda Tiziano Ferro. Decidete voi se quest’ultima cosa sia positiva o meno…
Alla fine della fiera, perché di fiera più che di disco si tratta, con la sua unione di electro e R&B questo si rivelerà il pezzo musicalmente più interessante e coraggioso della raccolta, il che la dice lunga sulla qualità complessiva dell’ultimo lavoro gaghiano. O si dirà gagaista?



Arriva la title track, “Artpop”.
Come suona?
Suona molto… artpop. Come ca**o volevate che suonasse?
Suona però come un artpop svogliato. La voce di Gaga è spenta, non morde, il ritornello è qualcosa di quasi inascoltabile. Che è successo? La Lady è entrata in menopausa insieme all’ultima terribile Madonna?
Io dico solo che, fino ad ora, questo Artpop mi sembra una delusione, e pure una cagata, pazzesca. Ma andiamo avanti.

Swine” significa “porco” e potrebbe segnare l’inizio di un nuovo genere musicale. Non più puttanpop, ma porcopop. Con questo pezzo suino si ritorna sui ritmi unz-unz-unz della prima parte del disco, con dei bassi mostruosi e quasi dubstep, perché oggi vuoi uscirtene con un album senza manco un brano vagamente dubstep? Eh no, bella mia, non si fa. Solo che già Britney, Rihanna, Miley, Selena e persino Justin Bieber e i Negramaro sono arrivati prima di te, cara Gaga. Fino a qualche mese fa mi dettavi le tendenze e adesso ti limiti a seguirle? Sei proprio come l’ultima Madonna, con la differenza che Lady Ciccone c’ha messo vent’anni e passa per spegnersi, tu Lady G al terzo album stai già mostrando di avere il fiato corto. Non me l’aspettavo da te, cacchiarola.

Con il pezzo successivo, la Germanotta sembra aver trovato la sua nuova dimensione ideale: fare musica per le sfilate di moda. “Donatella” è dedicata proprio alla “nostra” Donatella Versace ed è un pezzo perfetto. Perfetto per una passerella. Se non siete modelle o modelli che stanno facendo una sfilata, potete tranquillamente skippare al pezzo successivo…

Ehm, come non detto. Il pezzo successivo si chiama “Fashion!” ed è un altro inno da passerelle, questa volta però più intrigante e riuscito rispetto a quella cagata di “Donatella”, per quanto mi riguarda il pezzo peggiore nella carriera della popstar finora, una roba degna di “Alfonso Signorini (Eroe nazionale)” di Fedez.
In “Fashion!” i suoni si fanno molto 70’s, molto Daft Punk, molto Chic, con lo zampino di David Guetta alla produzione. Non sarà “Vogue” di Madonna, lascia solo immaginare cosa ne uscirebbe da una collaborazione Gaga + Daft Punk, ma se non altro suona meno peggio rispetto ad altre cose che sfilano in questo super kitsch “Artpop”.

Mary Jane Holland” è pura gaga-tamarrata. Anche se rimaniamo sempre lontani dai livelli dei pezzi di “The Fame” e “Born This Way”, finalmente questo “Artpop” comincia a gasare. Alla buon’ora, il disco è quasi finito.

Dope” è la prima ballata. A dirla tutta, è anche l’unica vera e propria ballata. Dopo tante truzzate clamorose fa piacere tirare un po’ il fiato, ma il pezzo è lungi dal lasciare un segno di qualunque tipo. Non emoziona, fa sbadigliare, persino il testo è banale, ulteriore dimostrazione di come l’ispirazione e la capacità compositiva che Lady Gaga aveva mostrato nei precedenti dischi qui sembra aver abbandonato del tutto il suo corpo.



La successiva “Gypsy” parte pure questa come una ballad, fino a che entra un ritmo leggermente danzereccio e la canzone si trasforma in un’altra, l’ennesima tamarrata. Questa volta sarà solo una tamarrata a metà, ma di tamarrate ormai non ne posso più.

Chiude lo spettacolo “Applause”, il primo già conosciuto singolo che non è malaccio, soprattutto alla luce del resto del lavoro, ma che continua a non convincere del tutto. È una canzone electroclash piacevole alla Felix da Housecat, però da Gaga ci si aspetterebbe qualcosa di più nuovo di un brano che già una decina d’anni fa sarebbe suonato jurassico.

Fine track-by-track di “Artpop”



La Germanotta va in cerca di applausi, ma da me a questo giro raccoglie solo dei gran fischi. Se fino a un paio di anni or sono Gaga era la più grande e innovativa popstar del mondo, adesso appare già una stella cadente senza più nulla di originale da dire, che cerca nuove strade musicali e invece finisce per suonare solo come una versione più debole della sua “vecchia” se stessa. La cover realizzata dall’artista Jeff Koons comunque è davvero fighissima. E quando la copertina è la cosa migliore di un album, forse quest’album ha qualcosa che non va.

Auto proclamatasi la nuova Andy Warhol, Gaga s’è portata sfiga da sola. Lo dice uno che finora l’aveva sempre apprezzata e sostenuta e difesa contro quei big monsters dei suoi detrattori. “Artpop” venderà ancora parecchio e i suoi Little Monsters continueranno a seguirla con devota Fede. La triste verità però è che oggi non è già più lei l’icona pop del presente. La più discussa, criticata e odiata in rete ormai è Miley Cyrus, che gli ha pure fregato il fotografo/amico Terry Richardson da sotto il naso. Questo per quanto riguarda l’aspetto mediatico. A livello musicale non parliamone, la Germanotta è strasorpassata alla grande dalle nuove starlette dell’alternative pop mondiale come Sky Ferreira, Ellie Goulding, Charli XCX, Icona Pop, Lana Del Rey, Katy B e M.I.A.. Vabbè, M.I.A. non è proprio nuovissima, ma è comunque sempre anni luce più avanti dell’ultima Gaga.

“Artpop” suona come Artpoop, cacca d’arte, ma pur sempre cacca. Per 2 o 3 canzoni valide che pure sono presenti e la cui riuscita si deve più al lavoro dei producer che non a una vena compositiva della Germanotta in netta crisi, ne compaiono almeno altre 2 o 3 addirittura terrificanti, e di pezzi memorabili o degni delle cose migliori del suo “passato” non ce n’è manco uno. “Artpop” è un disco con cui la cantante non riesce più a suonare originale e fresca come un tempo e che risulta troppo pasticciato e confuso. Al suo interno vuole contenere di tutto e di più, ma finisce per contenere il Nulla.
Tic tac, tic tac.
Non è che i 15 minuti di Lady Gaga stanno già scadendo?
Tic tac, tic tac.
(voto 4,5/10)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com