martedì 28 ottobre 2008

Halloween Halloween

“La paura è una delle emozioni primarie. E come le altre emozioni si può imparare a controllarla.” Se avessi un dollaro per ogni volta che il Dr. Steinberg mi ha ripetuto questa frase adesso sarei stufo di essere ricco. Frase che è una grandissima stronzata, diciamocelo. La paura non può essere controllata.
Un’altra cosa che mi ripete sempre il Dr. Steinberg è che ci sono diversi modi per definire la paura, a seconda del suo grado di intensità: c’è il semplice spavento, gli attacchi di panico, il terrore puro e poi c’è la paranoia.
Lo spavento è una cosa breve, a volte basta un attimo e già se n’è andato. Lo spavento non è niente. Gli attacchi di panico sono improvvisi e non sono dovuti a nessun motivo particolare. Vengono e basta. Ma tempo mezzora e sono passati. Mi fanno una sega. Quando arriva il terrore l’uomo diventa come un animale. Non sei più in grado di distinguere tra il bene e il male. Agisci e basta, senza pensarci. La paranoia invece è la percezione di essere perseguitati sempre e ovunque da un mostro che ti insegue fino a non riuscire a farti vivere.
Con le parole del Dr. Steinberg che girano ancora per la testa insieme ai miei due soliti fedeli neuroni vado a prendere mio figlio da Stephanie, la mia ex. Mi ha mollato perché diceva che sono mentalmente instabile. Grandissima stronzata pure questa. Quando apre la porta sembra sorpresa: “Sei arrivato in anticipo,” mi dice col fiatone. Si tira su una spallina dell’abito rosso che ha indosso, quello che le avevo regalato io molto tempo fa. Dopo un po’ sbuca fuori Michael, il suo nuovo “compagno”. Si tira su la patta dei pantaloni. Mio figlio invece “non c’è ancora. Oggi aveva il dopo scuola. L’hai dimenticato come fai sempre con tutte le cose?”
Dico che no, “non me ne sono dimenticato. Ho preso le mie pastiglie, oggi.” Agito il tubetto mezzo vuoto di pasticche. “Vedi?”
Poi arriva. Insieme ad una ragazzina bionda mai vista prima. Si stanno scattando delle foto col cellulare, probabilmente per metterle su myspace. “Chissà se se la fa?” mi chiedo.
Mio figlio si chiama Eugene (non guardate me, il nome l’ha scelto la madre…) ha 12 anni, ascolta i Fall Out Boy (lo so perché ha indosso una loro t-shirt), su myspace il suo nickname è Black Nightmare e ha 1227 amici (almeno fino alle 11 di stamattina quando ho controllato che qualche pervertito non gli avesse lasciato dei commenti sconci). E basta. Non credo di sapere altro su di lui. Quella strega di sua madre non me lo lascia vedere molto spesso. Anche il giudice ha sentenziato che sono “mentalmente instabile” e io in aula ho gridato “Grandissima stronzata. Ma che è? Vi siete messi tutti d’accordo per dire la stessa maledetta bugia?”
Stasera però la strega e Michael devono andare alla festa di Halloween organizzata dagli amici di lui (considerata la sua età, sospetto si tratti di una cosa della confraternita) e siccome anche Ashley la baby-sitter tettona stasera ha da fare (probabilmente sarà pure lei a quella festa), Stephanie ha pensato di concedermi la possibilità di “Fare il padre, per una volta. Almeno provaci,” mi ha detto.
E dunque eccomi qui a fare “dolcetto o scherzetto” insieme a questo tween che non conosco per niente. Provo a farci due chiacchiere: “Hey, giovanotto. Chi era quella bionda? La tua fidanzatina?” Lui mi guarda shockato e mi fa: “Stai parlando di Tiffany?” scuote la testa. “Certo che no, mioddio.” Tempo qualche mese o forse solo qualche giorno e cambierà idea. Gli ormoni prenderanno il sopravvento. In ogni caso, primo tentativo di approccio da parte mia: fallito. Sposto l’argomento su Halloween: “Cosa vuoi indossare per andare in giro?” Lui scrolla le spalle incurante: “Mamma ha detto che sei tu quello bravo con i travestimenti e anche con i cambiamenti di personalità. Non ho capito esattamente di che stesse parlando ma credo mi potrai dare una mano.” Quella strega dovrebbe smetterla di dire stronzate sul mio conto, ma almeno grazie a questo mio potere mutante ho l’occasione giusta per diventare il padre figo dell’anno. Prima però devo trovare un travestimento all’altezza.
Andiamo al vecchio negozio di Joe, quello dove mio padre mi portava sempre a scegliere i vestiti per Halloween. A quei tempi la scelta era tra i Ghostbusters, Michael Jackson e Batman. Oggi la scelta è tra il vampiro di Twilight, il cantante dei My Chemical Romance e il Joker. Ma la maschera di oggi che mi terrorizza di più è certamente quella da Sarah Palin. Se avessi una femmina penso proprio che gliela farei indossare. A Eugene (ma che razza di nome!) dico invece che col Joker quest’anno va sul sicuro. Lui accenna un “ok” non troppo convinto, come se qualunque vestito non avrebbe cambiato lo stato delle cose: una noiosa serata a rendersi ridicolo insieme al vecchio anziché essere alla festa strafica col “patrigno” e i suoi amici a mala pena maggiorenni.
“Bene Joker, why so serious?” gli chiedo vedendo il suo volto corrucciato. Lui coglie il riferimento e mi accenna quasi un sorriso. Andiamo a prepararci per la serata nel mio appartamento. È la prima volta che ci entra e va subito in salone a spulciare nella mia vasta collezione di cd e dvd. “Non siamo poi così diversi,” sembra suggerire il suo sguardo.
Io esco dalla mia camera vestito da Batman. Eugene mi guarda come se fossi pazzo. Grandissima stronzata, io non sono pazzo. “Non sono uguale a Christian Bale?” gli chiedo e stavolta lo vedo tutto il suo sorriso. Finisco di mettergli il rossetto sbavato sulle labbra e siamo pronti a sfoggiare i nostri costumi in strada. Appena fuori vedo un flash. Qualcuno ci sta scattando delle foto. Ma dov’è? Cerco di vedere da dove sia arrivata la luce accecante ma è impossibile individuarla in mezzo al muro di marmocchi Harry Potter accompagnati da adulti nascosti sotto le maschere da McCain, Obama e da Joe l’idraulico.
Andiamo a bussare alla porta della signora Anberlin, la mia anziana vicina di casa. “Signora Anberlin, dolcetto o scherzetto?” Non risponde. Mi accorgo che la porta è soltanto socchiusa, così entro. È tutto buio, le uniche luci arrivano dalle lanterne di Jack che sbucano inquietanti qua e là per la casa, io però mi muovo con sicurezza, come se quel posto mi fosse familiare. Eugene sta defilato dietro ai miei pantaloni. Quando mi giro a guardarlo fa il suo solito sguardo indifferente, ma mi sa che se la sta facendo sotto. “Signora Anberlin, ce l’ha qualche dolcetto da darci?” Entriamo in soggiorno e non si vede un accidenti. Eugene inciampa su qualcosa e finisce a terra, lamentandosi per il dolore al ginocchio. Una luce si accende. Seduta su una poltrona compare inquietante la signora Anberlin, cornetta del telefono appoggiata all’orecchio. “Ho già chiamato il 911,” minaccia.
“Ma signora, sono il suo vicino.”
Lei prova a guardarmi nell’oscurità ma non riesce a vedermi. “Questo dovrai dimostrarlo ai poliziotti, non a me,” mi intima. Prendo Eugene per mano e ce la filiamo fuori.
“Questa è proprio svitata,” sorride Eugene. Il dolore al ginocchio se n’è già andato. “Che spavento quando l’ho vista in faccia!” mi confida in uno di quei momenti padre-figlio che ho sognato ogni giorno di questi ultimi 12 anni.

Tornati in strada vedo Tiffany, l’amichetta di mio figlio. È vestita da Hannah Montana. “È carina, vacci a parlare,” suggerisco a Eugene. Lui fa “Naah,” ma lo vedo che ha voglia di andare a salutarla. “Dai, io ti aspetto qui. Prometto di non farmi vedere.”
Eugene è lì, insieme alla sua Hannah Montana, e da qualche parte arriva la musica di Nightmare Before Christmas e tutto è così perfetto. E poi, succede ancora una volta. Quando tutto sembra andare bene nella mia vita lui compare. All’inizio striscia come un’ombra. Quindi diventa carne. Lo vedo comparire dietro Eugene. Vengo colto da un attacco di panico e me ne resto lì paralizzato. La piccola Hannah Montana guarda terrorizzata alle spalle di mio figlio. Eugene si gira e mi vede “Oh, quello è solo mio padre,” la rassicura. L’ombra che striscia è sparita nel nulla. Ci siamo solo io, Eugene e la bionda. Gli facciamo “ciao ciao” con la manina e ce ne andiamo.
“Avevi promesso che non saresti comparso,” si lamenta Eugene.
“Qui non è sicuro,” gli faccio io, guardandomi in giro torvo.
“Non è che incominci con uno di quei tuoi attacchi? Com’è che li chiama mamma?” ci riflette su, poi sentenzia: “Ah si, attacchi di paranoia.” Le sue parole affilate fanno a pezzettini il mio ego.
“Non devi ascoltare quello che dice tua madre sul mio conto. Sono tutte stronzate,” riprendo il controllo della conversazione. Dopotutto tra noi due quello adulto sono io. “È solo che io sono il cavaliere oscuro e vengo fuori dall’oscurità.” Adulto, ma fino a un certo punto. “Buahuahuah,” mi metto a sghignazzare. Lo faccio ridere ancora una volta. È un nuovo record!
In lontananza vedo una casa con il giardino ripieno di ragazzi sfatti e di macchine parcheggiate a caso. “Dev’essere una festa,” penso. “Dev’essere LA festa della confraternita,” realizzo. “Andiamo un po’ lì a fare dolcetto o scherzetto,” suggerisco a Eugene. Dal tono del suo “ok” direi che è tornato al solito stato da zombie pre-adolescente indifferente a tutto.
Bussiamo alla porta e veniamo accolti da un quarterback ubriaco: “Bei costumi ragazzi, entrate! Io intanto me ne vado a fare un giro sulla mia Mercedes nuova,” fa sventolando le chiavi. Ci accomodiamo in salotto. Alcune ragazze stanno ballando e si stanno baciando su I Kissed a Girl di Katy Perry. Copro gli occhi di Eugene, poi mi chiedo “Ma che sto facendo? Queste sono cose che DEVE vedere.” Gli tolgo la mano dagli occhi e ce ne stiamo tutti e due lì imbambolati per un bel po’.
Veniamo interrotti dalla voce da strega di Stephanie: “E voi che ci fate qui?” A cui seguono frasi del genere “Ma ti sembra un posto in cui portare un bambino?” cui io replico “Ti sembra il posto in cui portare una quasi-quarantenne?” e il mio sguardo va a incrociare quello del suo “compagno” Michael. Seguono alcuni bicchierini di Jack per calmarmi, Eugene-Joker che viene accarezzato e vezzeggiato “Ma che ragazzino carino!” dalle tipe che prima si baciavano, qualche flash che mi acceca, fiumi di birra, un paio di pezzi di Lil Wayne e altre studentesse sexy che ballano. Fino a che Stephanie ci prende e ci porta fuori: “Ho sbagliato a fidarmi di te,” punta il suo dito accusatore. “Adesso riportalo a casa e poi salutalo, perché è l’ultima volta che lo vedi.”
Sulla strada di casa siamo così un Batman e un Joker un po’ tristi, ma Dio sa se ce la siamo spassata! Ci avviamo verso il mio appartamento per toglierci i costumi, quand’ecco che rivedo Tiffany-Hannah Montana. È insieme a un uomo che non riesco a vedere bene perché se ne sta nell’oscurità. Mi avvicino, ma è come se il suo volto stesse sempre di spalle. Però ne sono sicuro: è l’ombra che mi perseguita. Sempre la solita. Adesso che è diventata carne e ossa prende la manina di Tiffany e se la porta via. “Seguiamoli,” faccio a Eugene.
“Ma di chi diavolo stai parlando?” mi chiede lui.
“Della tua amichetta, insieme a quel tizio.” Li indico mentre fuggono via.
“Intendi Tiffany?” fa Eugene guardandosi intorno. “Sono due ore che io non la vedo.”
“Era lì,” gli faccio e corro verso quella direzione. Li scorgo mentre entrano nella casa della signora Anberlin. L’uomo ha in mano un coltello. La porta è ancora semiaperta. Entro ed è sempre tutto così maledettamente buio, non vedo un tubo. “Tiffany!” grido. “Dove sei?” Non arriva nessuna risposta. Allora ritento: “Hannah?” grido sempre più forte. “Hannah Montana, ci sei?” Il terrore si è ormai totalmente impossessato di me. Sento dei rumori. Non vedo Tiffany, né Hannah Montana, però scorgo l’ombra che mi perseguita. La sento respirare, è davanti a me. Le luci si accendono improvvisamente. Adesso riesco a vedere il volto dell’ombra. È la mia faccia, rinchiusa in uno specchio proprio di fronte a me.
“Eccolo!” grida la signora Anberlin. “È lui, arrestatelo.”
Alcuni poliziotti sbucano fuori dal nulla e mi mettono le manette ai polsi. Fuori è un casino di sirene, luci e flash che immortalano il mio volto. Il mio volto. Il volto dell’ombra che mi perseguita da sempre. Sono io. Il mio peggior nemico, la causa di tutte le disgrazie della mia vita sono io. Cerco di vedere dietro ai flash. Ci sono Tiffany ed Eugene che mi stanno scattando delle foto. “Ragazzi, state bene?” chiedo loro. Non ricevo risposta, chè sono già spinto dentro la volante degli sbirri.
La mattina seguente, in carcere ricevo la visita di Stephanie.
“E Eugene?” le chiedo. “Dov’è Eugene?”
“L’hai lasciato in mezzo alla strada,” mi grida, evitando di rispondere alla mia domanda.
“Dov’è Eugene?” provo a ripeterle.
“Come hai potuto? Nemmeno da te mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Il Dr. Steinberg dice che sono tre mesi che non ti fai vedere.”
“Sì, lo so. Ho fatto una stronzata, come al solito. Ma Eugene dov’è?” comincio a preoccuparmi.
“È passata una Mercedes. Un ragazzo ubriaco uscito dalla festa.” Mi fa lei.
Il quarterback. La Mercedes nuova. So già come sta per finire quella frase.
“Li ha presi sotto. È morto. Eugene è morto. E anche la sua amica, Tiffany. Come hai potuto lasciarli lì da soli?” mi chiede in lacrime e mi fissa, fino a che il tempo per le visite finisce.
Mi riportano in cella. Sono accusato di essermi introdotto più volte in casa della signora Anberlin negli ultimi mesi e di averle rubato soldi e gioielli per potermi comprare degli psicofarmaci contro la paranoia e contro i vuoti di memoria. Paradossalmente me ne sono scordato. Questo spiega perché la casa della signora Anberlin mi sembrava così familiare. Naturalmente sono anche accusato di abbandono di minore. Quanto basta per farmi restare qui dentro un bel po’. Dentro questa cella piccola e fredda, dove però non sono solo. Ci sono Eugene e Tiffany che ogni tanto mi fanno visita e mi scattano delle foto da mettere su myspace. C'è il Dr. Steinberg che mi incoraggia “Puoi controllarla! Se ti impegni puoi sconfiggere la paura,” e stronzate del genere. C’è anche uno specchio alla parete. Dentro vedo la mia faccia che continua a ripetere: “Sei tu, sei sempre stato tu. E l’hai sempre saputo.”

mercoledì 22 ottobre 2008

Where Do I Begin?

Tutto incomincia con una pagina bianca.
Tutto incomincia dove un’altra cosa finisce.
Tutto incomincia sapendo che è già destinato a finire,
ma questo non gli impedisce di incominciare.
Tutto è bello e misterioso e fa anche paura quando incomincia.
Tutto incomincia con Adamo ed Eva?
Ma per favore!
Tutto incomincia quando ci si lascia andare.
Tutto incomincia quando si incomincia a correre.
Tutto incomincia quando i muri vanno giù.
Tutto incomincia quando nemmeno te ne accorgi che sta iniziando qualcosa.
Tutto incomincia quando partono una musica e dei titoli di testa.
Tutto incomincia mentre questo post leggero vola via.

giovedì 16 ottobre 2008

Life in technicolor

Dolce risveglio con i Pan di Stelle Mulino Bianco, sogni diventati bontà. Il modo migliore per cominciare la giornata. Vado a lavoro sulla Opel Corsa yo yo, c’mon. Mi prendo una pausa. Davanti alla macchina del caffè c’è Paolo Bitta che mi dice qualcosa sui Pooh, ma io lo mando subito a cagare. Sulla macchinetta c’è scritto “push the button”. Schiaccio il bottone e parte una canzone dei Chemical Brothers. Ma questo non è un jukebox! Ci deve essere lo zampino di Fonzie. E invece no, è solo un cd sul lettore dei dottor Troy e McNamara. Mi stanno rifacendo il culetto. In effetti avevo proprio bisogno di due belle chiappe sode. Mi dicono che devo fare il countdown per l’anestesia. “Dieci… nove… otto…” Al sette cado in coma profondo.
Quando mi risveglio c’è Saviano che parla, e Mentana per una volta chiude la bocca e sta ad ascoltare. Deve trattarsi di un sogno. Saviano dice che se vuole tornare ad avere una vita normale deve andarsene via, perché in Italia la libertà di parola è solo un’utopia. Mentana ha un momento di lucidità e ammette la mancanza di coraggio di loro giornalisti e pure dei politici, che la verità si dimenticano spesso di dirla perché hanno da portare a casa la pagnotta. Non sono mica eroi, loro. Arriva Hiro Nakamura. Mi ordina: “Salva la cheerleader! Salva il mondo!” Andiamo indietro nel tempo. Io salvo la cheerleader! E salvo il mondo! Splendido splendente. Poi qualcuno mi dice: “Porta le chiappe su Marte.” Sembra un film con Schwarzenegger. Io ci porto le mie chiappe nuove fiammanti e salvo pure Marte.
Mi squilla la suoneria del cellulare: “Mi chiamo Virgola, sono un gattino, sono una lagna e ce l’ho piccolino.” Rispondo. È Gerry Scotti. Mi dice che sono l’aiuto da casa di non so chi e che devo rispondere a una domanda. “Quante ore di televisione al giorno possono compromettere seriamente le facoltà mentali di una persona?” Le possibilità sono “4, 8, 12 o 24?” Io rispondo “24”. Vengo sequestrato da Jack Bauer, che mi dice che c’è da salvare il mondo. Di nuovo? Mi chiedo da dove provenga tutto questo allarmismo da parte degli sceneggiatori televisivi. Nella realtà il mondo non è mica così in pericolo. O sbaglio?
Esco con gli amici. Ma non sono i miei, di amici. Sono gli amici di Maria DeFilippi e mi obbligano a fare una coreografia assieme a loro sulle note di una canzone di Marco Carta. Certo che sta cosa è proprio imballabile. Su Mtv c’è persino una competition: “Porta Marco Carta nella tua classe e diventi l’eroe della tua scuola.” Adesso non so come sono le scuole al giorno d’oggi ma nella mia se provavi a portare uno come Marco Carta in concerto nella tua classe te le prendevi, e di brutto anche.
Torno a casa, ma squilla il citofono. Due volte. “C’è posta per te,” mi fa una voce quando risposto. Eh no! Adesso è troppo! Me ne vado a nanna, quando mi sveglio i sogni sono diventati bontà. Pan di Stelle Mulino Bianco. Incomincia un’altra giornata in technicolor.

lunedì 13 ottobre 2008

W.

Il presidente del consiglio Berlusconi oggi ha dichiarato: “La Storia dirà che George W. Bush è stato un grande, grandissimo presidente degli Stati Uniti.” Sconcerto tra i presenti. Lo stesso W. non era sicuro se la frase fosse una battuta del piccolo e simpatico (si fa per dire) giullare italiano o uno scherzo di cattivo gusto. Ha ripensato brevemente agli ultimi otto anni (i peggiori nella storia degli Stati Uniti?) e poi ha sorriso, pensando tra sè e sè: “Umorismo italiano, lo adoro!”
Immediata, in ogni caso, la replica della Storia: “Se un giorno dovessi mai dire una cazzata del genere, vi prego gente: sparatemi!”

lunedì 6 ottobre 2008

Moccia Vileda

BPM. Beats per minute. Ma che sto a dì? Io l’inglese non lo capisco mica. Aò, l’unica lingua che parlo è il romanesco. Tieni il ritmo, la puntina scorre sulla traccia! Tecktonic: 200 BPM. Happy Hardcore: 240 BPM. Gabber: 300 BPM. Quello che preferisco però sta tra gli zero e i 20 battiti al minuto, quello che devi sempre fermarti ad ascoltare, quello che più si avvicina al battito della morte: il BPM degli Zero Assoluto. Ascoltalo, fratello!
“Hey, io non sono tuo fratello. Anzi, ma chi t’ha mai visto, stronzone?”
Ah aah aah, ma certo che mi conosci. FM 107,3. Radio Caos, il BPM della morte. Ridi, fratello!
“A parte che la devi smettere di chiamarmi fratello, ma come diavolo faccio a ridere con ‘sta musica da funerale, me lo vuoi spiegare?”
Eh eh hey, ma passiamo alla dolce Babi, che si sta passando 100 colpi di spazzola sulla sua vagina pelosa prima di andare a dormire. Sta ascoltando la mitica Radio Caos, e chissà perché si sente 3 metri sotto terra. Per tirarsi su pensa: “Ho voglia di tè… Ma anche un estatè potrebbe farmi felice.”
Il sogno più grande della dolce Babi è quello di fare la velina di Striscia, ma per il momento si accontenta di farsi una striscia in bagno. E che cosa non darebbe per un’esterna a Uomini e Donne? Non le dispiacerebbe nemmeno finire in tv per aver squartato viva quella stronza della sua compagna di stanza.
Al balcone come una novella Giulietta, Babi geme per amore: “Oh, Step. Ho voglia di tè. Me lo vuoi portare invece di fare le penne con quel cazzo di motorino? Chi ti credi di essere, Valentino Rossi? A proposito… vai a pagare le tasse, và.”
“Tu hai voglia di tè, io ho voglia di tette. Ma piatta come sei mi sa che non mi puoi accontentare…”
Infuriata da quelle parole, Babi decide di rompere con Step: “Scusa ma ti chiamo orrore: quel lucchetto proprio non se po’ guardà. Impiccatici!” gli ha urlato lanciandoglielo dal balcone. “E poi quei graffiti smielati: TVTTTB? 3MSC? Cos’è che vogliono dire di preciso proprio non l’ho mai capito… Ho bisogno di un uomo maturo, io, non di un ragazzino che si esprime a sigle.”
Poche ore dopo però già le manca, mentre scopa stancamente con il suo nuovo boyfriend, un cinquantenne scrittore arrapato di nome Moccia Vileda che prima dell’appuntamento si è dovuto ingozzare di viagra per poter reggere i ritmi della dolce (& gabbana) Babi. Dolce poi, fino a un certo punto, visto che per pagarsi gli studi fa la mistress con tanto di frusta e manette. L’università dopo tutto costa parecchio, non per la retta e i libri, che pensate? ma perché se si presenta alla Sapienza senza le Jimmy Choo ai piedi che figura da morta de fame ci fa?
Tolto il suo corpo flaccido da dentro la dolce Babi, Moccia Vileda le domanda: “Scusa ma non ti ho mai chiesto quanti anni hai…”
“Ne ho 19,” fa lei facendo la donna vissuta.
“19? Ma sei già 3 m sotto terra. Mò te lascio, che c’ho da scrivere il mio prossimo libro Amore 0-14 e tu non rientri nel target commerciale.”
Babi disperata se ne va via in lacrime, e intanto le tornano in mente tutti i momenti passati con il suo vero piccolo grande amore, Step: il Ciao spaccato con cui faceva le penne; il giubbotto in pelle da James Dean de’ noantri; i lucchetti, che non sono poi così male, a lei che è una mistress potevano persino tornare utili adesso che ci pensava bene. E le scritte, quei dannati graffiti che mai è riuscita a comprendere. Adesso tutti i pezzi del puzzle stanno tornando al loro posto. Ha un flash come lo sbirro nel finale de I soliti sospetti e vede tutto chiaramente.
Io e te, 3MSC: Io e te, 3 mocciosi, stivali e catene.
Dunque Step non voleva lanciarle qualche misterioso messaggio smielato, ma le voleva proporre un’orgia sadomaso! Ora sì che riconosceva il duro di cui si era innamorata. “3 mocciosi… ma chi potrebbero essere?” si domanda. “I Jonas Brothers??” Poi ci riflette su. “Naah, quei 3 hanno l’anellino della purezza al dito.”
Si asciuga le lacrime dagli occhi e piena di ritrovata speranza corre verso la casa di Step. Da lontano lo vede insieme a un amico e il suo cuore batte a 300 BPM come un pezzo gabber. Step poi si ferma sotto al portone di casa e abbraccia l’amico. Babi riesce a vederlo in faccia e lo riconosce: “Ommioddio… ma è Marco dei Cesaroni!”
Step accarezza i capelli dell’amico, gli sussurra all’orecchio: “Scusa ma ti chiamo Branciamore,” e poi lo bacia.
Babi corre verso di loro, interrompendo il magico momento gay.
“Hey Step,” gli fa ancora con il fiatone. “L’ho capita la scritta, ora. 3MSC=3mocciosi, stivali e catene. Lui è uno dei 3 mocciosi, vero? Gli altri 2 chi sono, i suoi fratelli nei Cesaroni?”
“3 mocciosi? Ma che stai a dì? Lui è il mio nuovo amore, anzi il mio nuovo Branciamore uahuahuah,” se la ride di gusto per la battutona. “E poi Babbazza, quante volte te lo devo dire che io non so scrivere?”
“Ma allora…” sospira lei come in una soap-opera “…che significa 3MSC?”
“Oh, quella… Mica l’ho fatta io. Non lo sai?” le chiede. “È solo la pubblicità promozionale dell’ultimo libro dello scrittorucolo per cui mi hai lasciato, quel Moccia Vileda. Però c'hai quasi preso. Sta a significà: 3 mocciose, stivali e catene. È la storia autobiografica di uno scrittore romano non più giovanissimo che viene arrestato dopo essere stato beccato a fare un’orgia con 3 ragazzine minorenni.”
Notti prima degli esami. Sono sempre le migliori. Anche se il suo cuore si è spezzato diverse volte, Babi non scorderà mai questa nottata. Almeno fino al prossimo esame, che poi considerata la professione che fa è ogni 3 mesi per controllare di non avere aids o clamidia. Dopo di che passa 3 mesi sopra a un cero, pregando di non essere infetta.
Babi attraversa da sola le vie di Roma, rischiando più volte di essere stuprata (Alemanno, where are you?) fino a che si imbatte nella statua in bronzo di Giulio Cesare. Si ferma a guardarla. È imponente. Le sembra che i suoi occhi dall’alto siano posati su di lei. Sul suo corpo. Forse sul suo sedere. Poi le sembra di sentire la voce possente di Cesare parlare:
“Ah, Roma mia, come sei finita male. Un tempo città piena di gloria, cultura, arte e gladiatori. Oggi teatro delle noiose scaramucce scamarciane di un branco di mocciosi mocciani, puponi e cesaroni. In pasto ai leoni, li darei tutti. Però, guarda guarda che bel culetto che ha questa! Apparet id quidem… etiam caeco. È evidente perfino a un cieco. Non fossi una stupida statua in bronzo le darei volentieri 3CSC: 3 colpi sotto il cielo.”

mercoledì 1 ottobre 2008

Riporno al futuro


Il tempo s’è fermato. Non riesco a respirare.
No, non è una metafora di qualcosa di molto profondo. È che sono raffreddatissimo e non riesco proprio a respirare. Per uscire dal coma in cui mi trovo non bastano due aspirine e qualche benactiv inghiottito come fosse una caramella. Ci vuole qualcosa di più forte.
Chiudo gli occhi.
Il tempo s’è fermato. È il 1997. Ho l’ultimo compito in classe di matematica, ma non ho molte speranze. Andrà sicuramente di merda. Quest’anno l’asterisco non me lo leva proprio nessuno. E c’è quella ragazza col piercing al naso che nemmeno sa della mia esistenza. Però chissenefrega. Metto su il nuovo disco che ho comprato, Ok Computer, e mi lascio trasportare dalla musica. Suona strana, aliena. Io mi sento strano, alieno.
Apro gli occhi. Le cose cambiano. Il tempo s’è fermato. Poi è ripartito. Sono successe cose. Si sono conosciute persone. Visti posti. Ascoltati dischi. Si sono dimenticate delle persone. Dimenticati dei posti. Dimenticati dei dischi.
Il tempo non esiste. Il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante e per lui non vi è che presente, neanche l'ombra del passato, neanche l'ombra dell'avvenire. E allora ho considerato la mia vita e ho visto che anch'essa è un fiume, ho visto che soltanto ombre, ma nulla di reale, separano il ragazzo cannibale dall’uomo cannibale e dal vecchio cannibale. Nulla fu, nulla sarà: tutto è, tutto ha realtà e presenza, parafrasando Siddharta (per gli amici Sid Vicious).
Il futuro è un’invenzione di chi non sa vivere il presente, il passato è un peccato di chi non sa dimenticare ciò che è stato e il presente è soltanto una parentesi tra le frasi “yesterday all my troubles seemed so far away” e “domani è un altro giorno, si vedrà,” parafrasando Beatles e Rossella O’Hara.
Il tempo s’è fermato. È il 1997, di nuovo. Esco incazzato da scuola, chè il compito di mate è andato da schifo e la ragazza col piercing al naso mi è passata proprio a un centimetro e manco mi ha degnato di uno sguardo. Mentre mi incammino verso casa, vengo fermato da un tizio uguale a Doc di Ritorno al futuro. “Stai tranquillo per matermatica,” mi fa, “l’asterisco non te lo mettono.” "Sì, certo... come no?" gli rispondo io, prima di aggiungere "Ma tu chi diavolo sei?" Il tizio afferma di venire dal futuro. Per dimostrarmelo mi mostra una copia del 2008 di Tv Sorrisi e Canzoni con allegato un cd dei Radiohead. Io gli dico “Lasciami in pace, una cosa del genere non potrà mai succedere.” Poi mi vuole dare un biglietto con dei numeri del Superenalotto che secondo lui nel 2008 saranno vincenti. Io lo strappo e gli urlo “Tu sei solo un povero pazzo!”
A fine giugno di quello strano anno vado a vedere il cartellone con i voti, cerco e ricerco un asterisco che però non c’è. E va bene, sosia di Doc, su questo ci hai preso, penso sorridendo.
Quindi oggi vado in edicola. Guardo la prima pagina di un quotidiano che strilla del montepremi da 68 milioni di euro raggiunto dal Superenalotto. Non sarebbe male avere i numeri vincenti, penso. Poi guardo tra le riviste: insieme al Tv Sorrisi e Canzoni cos’è che c’è? Il cd di Eros Ramazzotti? Il nuovo imperdibile Gigi D’Alessio? No no. C’è un disco dei Radiohead. Cristo Santo, le cose cambiano in modi che mai ti saresti aspettato. Vallo a sapere.
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