venerdì 3 novembre 2017

The Meyerowitz Stories and The Goi Stories





The Goi Stories
(New and Selected)


Marco

Marco Goi stava cercando di parcheggiare. Impresa non semplice a New York City, ma nemmeno a Casale Monferrato, cosa credete? Solo perché una citta è piccola, non significa che ci sia meno traffico. Anzi, visto che una città è piccola, c'è ancora meno spazio. Tutti escono alla stessa ora, tutti parcheggiano alla stessa ora e non c'è un buco manco a pagarlo. Cosa che può suonare in maniera un po' ambigua.
Marco era già in ritardo. Come al solito. Succedeva sempre qualcosa che gli impediva di essere una persona puntuale. Quel giorno ad esempio aveva dovuto finire di scrivere la recensione dell'ultimo film visto, The Meyerowitz Stories, per il suo blog Pensieri Cannibali, prima che l'ispirazione del momento fosse svanita.

The Meyerowitz Stories (New and Selected)
Regia: Noah Baumbach
Cast: Adam Sandler, Ben Stiller, Dustin Hoffman, Elizabeth Marvel, Emma Thompson, Grace Van Patten, Judd Hirsch, Rebecca Miller, Sigourney Weaver


Il più delle volte comunque non era nemmeno tutta colpa sua. Era colpa delle stelle, o forse solo delle circostanze. Come quel giorno con il parcheggio. Niente. Non si trovava un posto. Forse sarebbe stato il caso di metterla a pagamento. Il pensiero però non lo entusiasmava. Non che fosse particolarmente tirchio. È solo che non gli andava di sprecare soldi in una maniera così inutile, tipo per parcheggiare quando si poteva farlo gratis. Solo che quel giorno era davvero impossibile e allora decise con riluttanza di recarsi al parcheggione a pagamento.
Una volta deposta l'auto, una Opel Corsa nera che a quasi 10 anni dall'acquisto faceva ancora la sua porca figura, si recò verso il Castello di Casale, dove si teneva la mostra a cui doveva partecipare. “Cosa ci faceva lui a una mostra?” si chiedeva mentre compieva il breve tragitto che lo separava dal parcheggio. Suo padre lo aveva obbligato ad andare. “Cosa ci faceva una mostra a Casale Monferrato? Non potevano farla al MoMA?” si chiedeva anche. Solo che no, al MoMA probabilmente non l'avrebbero accettata. Era una semplice esposizione di vecchi fumetti per vecchi collezionisti organizzata da un vecchio amico del vecchio padre. Mica arte moderna. In compenso c'era anche un ricevimento. Non uno di quelli dove puoi incontrare le star di Hollywood, tipo Sigourney Weaver, per dire. Un ricevimento casereccio con due tramezzini e due pizzette del giorno prima.


Mentre si aggirava con aria spaesata per la mostra, c'era una cosa che attirò la sua attenzione. No, non si trattava di fumetti. Si trattava di una ragazza. L'approcciò con una scusa, fingendo un interesse nei confronti di un vecchio numero di Topolino di cui in realtà non gliene fregava nulla. Ripescò dal cassetto dei ricordi le sue conoscenze di quando era un lettore assiduo della rivista. Dopodiché si mise a parlare con lei del più e del meno e scoprì che si chiamava, si chiama tutt'ora, Grace Van Patten e che era un'attrice e studentessa di cinema e le rivelò che anche lui era nel settore, o insomma più o meno, visto che aveva, e ha tutt'ora, un blog di cinema.


La cosa la face ridere, non capì se fosse perché non basta avere un blog di cinema per essere considerati nel giro, o se fosse perché le faceva piacere conoscere un altro cinefilo. Sperò nella seconda, sospettò più la prima. In ogni caso era bello vederla sorridere. Penso che è bello far ridere una ragazza. Magari non in tutte le occasioni, magari non a letto, però il più delle volte sì. A quel punto le disse che le ricordava molto Shailene Woodley e a quel punto lei fece una faccia strana e subito dopo con una scusa tipo: “Hey, ma quello non è il cosplayer del commissario Basettoni? Devo assolutamente andare a chiedergli l'autografo” lo congedò.


Marco Goi se ne andò dalla mostra con la coda tra le gambe. "Mai dire a un'attrice che assomiglia a un'altra attrice" realizzò dandosi un pugno in testa. "Mai dire a una donna che assomiglia a un'altra donna" realizzò anche. Quando arrivò al parcheggio trovò un agente che somigliava al commissario Basettoni che si stava allontanando dalla sua auto. Si era dimenticato di esporre il biglietto dell'effettuato pagamento e così quel Basettoni gli aveva appena rifilato una multa. Mentre guidava verso casa, Marco gridò al volante: “Odio i dannati fumetti!”.


Alessandra

Alessandra Goi aveva sempre avuto la passione per il disegno. C'è chi non è proprio portato, come suo fratello Marco, e chi invece sì, come lei. Le veniva naturale. Adesso che era diventata una maestra delle elementari, era contenta quando aveva l'occasione di mostrare il suo talento ai suoi alunni. Quel giorno aveva organizzato un piccolo contest in classe per metterli alla prova. Una gara a chi riusciva a creare il fumetto migliore.
I bambini avevano aderito all'iniziativa con entusiasmo. Cosa che non capitava troppo spesso. Quando proponeva un dettato, per esempio, li sentiva sbuffare. In quel caso invece erano tutti felici e si erano messi alla prova in maniera molto creativa. C'era chi aveva realizzato la sua personale versione degli Avengers, mettendo al posto di Iron Man e compagni se stesso e i propri amichetti. Sebbene nessuno di loro avesse un fisico come quello di Thor. Al massimo di Captain America quando era un tizio magrolino e minuscolo.


Una bambina aveva disegnato le Winx, protagoniste di una storia dagli inquietanti contorni sessuali. Sulla sua agenda, Alessandra segnò: “Prendere appuntamento con i genitori di Alessia e ricordar loro di non far vedere alla figlia i servizi del telegiornale sul caso Weinstein. O su Kevin Spacey.


Un bimbo molto bravo con matite e pastelli realizzò invece una storia con protagonista Topolino. Il caro vecchio Topolino. Non credeva che qualcuno dei suoi allievi lo leggesse ancora e che potesse persino dare vita a una vicenda di quelle che sembravano uscite dagli albi che guardava da piccola insieme al fratello. Le venne in mente loro padre, che tutti i mercoledì tornava dall'edicola che gestiva con in mano il nuovo numero di Topolino fresco di stampa e così loro potevano leggerlo gratis. Perché nella famiglia Goi non è che fossero particolarmente tirchi, però non vedavano perché dovessero spendere soldi quando potevano avere una cosa senza pagare.


Si ricordò che quella domenica era invitata a pranzo dai genitori, dove ci sarebbe stato anche il fratello, che non vedeva da tempo. Tipo da due settimane. Con un certo rammarico realizzò che né Marco né lei avevano seguito le orme paterne. Marco non voleva fare il giornalaio come papà, e preferì diventare un giornalista. O una roba del genere, tipo il blogger e autore di contenuti per il web, non aveva mai capito che cosa facesse di preciso. Lei nemmeno, e così era diventata una maestra.
A quel punto, sommersa dai ricordi dell'infanzia, decise di premiare come vincitore del contest fumettistico proprio il piccolo autore del nuovo Topolino, anche perché sapeva che i suoi figli, Gabriele e Camilla, avrebbero apprezzato. Pur facendo parte pure loro di una generazione cresciuta a Peppa Pig e PAW Patrol, amavano anche gli antichi personaggi Disney, quelli nati quasi un secolo prima di Elsa e Anna. Tutta “colpa” del loro nonno, un ex edicolante che non aveva perso la passione per i fumetti e, anzi, una volta in pensione, era diventato un collezionista professionista. Uno di quelli che non mancava di invitare i figli alle mostre organizzate dagli amici. Per fortuna all'ultima lei era riuscita a scampare, cosa che invece non era riuscito a fare il fratello. “Chissà quanto si sarà annoiato?” pensò. Glielo avrebbe chiesto quella domenica.


Luciano

Luciano Goi guardava estasiato quelle che considerava vere e proprie Opere d'Arte. Le pagine di alcuni numeri storici di Topolino esposte nelle bacheche dall'amico, in rigoroso ordine temporale. Dal primo mitico numero, fino a quelli più recenti, che comunque non andavano al di là degli anni '80. C'erano anche delle vignette storiche di Zio Paperone firmate da Carl Barks, in quella che poteva essere considerata la parte spin-off dell'esposizione. Gli sarebbe tanto piaciuto che i figli fossero diventati dei fumettisti. A Marco piaceva inventare storie, mentre Alessandra era brava a disegnare. Unendo le forze avrebbero potuto dare vita a dei fumetti grandiosi, invece niente. Manco avevano voluto rilevare la sua edicola quando lui era andato in pensione e aveva così dovuto cederla con grande rammarico a uno sconosciuto. Che delusione, i figli. Vuoi che diventino come te, che seguano le tue passioni, e invece loro fanno di testa loro. Piccoli bastardi ingrati.
Guardando la mostra dell'amico pensava che aveva fatto un ottimo lavoro, ma niente in confronto a quella che avrebbe organizzato lui il mese successivo. La sua prima mostra pubblica ufficiale. Mentre pensava agli applausi e alle congratulazioni che avrebbe ricevuto, venne colto da un malore.
Quando riapri gli occhi, realizzò di non essere più alla mostra. Era in un letto, ma non nel letto di casa sua. Era in un letto d'ospedale, con una flebo infilata in un braccio, e la moglie Maria e i figli Alessandra e Marco che lo osservavano. “Beh, che avete da guardare? Non mi avete mai visto?” pensò di dire, solo che le parole non gli uscivano dalla bocca. Gli tornò in mente un film che aveva visto di recente. Uno di quelli che suo figlio lo pseudo blogger pseudo cinematografico gli aveva consigliato di guardare. Parlava di una famiglia strana con un cognome strano. Meyerowitz. Sì, il film si chiamava The Meyerowitz Stories e l'aveva trovato un po' noioso e troppo pieno di dialoghi infiniti.


Gli aveva ricordato alcune pellicole di Woody Allen che aveva visto tanto tempo prima. Quel genere di cinema intellettualoide che non aveva mai sopportato. Lui preferiva le commedie all'italiana. Le pellicole con Paolo Villaggio, Renato Pozzetto, Lino Banfi e Diego Abatantuono. Quelle che lo facevano ridere di gusto, non 'ste finte commedie radical-chic dove di momenti davvero esilaranti a ben vedere non ce ne sono. Nonostante non fosse proprio il suo genere di commedia – "Ma queste possono poi essere davvero considerate commedie?" – era comunque riuscito a vederlo tutto, pur tra un abbiocco e l'altro. Non sapeva bene perché, ma in parte l'aveva coinvolto. Forse perché in fin dei conti parlava di una famiglia strana come la loro. I Goi. Che poi, quale famiglia può essere considerata non-strana? O forse perché si trovava in particolare in quel padre interpretato da Dustin Hoffman, attore che aveva amato sin dai tempi de Il laureato, uno dei suoi film preferiti, e nel suo rapporto conflittuale con i figli. Figli che non avevano seguito le sue orme e in cui non si rispecchiava molto, ma che, a ben vedere, non erano diventati così diversi da com'era lui.
Alla fine il film non lo aveva entusiasmato, però nemmeno gli era dispiaciuto. Come voto gli toccava concordare con il figlio e con la recensione che aveva fatto in tempo a sbirciare prima della mostra, prima del malore, e si sentiva di assegnargli un 6,5/10.


Maria

Maria Goi sedeva al capezzale del marito. Che poi lei preferiva essere chiamata con il suo cognome da nubile, Maria Baracco, solo che all'epoca in cui si era sposata mica c'era la possibilità di scelta che c'è oggi, in questa folle società moderna. Mentre lo guardava, si chiedeva quando avesse smesso di amarlo. Quando la fiamma della passione tra loro si fosse spenta. Dopo la nascita di Alessandra? Dopo la nascita di quella delusione vivente di Marco? No. Per lei era tutta colpa dell'edicola.


Da quando Luciano era stato licenziato, a causa del suo brutto temperamento, dal suo rassicurante lavoro in fabbrica. Era l'antivigilia di Natale quando lui le comunicò la notizia e quelle furuno le festività più brutte della sua intera vita. Il marito però non era altrettanto disperato. Aveva già in mente il suo passo successivo. Diventare un giornalaio. Avrebbe così potuto fare un lavoro che lo avrebbe avvicinato, in qualche modo, alla sua passione numero uno: i fumetti. Da lì in poi l'edicola sarebbe diventata la sua vera casa e addio famiglia, addio matrimonio. Maria pensò che, una volta andato in pensione, le loro vite sarebbero tornate com'erano prima. Solo che gli anni, tanti anni, nel frattempo erano passati e loro si erano trasformati in due anziani. Senza contare che, con la scusa di commerciare fumetti, spesso passava ancora più tempo fuori casa di prima. Dannati fumetti!


Il primo e gli ultimi Goi

Gabriele e Camilla Goi giocavano con il nonno, che si era ripreso dal malore di qualche giorno prima e ora stava bene. In realtà il loro cognome era quello di loro padre, ma al nonno piaceva chiamarli Goi. Anche perché chissa se, e quando mai, il suo unico figlio maschio avrebbe continuato la stirpe mettendo al mondo degli altri Goi veri e propri. Mentre cercava di guidare quel dannato go kart con sopra Mario, Luciano Goi propose ai nipotini: “Ma perché non la smettiamo di giocare con questo stupido videogioco e facciamo qualcosa di più creativo, ad esempio disegnare un fumetto?”.
Gabriele guardò il nonno accigliato: “Lo dici solo perché ti stiamo facendo il culo, vero?”.
Dev'essere umiliante perdere contro una bambina di 6 anni”, rincarò la dose Camilla.
Il nonno replicò: “Modera il linguaggio, giovanotto. E tu carina smettila di fare la furbetta, che se no Babbo Natale quest'anno non ti porta niente”.
I due, per una volta, decisero di fare contento il nonno. Dopotutto appena pochi giorni prima avevano rischiato di perderlo per sempre e, poi, e questa era la ragione principale, amavano disegnare. Specie fumetti. Gabriele aveva una gran fantasia nel creare storie, che fossero semplici bugie o piccoli racconti, era una cosa che gli veniva naturale. Camilla invece era portata per il disegno.
Insieme potreste diventare dei grandi fumettisti”, suggerì il nonno.
Loro si guardarono a vicenda, poi guardarono il nonno e in coro dissero: “Naaaaah!”.
Più tardi arrivarono a pranzo anche i loro genitori, lo zio Marco e nonna Maria e insieme fecero quel pranzo che il ricovero in ospedale di nonno Luciano aveva rimandato.
A parte il malore di papà, è successo qualcosa di interessante alla mostra dei fumetti?” chiese Alessandra a Marco.
No, niente di che,” le rispose il fratello, prima di ricordarsi della ragazza che ammirava le tavole di Topolino. Non le aveva chiesto il numero di telefono, però poteva sempre andarla a cercare su Facebook. Com'è che si chiamava?
Grace. Van. Patten.
Gran. Pezzo. Di.


Poteva chiederle di venire alla mostra che il padre avrebbe tenuto qualche giorno dopo. Probabilmente le sarebbe piaciuta. Ad alta voce, chiese così: “Allora papà, tutto pronto per la tua mostra?
Dovevo quasi morire per farti interessare ai fumetti?” ribatté lui, più incazzato che ironico.
Maria rispose al posto del figlio, gridando: “Ma la smettete di parlare sempre di questi dannati, dannatissimi fumetti?!?”.

4 commenti:

  1. Post bellissimo.
    Film non so, Baumbach mi sta sulle palle anche quando piace indistintamente a tutti.
    Sarei curioso, però, di vedere Adam Sanderl tornare finalmente a fare qualcosa di buono.

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  2. Post davvero notevole.
    Baumbach mi piace, ma mi sento un pò refrattario rispetto ad una cosa che mi sa di molto radical.
    Potrei vederlo soltanto per capire come mi ci ritrovo.

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  3. Incredibile come un film ai miei occhi tanto fastidioso e irritante, sia riuscito a tirar fuori uno dei tuoi post più belli e personali!
    Nonostante l'opinione di papà Goi, non cambio però idea né sui Meyerowitz né sulla brutta china presa da Baumbach ultimamente.

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