domenica 22 agosto 2010

L'ultima estate di Joan, Episodio finale

4. L'incubo

Il sole sorse la mattina seguente. Michael non aveva quasi chiuso occhio. Si sentiva tutto frizzante in corpo. Si sentiva come se qualcosa in lui fosse cambiato. Magari non era ancora diventato un uomo. Magari era ancora un bambino senza peli, ma sicuramente era diventato grande abbastanza da baciare una ragazza. E fare anche qualcosa di più, con una ragazza. Voleva dire questo e altro a Joan. Per una volta anche lui aveva qualcosa da raccontare. Michael aspettava solo di sentire quel dolce suono. Il suono delle stelline che ballano sulla porta d’ingresso del loro ostello.
Un altro suono, meno atteso, giunse invece. Era quello della sveglia. Il mattino era già arrivato tra di loro. L’ultimo mattino in Costa Brava. E ancora, Joan non era rientrata. L’atmosfera in spiaggia era strana. Nessuno aveva voglia di fare il bagno. Nessuno aveva nemmeno voglia di parlare e Michael non era di certo nell’umore per surfare. Era troppo in ansia. Mitchell e Franklin stavano a distanza di sicurezza l’uno dall’altro, senza rivolgersi la parola. Le ragazze se ne stavano a prendere il sole con le cuffie bianche nelle orecchie. Un’altra canzone triste andava a morire nell’iPod. Un’altra estate stava finendo. Presto ci sarebbe stato solo il grigio e il freddo dell’inverno in Germania. La tristezza stava scendendo a palate sui loro corpi oramai abbronzati.
La suora-capo intanto riunì le altre suore. Di Joan nessuna notiza. Cominciarono così a cercarla ovunque. Chiesero ai ragazzi se qualcuno sapeva dov’era finita. Emily, la rompicazzo che dormiva nel letto a castello insieme a lei, parlò: “È uscita. Sgattaiolata fuori come tutte le sere da quando siamo arrivati. Sarà andata in qualche discoteca, avrà bevuto, si sarà drogata… o Dio solo sa che cosa.”
Le suore andarono in giro per le strada della cittadina spagnola chiedendo informazioni ai proprietari di bar e locali. Mostrarono loro una foto di Joan in versione acqua e sapone. Sembrava una bambina. Quando usciva la sera, truccata, era tutta un’altra persona. Quella foto non poteva essere di alcun aiuto. In ogni locale ripetevano che: “No, non abbiamo mai visto quella bambina. Qui possono entrare solo persone con almeno 18 anni.”
Niente. Joan non si trovava. Ancora niente. Si aprirono le indagini ufficiali. Sempre niente. La partenza venne rimandata. “Non si può tornare indietro senza uno dei ragazzi,” dissero le suore.
Anche quella notte Michael non riuscì a chiudere occhio. Il fastidio dell’herpes che gli era spuntato sul labbro superiore grazie a Kristin si era mixato con l’ansia. Aspettava di sentire il suono delle stelline sulla porta d’ingresso. Aspettava che Joan venisse fuori, annunciando con un sorriso: “Scherzone! Vi ho preso tutti per il culo… Eccomi qua, babbei!” Ma da fuori l’unica cosa che arrivava erano i lampi di un temporale. L’ennesimo.
La mattina dopo tutti i ragazzi vennero convocati nel salone, lo stesso in cui avevano giocato a 7 minuti in Paradiso. La suora-capo li guardò uno per uno negli occhi. Calò un silenzio irreale. La sua voce sembrò avere un attimo di indecisione: “Il-il corp…” Si fermò. Quindi respirò profondamente, riprese coraggio e mesta annunciò: “Mi spezza il cuore dovervelo dire, ragazzi…” Sospirò. Non aveva mai avuto tanta difficoltà nel dover dire qualcosa. Alla fine, senza pensarci ulteriormente disse: “Il corpo della cara Joan è stato trovato senza vita. Adesso è in Paradiso, dove riposa in pace tra le braccia del Signore.” Scoppiò in lacrime.
Quello che la suora-capo aveva preferito non precisare è che erano state trovate solo alcune parti del corpo di Joan. Brandelli di braccia. Un gomito. Il cranio con cui era stato possibile fare il riconoscimento dentale. Joan era stata prima stuprata e poi tagliata a pezzettini, come confermerà l’autopsia un paio di giorni più tardi.
All’annuncio della suora-capo, Michael si mise a urlare:
“Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Non è vero
Non può essere vero!”
Scappò fuori dal salone. Prese la tavoletta da surf sotto braccio e corre verso la spiaggia. Il mare era in tempesta. Da nord soffiava un vento gelido. I tuoni avevano lo stesso suono di una bomba atomica che esplode. In questo scenario apocalittico, Michael si gettò tra le onde del destino. Surfò come un campione. In pochi giorni era diventato davvero bravo. Il suo dovev’essere un talento naturale. Se solo fosse nato sulla costa, invece che nel cuore freddo della Germania, beh pensava che magari sarebbe potuto diventare un campione. Che magari avrebbe anche potuto farlo come professione. Ma ancora era troppo inesperto per affrontare delle onde del genere. Resistette a lungo, sotto lo sguardo disperato di amici & suore, fino a che un cavallone abnorme coprì ogni visuale alle sue spalle. Non era il buio piacevole di 7 minuti in Paradiso. Era il buio dell’Inferno, che lo divorò in un sol boccone. Il corpo di Michael venne sbattuto a riva, dove il bagnino cercò di rianimarlo. Massaggio cardiaco. Respirazione bocca-a-bocca. Non sembrava esserci niente da fare. Forse era meglio se gliela faceva Kristin, la respirazione. Tanto ormai l’herpes se l’era preso. Il bagnino passò al defibrillatore. “Uno, due, tre… libera.” Ancora niente. “Uno, due, tre… libera.” Come nel finale di una cazzo di puntata di Baywatch, Michael riprese incredibilmente a respirare.

“Sveglia, Michael,” sussurra una dolce voce femminile.
“Joan. Sei tornata!” pensa Michael. Apre gli occhi e a letto al suo fianco c’è una donna matura, nuda. Non è Joan. È Kristin, sua moglie. Che gran bel paio di tette che ha. Le ha sempre adorate. Dev’essere per questo che l’ha sposata.
Le dà un bacio, su quello stesso herpes che ogni estate puntuale le rispunta fuori, quindi si alza dal letto. Fa colazione. Una tazza di caffè nero. Dà un’occhiata alla sua agenda. Niente gare in vista, questa settimana.
“Non dimenticare di salutarmi Mitchell, quando lo vedi,” gli grida Kristin dalla camera da letto. Ah, già. L’appuntamento con Mitch al pub. Se n’era scordato. Si era scordato di tutto.
“Hey, vecchio mio. Come va la riabilitazione?” domanda Michael al pub, abbracciandolo. È quasi ora di pranzo. Al bancone ci sono solo loro due.
“Al solito. Alcuni giorni sono meglio di altri. Questo è un giorno non male,” gli risponde Mitch davanti a una bottiglietta di birra analcoolica. “Sono felice di rivederti, piccolo Michael.”
“Oh,” sorride Michael. “Non credo di essere così piccolo, oramai. Guarda qui,” e mostra fiero all’amico il suo braccio muscoloso.
“Non mi interessa quanti muscoli hai. O quanti cazzo di soldi ti sei fatto con il surf,” gli dà un pugno Mitch su quello stesso braccio. “Per me sarai sempre il piccolo Michael.” Quindi si guarda intorno, fa l’occhiolino alla barista: “Un’altra birra anal, please,” ordina. “E una fortemente alcoolica per il campione che mi fa l’onore di sedersi qui al mio fianco.”
Michael arrosisce: “Oh, andiamo. Così mi metti in imbarazzo.”
“Dimmi te se è possibile che mi innamori sempre delle bariste?” si chiede retoricamente Mitchell tra sé e sé.
Michael lo guarda, cercando di non scoppiare a ridergli in faccia: “Sei senza speranza, amico mio. E a proposito: quell’altro caso perso di Franklin, sai che fine ha fatto? È una vita che non lo vedo.”
“Oh già, il vecchio Frank. È da quell’estate di 10 anni fa che non lo vedo né lo sento. Ho letto su una di quelle stupide riviste di gossip che è finito a Hollywood. Fa l’addestratore di scimmie e altri animali attori che recitano nei film. Immagino sia contento laggiù,” ride. “Si sa, Hollywood è piena di froci…”
“Aspetta, aspetta…” lo interrompe Michael shockato. “Mi stai dicendo che Franklin è gay? Non l’avrei proprio mai detto.”
“Quello è gay al 100%, te lo dico io,” annuisce Mitchell con l’aria di chi la sa lunga.
“Posso chiederti una cosa?” Michael domanda sottovoce all’amico. Sembra per un momento tornato ad essere quel bambino timido e inesperto che era anni prima. “Mi puoi dire cosa diavolo è successo tra te e Franklin, dentro quell’armadio?”
“Se ci tieni proprio a saperlo, te lo dirò.” Ancora Mitch non l’aveva finita con la storia del creare suspence. Però, maledizione, bisognava riconoscerglielo: gli riusciva davvero bene. “La porta si è chiusa e le luci si sono spente. Il porco mi ha tirato giù i pantalani e ha cominciato a spompinarmi. Io pensavo di tirargli una botta in testa o un calcio. Qualcosa del genere, giusto per farlo smettere. Solo che era veramente piacevole. Insomma, non prendermi per un finocchio,” Mitch agita un dito davanti all’amico. “Quella è stata la prima e anche l’ultima volta che qualcuno che non si chiamasse Crystal o Roxy ha succhiato il mio Chupa-Chups. Però, intendiamoci: quello è stato il pompino più godurioso che mi abbiano mai fatto in tutta la vita.”
Michael manda giù una gran sorsata di birra. “È pazzesco,” riflette. “Ti conosco da ormai dieci anni e ancora riesci a stupirmi…” Quindi trova il coraggio di chiederglielo. Il vero motivo per cui aveva organizzato quella rimpatriata. La domanda che gli era ronzata in testa per tutti quegli anni. “E con Joan, invece? Che cosa successe durante i vostri 7 minuti in Paradiso insieme?”
“O, con Joan. Adesso sì che mi prenderai per un ricchione,” Mitchell sospira. Fa quello che gli riesce meglio: crea suspence. Poi si stufa e lo ammette: “Non successe proprio un bel niente.” Quindi sorride amaro. Michael lo guarda sorpreso. “Ho sempre trattato le ragazze come se fossero delle troie, ma con lei era diverso. Joan era diversa dalle altre. Avevo troppo rispetto per sfiorarla anche solo con un dito. Le chiesi semplicemente di fingere che fosse successo qualcosa. Sai, per non giocarmi la mia reputazione da stronzo…”
Michael ascolta in silenzio. Ripensa all’uomo che quella notte le ha tolto la vita. Lei doveva essere sbronza, forse un po’ più del solito. Probabilmente le aveva detto qualche parola dolce e l’aveva convinta senza troppi problemi a salire sul suo bel yacht, dove anziché offrirle una rosa e una coppa di champagne l’aveva violentata e uccisa. Quindi, aveva ridotto il suo corpo esile in piccoli pezzi e, come se si trattasse di spazzatura, li aveva gettati in mare. Tutto questo giusto un momento prima di prendere una pistola, caricarla ed esplodersi un colpo in testa.
Michael ripensa a quanto era bella, Joan. Anche quelle rare volte che la vedeva senza trucco sulla faccia e senza quegli abitini sexy che indossava la sera sulla Costa Brava per farsi rimorchiare da qualche vecchio maniaco. E ripensa egoisticamente a come avrebbe voluto darle un bacio. Solo un piccolo bacio. “Almeno tu hai avuto l’onore di passare 7 minuti in Paradiso con lei,” confessa all’amico, con una punta di gelosia.
“Andiamo,” Mitch guarda a terra. “In colonia lo sapevamo tutti che lei aveva una cotta per te. Possibile che fossi così ingenuo da non accorgertene?”
“Mi sa che era davvero così, invece,” sorride Michael. “Quei Mormoni dei miei genitori avevano proprio ragione: non ero abbastanza grande.”

Das Ende

4 commenti:

  1. Bravo! era da tre giorni che aspettavo la fine, mi è piaciuto molto! complimenti

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  2. tornato carico dalle vacanze… bellissimo!

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  3. *cecilia
    grazie 1000, è un racconto cui sono molto affezionato

    *petrolio
    in realtà l'avevo scritto l'estate scorsa, questa è solo una replica..
    comunque ora sono tornato e in ogni caso decisamente carico!

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  4. BELLO BELLO BELLO...COMPLIMENTI MI è PIACIUTO UN SACCO :)

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