martedì 31 agosto 2010

Animal mix

Splice
(Canada, Francia, USA, 2009)
Regia: Vincenzo Natali
Cast: Adrien Brody, Sarah Polley, Delphine Chanéac, Brandon McGibbon
Links: imdb, mymovies
Trovate il film nei cinema, oppure QUI

Si possono creare dei bei casini, quando si fondono insieme elementi molto diversi tra loro. Un po’ come quando una cantante di X-Factor prova a rifare un pezzo di Rino Gaetano in chiave shit pop. Ed è quello che succede alla coppia (anche all’infuori del laboratorio) dei due scienziati interpretati da Adrien Brody (che a me continua a non convincere del tutto, sarà per quel naso destabilizzante) e Sarah Polley (inquietante e bravissima, come al solito) in questo Splice: giocando a fare i Frankenstein della biotecnologia moderna uniscono tracce di DNA umano con quello di alcune razze animali a caso, creando un essere ibrido poco normale e molto cronenberghiano.

Una volta nata la “cosa”, i due svilupperanno un rapporto creatore-creatura molto differente: la Polley si affeziona talmente tanto all’esserino di sesso femminile chiamato Dren da diventare in pratica sua mamma (vedi la scena in cui le insegna a truccarsi), mentre Brody ha un rapporto misto tra l’odio (tenta solo di ucciderla) e l’attrazione sessuale. Attrazione che porterà fino a un rapporto di tipo animalesco-incestuoso che può tranquillamente andare a trionfare nella top ten delle scene più trash viste quest’anno al cinema. Sesso interspecie: sempre una garanzia per una vittoria (poco ambita) di questo tipo.
Nei panni di Dren troviamo la diversamente affascinante Delphine Chanéac, attrice francese versatile di cui è probabile che sentiremo ancora parlare e che qui, anche grazie al make-up, è riuscita a rendere“molto umano” (sia letto alla Fantozzi) questo strano remix di varie razze animali.

La prima parte del film viaggia che è un piacere, fin dai notevoli titoli di testa che creano un’atmosfera avvolgente tra Fight Club, Gattaca ed eXistenZ, per proseguire con una vicenda stile La mosca resa angosciante e leggermente claustrofobica dall’ambiente asettico del laboratorio. Natali nel creare un'atmosfera di questo tipo è maestro, avendo già diretto quel capolavoro del cinema claustro che risponde al nome di Cube – Il cubo (film ottimo, ma se volete passare una serata spensierata evitatelo come la peste).
Nella seconda parte l’ambientazione si sposta invece nella classica fattoria sperduta in mezzo al nulla e la storia prende vie ancora più inverosimili, rischiando (anzi, qualcosa più di rischiando) di cadere nell’assurdo, un po’ come il francese Ricky – Una storia d’amore e libertà o quella follia di Antichrist di Lars Von Trier.
Dopo un inizio che ben predispone e fa salire la curiosità nello spettatore, il finale quindi scivola, anzi capitombola, verso un pasticciaccio non molto convincente. Peccato non da poco, che comunque non fa sparire del tutto le buone premesse di un horror da camera a tratti veramente ben girato e interpretato. E a tratti, ahimé, ridicolo.
(voto 6/7)

lunedì 30 agosto 2010

flash, 30 agosto (Emmy, Gheddafi, Arcade Fire...)

Assegnati ieri notte gli Emmy Awards 2010, gli Oscar dedicati alla tv americana. Miglior serie drammatica: Mad Men (giusto!), miglior comedy: Modern Family (carina ma a mio avviso sopravvalutata), premiati i due attori di Breaking Bad, Bryan Cranston e Aaron Paul (oh yeah!), l’inquietantissimo John Lithgow di Dexter, mentre i più nerd possono esultare per il premio a Jim Parsons di Big Bang Theory. Glee si è portato a casa il premio all’inarrestabile Jane Lynch, ma avrebbe meritato di più. A bocca asciutta il discusso finale di Lost: peccato, almeno un premietto glielo potevano anche dare...
Premi anche per la mini-serie bellica The Pacific, il film tv Temple Grandin con Claire Danes e per Al Pacino, protagonista del film tv You don’t know Jack (certo che i film tv USA sono tutt’altra cosa rispetto ai nostri…).
Ottimo il momento musical in stile Glee che ha aperto lo show, con personaggioni da serie come Mad Men e Lost a cantare “Born to run” di Bruce Springsteen insieme al conduttore Jimmy Fallon.


Nella foto, una delle 500 mign… ehm escor… ehm hostess
che hanno accolto il dittat… ehm crimin… ehm generale Gheddafi
E mentre l'Italia viene pacificamente (?!?) invasa da Gheddafi, nel mondo indie arriva una raffica di video di bands con i controcazzi:

Arcade Fire (cliccate sul nome per vederlo; una volta nel sito scrivete il nome della città in cui siete cresciuti, aspettate e quindi partirà un video personalizzato e interattivo sulle note di "We used to wait"... geniale a livelli googleschi!)

The Drums con "Down by the water" (cliccate sul titolo per vederlo; questo è un video normale, non è che di idee geniali ne possano venire fuori due in un giorno solo...)

Interpol con "Barricade" (questo lo potete vedere qui sotto)

The Twilight (mezza)se*a

Una scena di gran (?) tensione di Eclipse
The Twilight Saga: Eclipse
(USA, 2010)
Regia: David Slade
Cast: Kristen Stewart, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Ashley Greene, Jackson Rathbone, Nikki Reed, Anna Kendrick, Billy Burke, Peter Facinelli, Bryce Dallas Howard, Dakota Fanning, Kellan Lutz, Elizabeth Reaser, Sarah Clarke, Xavier Samuel, Catalina Sandino Moreno, Jodelle Ferland
Links: imdb, mymovies

Per molti aspetti questo è il miglior episodio della saga finora: il ritmo è più incalzante (leggermente eh, non è che si rischia l’infarto per il turbinio di emozioni), ci sono momenti (quasi) ironici, la storia è un pochino più elaborata, c’è una maggiore attenzione ai personaggi, oltre alla solita colonna sonora di alto livello, dal duetto iniziale tra Bat For Lashes e Beck alla magia dei titoli di coda sulle note dei miei preferiti Metric. Tutto questo naturalmente non significa che siamo di fronte a un capolavoro, solo al film twilightiano più decente.

Bella si chiede se mai verrà scopata da Edward
La bontà di Edward però diventa sempre più insopportabile. Un vampiro è una cazzo di creatura della notte, per quanto buono possa essere ha pur sempre istinti malvagi. Edward no. Edward è il perfetto boyfriend, il ragazzo da presentare alla mamma nonostante i denti aguzzi e gli occhi iniettati di sangue (e infatti Bella non si fa problemi a portarlo in visita alla mammina). Inoltre è più geloso e all’antica di un siciliano vecchio stampo e quando lei lo supplica di prenderle la verginità (pure quella anale), lui rifiuta “No, giammai. Non prima del matrimonio, svergognata!” Al ché i signori dell’anello della purezza di tutta America si sono stappati una Bella bottiglia per festeggiare. Tranne Joe Jonas dei Jonas Brothers che stando con quella figa di Ashley Greene comincia davvero a pentirsi di indossare sta minchia di anello della purezza.
Edward è talmente buono che cerca persino a tutti i costi di convincerla a restare umana, anziché volerla trasformare in vampiro. Dico, secondo voi un succhiasangue con le palle potrebbe mai pensare una cosa del genere?
Un gruppo di ragazzini emo fa visita sul set del film (sulla destra, Dawson)
E allora in questo episodio si finisce inevitabilmente a fare il tifo per il licantropo Jacob, lo sfigato di turno (per quanto si possa essere sfigati con quei muscoli…) che acquista uno spessore maggiore rispetto ai due precedenti capitoli, così come trovano un filo più spazio Jackson Rathbone e Nikki Reed (comunque molto meglio mora in Thirteen e O.C. che qui bionda). Appena abbozzato invece il personaggio di Bryce Dallas Howard, decisamente più a suo agio quando lavora con Shyamalan (come in The Village e Lady in the water). Piccolo spazio Anna Kendrick: con il suo discorso di fine liceo offre le parole più memorabili finora sentite all’interno di una saga che in genere ci ha regalato solo dialoghi e frasi alquanto banali e urticanti.

A questo giro (udite, udite!) ci sono persino un paio di momenti divertenti. Intendo: volontariamente divertenti. Ottima la battuta di Edward, che vedendo Jacob a torso nudo si chiede: “Ma non ce l’ha una camicia?” e fa sorridere pure il discorso del padre sul sesso, o ancora Jacob che ci prova spudoratamente con Bella sotto lo sguardo geloso di Edward il fidanzato siculo.
Il lupacchiotto de Roma Jacob perde però punti quando invita Bella a una festa. No, niente balla coi lupi tutta la notte sei Bella non ti fermare ma balla. La “festa” si rivela infatti una palla colossale con un anziano che racconta una storia assurda sulla rivalità della loro tribù con i vampiri: l’equivalente licantropo di una lettura della Bibbia. Non dico uccidere, ma almeno andare a un party a sbronzarsi, drogarsi e scopare, questi licantropi & vampiri presunti cattivoni non ci pensano proprio? Solo nell’universo di Stephenie Meyer ciò può risultare credibile. E forse nemmeno…
Quella gran figa di Ashley Greene,
triste poiché il suo boyfriend Joe Jonas indossa l'anello di purezza
Quando poi Alice (la sopra menzionata Ashley Greene) organizza una festa (stavolta una vera festa, non una minchiata intorno al fuoco) per la fine della scuola, oh nessuno ubriaco, nessuno che urla, a mala pena qualcuno che balla sulle note dei Muse. E nel frattempo si organizza una Santa alleanza tra lupi e vampiri. Viene da chiedersi: ma che razza di party frequentava da giovane, sta sfigata di Stephenie Meyer?

Fatto sta che i lupi e il clan dei Cullen uniscono le proprie forze per combattere contro un esercito di vampiri cattivi, ovvero vampiri normali (perché i vampiri SONO per natura cattivi, per quanto in natura mi rendo conto che i vampiri non esistono e quindi tutto questo discorso non ha alcun senso).
Anche stavolta Edward non perde l’occasione per fare la mezzasega e con il pretesto di stare vicino vicino all’amata si tira indietro dal menar le mani e affinare i canini per passare una tranquilla serata in stile Brokeback Mountain, più insieme al rivale Jacob che alla sua Bella. Tié, ben ti sta.
Finché Bella indosserà cuffie del genere, Edward non se la vorrà mai scopare...
E anche quando Jacob si slinguazza con Bella, lui non fa una piega. Al ché ci si chiede: ma quest’uomo, anzi questo vampiro, le palle le ha perse insieme all’anima? Il suo unico sogno sembra infatti quello di sposarsi con Bella, ritirarsi in campagna a sfornare marmocchi (che sfornerà lui, visto che Bella sembra a tutti gli effetti il maschio della coppia) e magari a lavorare a maglia.
E poi Kristen Stewart a me piace, ma che si combattano addirittura delle guerre per lei mi sembra un tantino esagerato (vedi foto a lato con cuffia anti-sesso!)

Il finale Breaking Dawn uscirà in due capitoli distinti e spero per allora (anche se dubito accada) che Jacob faccia il culo a Edward. Quella Twilight (mezza)sega.
(voto 6,5)

domenica 29 agosto 2010

Believe

Henry Poole lassù qualcuno ti ama
(USA, 2008)
Titolo originale: Henry Poole is here
Regia: Mark Pellington
Cast: Luke Wilson, Radha Mitchell, Adriana Barraza, Morgan Lily, George Lopez
Links: imdb, mymovies
Potete trovare il film in DVD, oppure in streaming QUI

Mark Pellington è un regista che adoro. Arlington Road e The Mothman Prophecies rappresentano una doppietta di thriller per me tra i migliori degli ultimi 15 anni. Il primo nel 1999 ha anticipato le tematiche del terrorismo che irrompe nella vita di tutti i giorni, tanto di moda nel post 11 settembre, il secondo ha virato ottimamente in una direzione horror fantasy visionario alla Donnie Darko. Pellington è poi anche tra i creatori (e regista di alcuni dei migliori episodi) di Cold Case, una delle poche serie crime che riesco a vedere, visto che si allontana dalla solita routine dei glaciali CSI per proporre in ogni puntata dei veri e propri viaggi nel tempo, accompagnati sempre da una azzeccatissima colonna sonora.
Come regista di videoclip, Pellington ha quindi fatto cose pregevoli come “Jeremy” dei Pearl Jam, “We’re in this together” dei Nine Inch Nails, “Best of you” dei Foo Fighters e “One” degli U2 (la versione con i bufali). Tutto questo popò di curriculum però evidentemente non basta per farlo entrare tra quelli che la critica considera i grandi Autori del cinema di oggi. Pazienza. Almeno io comunque lo considero come tale.


Di questo suo ultimo Harry Poole is here, passato molto inosservato e da noi uscito solo in DVD, c’è però da dire che non è effettivamente il suo lavoro migliore. Il film parte in sordina, ma poi lentamente decolla, seppure non riesca a spiccare il volo come un jet confortevole e supersonico. Diciamo più che altro che fa fare un viaggio moderatamente tranquillo come con Ryanair: non ha molti comfort, ma sa comunque raggiungere la meta in maniera efficace e a buon prezzo.
La storia è quella di un uomo (un inespressivo, ma probabilmente era il copione a richiederlo, Luke Wilson) che torna nei suburbi (alla Arcade Fire) della sua infanzia totalmente privo di stimoli e di voglia di vivere. Nel corso del film scopriremo il perché.

La tematica principale qui affrontata è molto pericolosa: l’eterno scontro tra fede e ragione. Si può davvero credere nei miracoli? Sono solo credenze popolari? Le cose possono davvero, intendo radicalmente, cambiare? I sentieri qui scelti per fortuna non scadono troppo nel mistico e lasciano aperta la riflessione.
Il valore aggiunto della pellicola sta però principalmente in una regia che procede tranquilla per poi inventarsi all’improvviso qualche guizzo che aggiunge valore a una storia che qualcuno potrà trovare troppo spirituale e buonista, e forse un po’ è davvero così. Però quando arriva un finale con una delle canzoni che più mi commuovono in assoluto come “Promises” di Badly Drawn Boy, beh: che la ragione si fotta.
(voto 6,5)

(solito velo pietoso da stendere sul titolo italiano…)

sabato 28 agosto 2010

The Hills have eyes

The Hills
Rete USA e rete italiana: Mtv
Cast: Lauren Conrad, Heidi Montag, Audrina Patridge, Spencer Pratt, Kristin Cavallari, Brody Jenner, Stephanie Pratt, Lo Bosworth, Whitney Port, Justin Bobby
Per vedere gli episodi basta andare sul sito di Mtv

The Hills è il programma più geniale e allo stesso tempo più idiota della televisione. Ok, sto esagerando: non è il più geniale (serie come Mad Men, Skins, Dexter, Breaking Bad etc. lo superano alla stra-grande) e nemmeno il più idiota (qualunque programma di Mediaset e Rai in onda 24h su 24, 7giorni su 7 lo batte facilmente), però è –cazzo!- genialmente idiota. Dico ciò perché fondamentalmente, come molte cose geniali (vedi Google) è fatto quasi di niente: stragnocche bionde che lavorano nel campo della moda e delle PR in quel di Los Angeles e chiacchierano della loro dura vita tra professione, amicizia e amore. È tutto? È tutto.
Anzi no. Geniali, assolutamente geniali i momenti in cui i personaggi se ne stanno zitti a fissarsi: silenzi imbarazzanti che valgono più di 1000 parole. In sottofondo suona una canzone da radio americana commerciale con un crescendo da brividi e appaiono i titoli di coda. Moderna poesia pop anni 2000.

Volendo vendervi il programma potrei dirvi che fondamentalmente quella quivi narrata è la lunga e travagliata storia d’amore tra le due biondastre Lauren Conrad e Heidi Montag, ma in realtà la loro è solo un’amicizia (niente baci saffici, sorry), però cazzo davvero travagliata, questo sì. Quando Heidi (arrivata a L.A. dai monti!) si mette con Spencer, perde Lauren. Perché, chiedete voi? Perché Spencer è un giovane e affascinante Jack Torrance (quello di Shining), totalmente psychopatico e possessivo ma che appena può mette le corna ad Heidi, non ha amici veri ed è odiato da tutti: uno stronzo totale, insomma. Uno dei più grandi cattivi di tutti i tempi, tanto che potrebbe giocarsela facile con il Joker o con Montgomery Burns.

L’altro valore aggiunto dello show, oltre a un montaggio e a una colonna sonora sempre di alto livello mtviano, è il folle mischione tra reality e fiction. Guardando un programma del genere ci si chiede dove stia il confine tra una cosa e l’altra; il punto è che probabilmente cosa sbagliata da chiedersi, in un’epoca come la nostra in cui tra Facebook, YouTube e www wari tutto è pubblico, tutto è visibile, tutto è sputtanato e tutto sputtanabile.

L’antenato e capostipite di questo genere è Laguna Beach, versione reality di The O.C. in cui tra le protagoniste vi era proprio la stessa Lauren: cosa sia vero della sua vita e cosa sia costruito da Mtv è davvero difficile da stabilire. Nel bene o nel male però è questo il presente (e chissà probabilmente anche il futuro) della tv. E se con My life as Liz Mtv finalmente ci presenta anche una realtà più indie e meno patinata della fashionista e superficiale Los Angeles coooool presentata in The Hills, o nella New York City dello spinoff The City, o tra i tamarri italo-americani di Jersey Shore, per il momento mi godo, anzi mi enjoyo questi programmi. Perfetti per una disimpegnata (ma davvero, davvero disimpegnata) visione estiva.

Stasera parte su Mtv la sesta e conclusiva stagione di The Hills. Protagonista insieme alla ormai inverosimilmente rifattissima Heidi Montag (a destra una diapositiva del suo cambiamento) e alla figa-da-paura Audrina Patridge (l'unica mora, a quanto pare razza in via d'estinzione a L.A.), stavolta non c’è più Lauren Conrad (non so bene per quale ragione) ma al suo posto già dalla 5a c’è l’altra bionda Kristin Cavallari, pure lei dritta da Laguna Beach.
(voto 6+)


venerdì 27 agosto 2010

Felicità

Fa male la felicità? È quello che si chiedono gli Hurts con questo “Happiness”, uno degli album d’esordio più attesi dell’anno.
Gli Hurts sono un duo alla Pet Shop Boys, che getta le radici (e forse qualcosa più) del proprio suono negli anni ’80. Dentro ci sono infatti le influenze tra gli altri di Tears for Fears, Talk Talk, New Order, Soft Cell, ABC, Heaven 17, Duran Duran, ma anche Mansun (uno dei gruppi migliori ma più sottovalutati dei 90s), Mika e Robbie Williams.
L’apertura con “Silver lining” è epica e mostra i due ragazzi in tutte le loro ambizioni, senza paura di far la figura degli esagerati. Cosa che forse un po’ sono, mentre “Better than love” è il singolo che già ha impazzato quest’estate pure da noi.


“Happiness” è una raccolta di hit fenomenali, dall’epicità epica di “Evelyn” alla maggiormente dancy “Sunday”, passando per le lacrime dell’inno desperate “Stay”, fino al duetto con la superstar Kylie Minogue in “Devotion”. E così gli Hurts probabilmente venderanno migliaia, milioni, miliardi di copie.
Tornando alla domanda iniziale, fa male la felicità?
Quella degli Hurts no, anzi è assolutamente piacevole (anche se a guardarli sulla copertina del disco non si direbbe) seppure, ed è il principale difetto dell’album, ogni tanto si avverte la sensazione di un eccesso di lamentosità e autocompiacimento nei pezzi.
Quella cantata da Albano & Romina invece, quella sì che fa male. Andiamo, chi cazzo è che si fa un bicchiere di vino con un panino?
(voto 6/7)

Potete trovare il disco QUI

Paura?

Dread
(UK, 2009)
Regia: Anthony DiBlasi
Cast: Jackson Rathbone, Shaun Evans, Hanne Steen, Laura Donnelly, Paloma Faith
Links: imdb, mymovies
Da noi non uscito (non ancora?), lo trovate in inglese sottotitolato in italiano QUI

Paura. Viviamo tutti nella paura. Ogni singolo di noi ha il terrore di qualcosa. Un trauma del passato che non riusciamo, non possiamo cancellare e ci perseguita, turbando i nostri innocenti sogni da eterni infanti.
Dread non è tanto un film de paura. Dread è un film SULLA paura.
Tre ragazzi conducono infatti una ricerca sulle paure delle persone per un progetto cinematografico scolastico e naturalmente il tutto si rivolterà loro contro quando decideranno di portarlo alle estreme conseguenze, ovvero quando dalla teoria passeranno alla pratica e metteranno le persone faccia a faccia con i propri demoni: c’è chi ha subito violenze, chi ha il terrore di perdere l’udito di nuovo, chi ha macchie sulla pelle che non può nascondere. Tutti si troveranno in maniera crudele a dover affrontare il terrore che li perseguita.

Siamo vagamente dalle parti delle atmosfere di Saw – L’enigmista (il primo) e di Fight Club, con una fotografia affascinante, delle ottime anzi grandiose musiche (Silversun Pickups, M83, We Are Scientists, The Veils!), un sapore british che non guasta mai e un buon cast: Jackson Rathbone finalmente riprende un po’ di colore sia in viso che nell’interpretazione, dopo le prove non proprio esaltanti in Twilight e S. Darko e le due more Laura Donnelly e Hanne Steen sembrano davvero promettenti. Da segnalare poi in una piccola parte anche la cantante inglese Paloma Faith.

In un mare di horror più o meno adolescenziali e più o meno intrappolati all’interno del genere torture, Dread rappresenta una piccola sorpresa: visivamente valido, visionario e coinvolgente, con una tensione costante e dialoghi superiori alla media, gli manca giusto quello scarto di genio e di spessore in più nei personaggi per diventare un cult totale. La visione è però consigliata. Certo, a meno che non abbiate paura.
(voto 7+)

giovedì 26 agosto 2010

flash, 26 agosto (Linkin Park, MGMT, cinema...)

Il nuovo video dei Linkin Park "The Catalyst", in esclusiva solo su Mtv e su Pensieri Cannibali



Non è il trailer di un nuovo film della saga di Star Wars, bensì la nuova clip dei sempre più stralunati MGMT.
Congratulazioni


Una delle mie canzoni definitive dell'estate 2010, "ADD SUV" della electro star Uffie insieme al rapper N.E.R.D. Pharrell Williams e il video fumettoso è tra i visivamente più spettacolari dell'intera annata


Robbie Williams e Gary Barlow sono tornati insieme. Letteralmente, in questo ironico video quasi alla Brokeback Mountain.
Non un granché invece la canzone...


Cinema: sarà la giovane emergente Rooney Mara (nella foto a lato, presente anche nei nuovi Nightmare e The Social Network) ad interpretare Lisbeth Salamander nella versione americana di Uomini che odiano le donne. Al suo fianco ci sarà lo 007 Daniel Craig alias Mikael Blomqvist.

Ad aprire il Festival di Venezia 2010, l'1 settembre ci sarà un film incentrato sul mondo del balletto, Black Swan. Se state già sbadigliando, sappiate però che la regia è di Darren Aronofsky (The Wrestler, Requiem for a Dream), c'è un bacio lesbo tra le due splendide protagoniste Natalie Portman e Mila Kunis e dal trailer promette di essere uno dei thriller più avvincenti degli ultimi anni...


127 hours è invece il nuovo film di Danny Boyle, il regista di Trainspotting fresco di Oscar per The Millionaire. Un film che si preannuncia alla Into the Wild basato sulla vera storia dello scalatore Aron Ralston (interpretato da James Franco)

Bully on parade

Bully
(USA, 2001)
Regia: Larry Clark
Cast: Brad Renfro, Nick Stahl, Rachel Miner, Bijou Phillips, Kelli Garner, Leo Fitzpatrick, Daniel Franzese
Links: imdb, mymovies
Mai uscito in Italia, lo potete vedere in inglese con sottotitoli italiani QUI

C’è sempre da rimanere storditi, col cinema di Larry Clark. E un po’ confusi dai suoi personaggi, privi di grandi qualità (privi di alcuna qualità?), apatici, incuranti, drogati. Dopo i Kids di New York e prima degli skaters di Ken Park, ecco i ragazzi surfisti nella Florida di Bully, dove il bullo del titolo è quello interpretato da Nick Stahl: prepotente, strafottente, con attacchi di ira violenti, improvvisi e inspiegabili. Un bully che rovina la vita a tutte le persone che gli stanno intorno, in primis il suo “migliore amico” Brad Renfro (attore recentemente scomparso): così migliore amico che insieme alla sua ragazza Rachel Miner (notevole la sua interpretazione) e a un branco di tossici scapestrati decide di farlo fuori. Fight the power, fight the bully. E tra gli scapestrati vi sono anche uno sballatissimo Michael Pitt e una ninfomane Bijou Phillips, il meglio del cinema indie di inizio decennio che scende in una spirale giù dove abitano gli istinti più profondi della generazione no-generazione degli ultimi anni, in perfetto stile Clark.

Niente morale e niente moralismi nel suo sguardo cool, le riflessioni le lascia allo spettatore, libero di indignarsi del comportamento di questi ragazzi senza valori e senza futuro, oppure calarsi dentro le loro inesistenti profondità cercando di immedesimarsi, di capire una realtà che non è poi così dura; in fondo questi sono dei ragazzetti bianchi che imitano il linguaggio dei rapper di colore della vera strada, sono ragazzi di buona famiglia che non hanno un cazzo da fare tutto il giorno (“Di cosa ti occupi, adesso?” chiede un ragazzo a un altro, “Di Mortal Kombat,” è la sua eloquente risposta) se non cazzeggiare in giro in auto, surfare e scopare, ma il loro è pur sempre uno stile di vita tipicamente post-moderno che può condurre all’apatia e allo svuotamento di qualunque pensiero sano di mente. Fino alla violenza, fino all’omicidio efferato.

Intenso, a suo modo coinvolgente, scandaloso (o fintamente scandaloso?), privo di sentimentalismi (e di sentimenti), con una trama più articolata del suo solito (dopo tutto si tratta di un adattamento da un romanzo di Jim Schutze, a sua volta ispirato a una storia vera). Larry Clark è questo, prendere o lasciare. Amare o odiare.
Io secondo voi da che parte sto?
(voto 8)

mercoledì 25 agosto 2010

In the shadows

L’uomo nell’ombra
(USA, Germania, Francia, 2010)
Titolo originale: The Ghost Writer
Regia: Roman Polanski
Cast: Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Olivia Williams, Kim Cattrall, Timothy Hutton, Tom Wilkinson, James Belushi
Links: imdb, mymovies
Potete trovare il film QUI

“L’hai votato, no?”
“Adam Lang? Certo, tutti hanno votato per lui. Non è stato un politico: è stata una moda.”

Cosa c’è di più inquietante al giorno d’oggi della politica?
Non vi viene in mente niente, proprio niente? Beh, neanche a me. "Quale argomento migliore, allora, per orchestrarvi intorno un bel thrillerone vecchio style?" deve aver pensato quella vecchia volpe di Roman Polanski.
L’ex primo ministro britannico interpretato da Pierce Brosnan (attore che non mi è mai piaciuto, ma qui è davvero in parte) ha ovvie somiglianze con Tony Blair, in particolar modo per il suo legame culo-e-camicia con gli Stati Uniti. Ewan McGregor (attore che mi è sempre piaciuto e che qui torna ad alti livelli dopo alcuni film non imprescindibili) è lo scrittore fantasma incaricato di scriverne la biografia, dopo che il suo predecessore è stato ucciso ed è passato dall’essere un ghost writer a un ghost e basta.
Ma proprio mentre sta lavorando al libro, ecco che uno scandalo travolge l’ex Prime Minister e il buon Ewan finisce così invischiato in una misteriosa avventura alla Frantic. Dopo un inizio travolgente, il film rallenta i ritmi sviluppando un’atmosfera avvolgente, in cui si possono intravedere anche inquietanti paralleli tra la reclusione nel bunker in cui è costretto Brosnan e i recenti arresti domiciliari in Svizzera (ora terminati) dello stesso regista.

Curiosa e inquietante una scena che vede Ewan McGregor alle prese col navigatore d’auto. Magari è solo una mia impressione, ma che ci sia per caso una leggera e ironica critica a questi diabolici aggeggi? Per carità, sono utilissimi, per esperienza personale vi assicuro però che possono farvi facilmente perdere o ancor più facilmente farvi prendere la strada più lunga possibile per andare da un punto A a un punto B (che dopo kilometri e kilometri vi sembrerà un punto Z).

Gli attori nell’ombra sono in eccellente stato di forma: oltre ai due protagonisti citati vanno segnalate anche la glaciale fenomenale Olivia Williams (dalla serie Dollhouse) e una quasi irriconoscibile Kim Cattrall (Samantha di Sex and the City).
Un thriller politico quindi davvero ben orchestrato dalle mani sapienti del Polanski, con tutti i pezzi del puzzle che si uniscono in un finale beffardo. Perché così è il mondo e così è soprattutto la politica. E nessuno riesce a rimanere davvero nell’ombra.
(voto 7,5)

martedì 24 agosto 2010

Visioni estive

Di solito non guardo i film in tv, per un paio di ragioni:
1) quando passano sono ormai già stravecchi e stravisti (cinema, dvd, internet, pay-tv…)
2) le pause di 7-8 minuti di pubblicità mettono alla prova la pazienza di un monaco tibetano, oltre a rompere totalmente l’atmosfera del cine (e pure le palle).
Però nelle notti maggiche di un’estate italiana (quest’anno per me vacanze inaspettatatamente e totalmente tricolori, tra Ostia, Roma e Rapallo, non per spirito nazionalistico o per far girare l’economia nostrana, ma solo per puro caso) insieme agli amici magari prima di uscire è capitato di vedere qualche filmazzo (non porno) regalatoci dalla programmazione Mediaset (che tra parentesi è meglio della programmazione invernale, visto che almeno danno spazio a qualche films vero anziché le solite ridicole fiction “interpretate” da Manuelona Arcuri o Ettore Bassi, “interpretate” nel senso che ci va un interprete per capire le intenzioni degli “attori”). Quindi ecco una manciata di queste visioni estive…

Quando meno te lo aspetti
Avevo già visto questo film, ma me lo sono risparato fondamentalmente perché ci sono in un sol colpo sia Kate Hudson che una giovane Hayden Panettiere. In maniera analoga a quanto succede nella serie tv Summerland, alla morte della desperate housewife Felicity Huffman i figli passano nelle poco esperte mani della sgarruppata Kate Hudson, una party girl che lavora nel settore della moda, sembra uscita da The Hills e all’improvviso si ritrova con tre figlioletti: la già citata Panettiere (chi non la vorrebbe come figlia?), un ragazzino grassottello che in un locale ordina un vodka e assenzio (idolo!) e una Abigail Breslin pre-little miss sunshine.
Il filmetto scivola carino tra commozione e qualche risata, ma la morale buonista presentata nel finale è piuttosto difficile da digerire: Kate Hudson smette di fumare, abbandona il suo stile di vita fashion e rock’n’roll e si mette con un noioso pastore degno di Settimo Cielo (attention please: non è un complimento)… ecchepalle!
(voto 6)

Quel nano infame
I fratelli Wayans sono stati interpreti e autori dei primi due scompisciosi Scary Movies, dopodiché non hanno fatto altro che scivolare giù giù nella pena più totale. Dopo la parodia ancora guardabile delle svampite alla Paris Hilton in White Chicks, ecco che tirano fuori un nano criminale che ruba un gioiello preziosissimo e poi per non farsi beccare lo infila nella borsa di una sgnacchera che passa di lì per caso. Per riprenderselo dovrà fingersi un neonato che verrà adottato dalla sgnacchera in questione e dal suo boyfriend fissato con la paternità. Tutto ciò crea una serie di situazioni più ridicole che divertenti, con tanto di nano che si slingua la bionda di Sweet Valley High e si ciula la “mammina” adottiva. Idee che solo Neri Parenti o i fratelli Vanzina potrebbero invidiare.
Filmetto davvero infame (e no, se ve lo stavate chiedendo il titolo non fa riferimento al presidente del consiglio italiano)
(voto 3)

Aquamarine
Una sirena finisce sulla terra ferma però non è Daryl Hannah. Per una ragione che adesso mi sono già dimenticato, ma sicuramente non è poi così importante, deve dimostrare a suo padre che l’amore esiste e ha un paio di giorni per farlo, con l’aiuto delle due amichette: la cantante Jojo ed Emma Roberts, nipote di Julia e tra le più promettenti attrici della nuova generazione. Ah ecco, nel frattempo mi sono ricordato della ragione: se non lo fa suo padre le organizza un matrimonio combinato con un suo simile… Filmino teen (o pre-teen?) senza pretese, quindi non pretendete di più nemmeno da questa breve rece.
(voto 4,5)

Un sogno per domani
Kevin Spacey in versione post American Beauty e Haley Joel Osment in versione post Sesto senso, più Helen Hunt in versione spogliarellista (ottima con la parrucca blu pre Katy Perry) e Jim Caviezel non ancora finito in croce. Cast notevole insomma per la bella storia di un’utopia lanciata da un ragazzino delle medie: passa il favore, cioè fai tre favori disimpegnati a tre persone e dì loro di ricambiare aiutando qualcun altro. Una rete social per creare un mondo migliore. Bella idea per un film che a tratti si perde e si dilunga, ma che tuttavia riesce a coinvolgere quel minimo che basta. E fa sognare un domani davvero migliore.
(voto 6+)

Panarea
A tratti esilarante, persino geniale (la ragazza schifata da tutto e tutti) a tratti solo scemo, in ogni caso un super classico estivo italiano. Con un grande Guido “cumenda” Nicheli, taaac.
(voto 6,5)

lunedì 23 agosto 2010

My summer song (I'm back)

Waka waka eh eh, ma che staiaddì, porcoddue?! Li mortacci tua.
Roma nun fa la stupida stasera. Na birra col calippo. Acqua cola bira. Alors on danse. Pappa l’americano-mericano-mericano-mericano-mericano-mericano.
Unico programma tv visto in loop: The Hills su Mtv.
Unico telegiornale visto: un’edizione di Studio Aperto e a mala pena ho retto i titoli di testa; le notizie fondamentalmente le stesse di prima che partissi: Berlusconi vs. Fini, fa caldo, Belen "Belin" Rodriguez pippa e fa una pippa a Borriello, no a Corona, no a Borriello, Cossiga è di nuovo morto (io ero convintissimo fosse già morto).
Ho visto un posto che non mi piace, si chiama mondo.
L’Ambrogio Rossi degli spot Tim: sparargli non è un crimine perseguibile per legge, anzi verrà premiato con l’intero montepremi del Superenalotto chi lo stanerà per primo.
Gli spot dei rosari di Maria: li mortacci di chi li compra.
Vacanze romane alcooliche e moderatamente devastanti che poi si sono trasformate in vacanze liguri a sorpresa forse ancora più alcooliche ma moderatamente tranquille.
Abbronzatura ok a Ostia, poi ko a Rapallo dove il sole è stato un optional a parte gli ultimi due giorni.
Guidare a Roma di notte.
Urlare (forse bestemmiare) ubriachi alle 4 a.m. sotto la Basilica di San Pietro.
Soprannominato un amico “Ometto speciale” perché non è tanto normale. È speciale.
California gurls & Ostia gurls.
Il B&B (rigorosamente prenotato appena 24 ore prima della partenza) in cui stavo era praticamente una villa fighissima con piscina + bungalow + dependance dalle parti della residenza estiva del Presidente della Repubblica. Li mortacci sua.
E poi sole ustionante, spiagge kilometrike, tipe abbronzate, tipe tettone abbronzate, MILF abbronzate, musica tamarra abbronzata (vabbè nel Sony Walkman avevo anche della musica decente)...
Tutto il resto –come dice il Califfo senza bira- è noia.

(Dopo 3 settimane in cui sono stato offline a disintossicarmi dal web le repliche sono finite, i Pensieri Cannibali da oggi tornano finalmente LIVE e con un sacco di post strepitosi in arrivo!*
Cercherò anche di rispondere in tempi brevi ai fantasmi dei commenti passati, perlomeno a quelli che richiedono una risposta)

* L’autore del blog non si assume alcuna responsabilità penale nel caso i post futuri non siano effettivamente strepitosi.

domenica 22 agosto 2010

L'ultima estate di Joan, Episodio finale

4. L'incubo

Il sole sorse la mattina seguente. Michael non aveva quasi chiuso occhio. Si sentiva tutto frizzante in corpo. Si sentiva come se qualcosa in lui fosse cambiato. Magari non era ancora diventato un uomo. Magari era ancora un bambino senza peli, ma sicuramente era diventato grande abbastanza da baciare una ragazza. E fare anche qualcosa di più, con una ragazza. Voleva dire questo e altro a Joan. Per una volta anche lui aveva qualcosa da raccontare. Michael aspettava solo di sentire quel dolce suono. Il suono delle stelline che ballano sulla porta d’ingresso del loro ostello.
Un altro suono, meno atteso, giunse invece. Era quello della sveglia. Il mattino era già arrivato tra di loro. L’ultimo mattino in Costa Brava. E ancora, Joan non era rientrata. L’atmosfera in spiaggia era strana. Nessuno aveva voglia di fare il bagno. Nessuno aveva nemmeno voglia di parlare e Michael non era di certo nell’umore per surfare. Era troppo in ansia. Mitchell e Franklin stavano a distanza di sicurezza l’uno dall’altro, senza rivolgersi la parola. Le ragazze se ne stavano a prendere il sole con le cuffie bianche nelle orecchie. Un’altra canzone triste andava a morire nell’iPod. Un’altra estate stava finendo. Presto ci sarebbe stato solo il grigio e il freddo dell’inverno in Germania. La tristezza stava scendendo a palate sui loro corpi oramai abbronzati.
La suora-capo intanto riunì le altre suore. Di Joan nessuna notiza. Cominciarono così a cercarla ovunque. Chiesero ai ragazzi se qualcuno sapeva dov’era finita. Emily, la rompicazzo che dormiva nel letto a castello insieme a lei, parlò: “È uscita. Sgattaiolata fuori come tutte le sere da quando siamo arrivati. Sarà andata in qualche discoteca, avrà bevuto, si sarà drogata… o Dio solo sa che cosa.”
Le suore andarono in giro per le strada della cittadina spagnola chiedendo informazioni ai proprietari di bar e locali. Mostrarono loro una foto di Joan in versione acqua e sapone. Sembrava una bambina. Quando usciva la sera, truccata, era tutta un’altra persona. Quella foto non poteva essere di alcun aiuto. In ogni locale ripetevano che: “No, non abbiamo mai visto quella bambina. Qui possono entrare solo persone con almeno 18 anni.”
Niente. Joan non si trovava. Ancora niente. Si aprirono le indagini ufficiali. Sempre niente. La partenza venne rimandata. “Non si può tornare indietro senza uno dei ragazzi,” dissero le suore.
Anche quella notte Michael non riuscì a chiudere occhio. Il fastidio dell’herpes che gli era spuntato sul labbro superiore grazie a Kristin si era mixato con l’ansia. Aspettava di sentire il suono delle stelline sulla porta d’ingresso. Aspettava che Joan venisse fuori, annunciando con un sorriso: “Scherzone! Vi ho preso tutti per il culo… Eccomi qua, babbei!” Ma da fuori l’unica cosa che arrivava erano i lampi di un temporale. L’ennesimo.
La mattina dopo tutti i ragazzi vennero convocati nel salone, lo stesso in cui avevano giocato a 7 minuti in Paradiso. La suora-capo li guardò uno per uno negli occhi. Calò un silenzio irreale. La sua voce sembrò avere un attimo di indecisione: “Il-il corp…” Si fermò. Quindi respirò profondamente, riprese coraggio e mesta annunciò: “Mi spezza il cuore dovervelo dire, ragazzi…” Sospirò. Non aveva mai avuto tanta difficoltà nel dover dire qualcosa. Alla fine, senza pensarci ulteriormente disse: “Il corpo della cara Joan è stato trovato senza vita. Adesso è in Paradiso, dove riposa in pace tra le braccia del Signore.” Scoppiò in lacrime.
Quello che la suora-capo aveva preferito non precisare è che erano state trovate solo alcune parti del corpo di Joan. Brandelli di braccia. Un gomito. Il cranio con cui era stato possibile fare il riconoscimento dentale. Joan era stata prima stuprata e poi tagliata a pezzettini, come confermerà l’autopsia un paio di giorni più tardi.
All’annuncio della suora-capo, Michael si mise a urlare:
“Nooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo
Non è vero
Non può essere vero!”
Scappò fuori dal salone. Prese la tavoletta da surf sotto braccio e corre verso la spiaggia. Il mare era in tempesta. Da nord soffiava un vento gelido. I tuoni avevano lo stesso suono di una bomba atomica che esplode. In questo scenario apocalittico, Michael si gettò tra le onde del destino. Surfò come un campione. In pochi giorni era diventato davvero bravo. Il suo dovev’essere un talento naturale. Se solo fosse nato sulla costa, invece che nel cuore freddo della Germania, beh pensava che magari sarebbe potuto diventare un campione. Che magari avrebbe anche potuto farlo come professione. Ma ancora era troppo inesperto per affrontare delle onde del genere. Resistette a lungo, sotto lo sguardo disperato di amici & suore, fino a che un cavallone abnorme coprì ogni visuale alle sue spalle. Non era il buio piacevole di 7 minuti in Paradiso. Era il buio dell’Inferno, che lo divorò in un sol boccone. Il corpo di Michael venne sbattuto a riva, dove il bagnino cercò di rianimarlo. Massaggio cardiaco. Respirazione bocca-a-bocca. Non sembrava esserci niente da fare. Forse era meglio se gliela faceva Kristin, la respirazione. Tanto ormai l’herpes se l’era preso. Il bagnino passò al defibrillatore. “Uno, due, tre… libera.” Ancora niente. “Uno, due, tre… libera.” Come nel finale di una cazzo di puntata di Baywatch, Michael riprese incredibilmente a respirare.

“Sveglia, Michael,” sussurra una dolce voce femminile.
“Joan. Sei tornata!” pensa Michael. Apre gli occhi e a letto al suo fianco c’è una donna matura, nuda. Non è Joan. È Kristin, sua moglie. Che gran bel paio di tette che ha. Le ha sempre adorate. Dev’essere per questo che l’ha sposata.
Le dà un bacio, su quello stesso herpes che ogni estate puntuale le rispunta fuori, quindi si alza dal letto. Fa colazione. Una tazza di caffè nero. Dà un’occhiata alla sua agenda. Niente gare in vista, questa settimana.
“Non dimenticare di salutarmi Mitchell, quando lo vedi,” gli grida Kristin dalla camera da letto. Ah, già. L’appuntamento con Mitch al pub. Se n’era scordato. Si era scordato di tutto.
“Hey, vecchio mio. Come va la riabilitazione?” domanda Michael al pub, abbracciandolo. È quasi ora di pranzo. Al bancone ci sono solo loro due.
“Al solito. Alcuni giorni sono meglio di altri. Questo è un giorno non male,” gli risponde Mitch davanti a una bottiglietta di birra analcoolica. “Sono felice di rivederti, piccolo Michael.”
“Oh,” sorride Michael. “Non credo di essere così piccolo, oramai. Guarda qui,” e mostra fiero all’amico il suo braccio muscoloso.
“Non mi interessa quanti muscoli hai. O quanti cazzo di soldi ti sei fatto con il surf,” gli dà un pugno Mitch su quello stesso braccio. “Per me sarai sempre il piccolo Michael.” Quindi si guarda intorno, fa l’occhiolino alla barista: “Un’altra birra anal, please,” ordina. “E una fortemente alcoolica per il campione che mi fa l’onore di sedersi qui al mio fianco.”
Michael arrosisce: “Oh, andiamo. Così mi metti in imbarazzo.”
“Dimmi te se è possibile che mi innamori sempre delle bariste?” si chiede retoricamente Mitchell tra sé e sé.
Michael lo guarda, cercando di non scoppiare a ridergli in faccia: “Sei senza speranza, amico mio. E a proposito: quell’altro caso perso di Franklin, sai che fine ha fatto? È una vita che non lo vedo.”
“Oh già, il vecchio Frank. È da quell’estate di 10 anni fa che non lo vedo né lo sento. Ho letto su una di quelle stupide riviste di gossip che è finito a Hollywood. Fa l’addestratore di scimmie e altri animali attori che recitano nei film. Immagino sia contento laggiù,” ride. “Si sa, Hollywood è piena di froci…”
“Aspetta, aspetta…” lo interrompe Michael shockato. “Mi stai dicendo che Franklin è gay? Non l’avrei proprio mai detto.”
“Quello è gay al 100%, te lo dico io,” annuisce Mitchell con l’aria di chi la sa lunga.
“Posso chiederti una cosa?” Michael domanda sottovoce all’amico. Sembra per un momento tornato ad essere quel bambino timido e inesperto che era anni prima. “Mi puoi dire cosa diavolo è successo tra te e Franklin, dentro quell’armadio?”
“Se ci tieni proprio a saperlo, te lo dirò.” Ancora Mitch non l’aveva finita con la storia del creare suspence. Però, maledizione, bisognava riconoscerglielo: gli riusciva davvero bene. “La porta si è chiusa e le luci si sono spente. Il porco mi ha tirato giù i pantalani e ha cominciato a spompinarmi. Io pensavo di tirargli una botta in testa o un calcio. Qualcosa del genere, giusto per farlo smettere. Solo che era veramente piacevole. Insomma, non prendermi per un finocchio,” Mitch agita un dito davanti all’amico. “Quella è stata la prima e anche l’ultima volta che qualcuno che non si chiamasse Crystal o Roxy ha succhiato il mio Chupa-Chups. Però, intendiamoci: quello è stato il pompino più godurioso che mi abbiano mai fatto in tutta la vita.”
Michael manda giù una gran sorsata di birra. “È pazzesco,” riflette. “Ti conosco da ormai dieci anni e ancora riesci a stupirmi…” Quindi trova il coraggio di chiederglielo. Il vero motivo per cui aveva organizzato quella rimpatriata. La domanda che gli era ronzata in testa per tutti quegli anni. “E con Joan, invece? Che cosa successe durante i vostri 7 minuti in Paradiso insieme?”
“O, con Joan. Adesso sì che mi prenderai per un ricchione,” Mitchell sospira. Fa quello che gli riesce meglio: crea suspence. Poi si stufa e lo ammette: “Non successe proprio un bel niente.” Quindi sorride amaro. Michael lo guarda sorpreso. “Ho sempre trattato le ragazze come se fossero delle troie, ma con lei era diverso. Joan era diversa dalle altre. Avevo troppo rispetto per sfiorarla anche solo con un dito. Le chiesi semplicemente di fingere che fosse successo qualcosa. Sai, per non giocarmi la mia reputazione da stronzo…”
Michael ascolta in silenzio. Ripensa all’uomo che quella notte le ha tolto la vita. Lei doveva essere sbronza, forse un po’ più del solito. Probabilmente le aveva detto qualche parola dolce e l’aveva convinta senza troppi problemi a salire sul suo bel yacht, dove anziché offrirle una rosa e una coppa di champagne l’aveva violentata e uccisa. Quindi, aveva ridotto il suo corpo esile in piccoli pezzi e, come se si trattasse di spazzatura, li aveva gettati in mare. Tutto questo giusto un momento prima di prendere una pistola, caricarla ed esplodersi un colpo in testa.
Michael ripensa a quanto era bella, Joan. Anche quelle rare volte che la vedeva senza trucco sulla faccia e senza quegli abitini sexy che indossava la sera sulla Costa Brava per farsi rimorchiare da qualche vecchio maniaco. E ripensa egoisticamente a come avrebbe voluto darle un bacio. Solo un piccolo bacio. “Almeno tu hai avuto l’onore di passare 7 minuti in Paradiso con lei,” confessa all’amico, con una punta di gelosia.
“Andiamo,” Mitch guarda a terra. “In colonia lo sapevamo tutti che lei aveva una cotta per te. Possibile che fossi così ingenuo da non accorgertene?”
“Mi sa che era davvero così, invece,” sorride Michael. “Quei Mormoni dei miei genitori avevano proprio ragione: non ero abbastanza grande.”

Das Ende

sabato 21 agosto 2010

L'ultima estate di Joan, Episodio 3

3. Il Paradiso

Una notte inquieta. Il cielo si riempì di nuvole. Niente più stelle in cielo. Niente più stelle visibili, perlomeno. Niente falò con la chitarra. Tutti in casa. La suora-capo suggerì ai ragazzi di inventarsi qualche gioco e passare lì la serata, mentre lei e le altre suore si godevano una puntata in spagnolo del loro programma preferito: Séptimo cielo.
“A che giochiamo?” chiese Holly.
“Prepariamo uno spettacolo in stile circo…” suggerì Franklin. “Io posso fare la scimmia!”
“Non dire stronzate, Frank,” lo interruppe Mitchell, bruscamente. Si accese una paglia e saltò sopra il tavolino posto in mezzo al salone in cui si erano riuniti. “Lo so io, a cosa possiamo giocare,” annunciò solenne dall’alto della sua posizione di supremazia.
Tutti lo guardarono stupefatti. Stupefatti e curiosi. L’unica a cui la proposta di Mitch non pareva interessare un granchè era Joan. Se ne stava da sola in un angolo a leggiucchiare uno dei suoi libri da intellettuale. Un minimo incuriosita comunque lo era, al punto da alzare pure lei lo sguardo sul tavolo in mezzo al salone aspettando la patetica proposta di Mitchell.
“Allora…” chiesero alcune ragazze. “Vuoi dirci che hai in mente o ci vuoi far star qui ad aspettare tutta la sera?”
Mitch finì con calma di fumarsi la paglia. Sapeva che creare suspence era un meccanismo fondamentale se si voleva essere considerati dei grandi leader. Sapeva però anche, come gli aveva insegnato il sindaco della cittadina tedesca in cui i ragazzi vivevano nonché suo padre, che non bisognava esagerare. Altrimenti il pungiglione delle persone andava in giro a cercare sangue più fresco.
“Ecco a cosa potremmo giocare,” si decise quindi a parlare, tossicchiando vistosamente. Anche se si atteggiava, non era abituato a fumare paglie. “Cough, cough,” tossì. Ecco. Adesso sì che l’attenzione dei ragazzi se ne stava scemando. “7 minuti in Paradiso!” annunciò infine.
“7 minuti in Paradiso?” chiesero in coro Kristin & Holly. “E che razza di gioco sarebbe?”
“Non li vedete i film americani?” chiese retoricamente Mitchell, scotendo vistosamente la testa. “Uno di noi gira la bottiglia e si va a chiudere per 7 minuti nello sgabuzzino insieme alla persona che è uscita. Chiunque esca. Non ci si tira indietro.”
“Una sorta di gioco della bottiglia…” disse Joan. “Roba per ragazzini.”
“No, Joan,” temporeggiò Mitch pensando a cosa ribatterle. Quindi trovò: “È una versione adulta del gioco. Insomma, qui non si tratta di darsi bacetti innocenti. Ci si chiude in uno sgabuzzino per 7 lunghi minuti. E in 7 minuti, come ben sappiamo, si può anche fare un bambino.”
“E questa scemenza dove l’hai sentita?” chiese Emily, la compagna di letto a castello rompicazzo di Joan.
“Beh, l’ho letta su Playboy,” tagliò corto Mitch. “Quindi è vera.”
7 minuti in Paradiso, si chiama il gioco. Ma possono anche diventare 7 minuti all’inferno. Dipende tutto da chi ti viene fuori quando giri la bottiglia.
Michael se ne era stato per tutto il tempo in silenzio. Lui che mai aveva fatto neppure il gioco della bottiglia. Si sentiva così bimbo.
“Non sei abbastanza grande,” gli echeggiava in testa la voce lagnosa dei genitori. Realizzò una cosa cui mai aveva pensato seriamente: e se avessero ragione loro? E se avessero sempre avuto ragione loro? Forse lui non era ancora abbastanza grande. Forse sarebbe dovuto stare a casa, al sicuro, invece di stare lì a giocare a 7 minuti in Paradiso con tutte quelle ragazze sexy. “E se esco io? Cosa diavolo faccio, se esco io?” si stava chiedendo.
“Comincio io!” gridò Mitchell, interrompendo una volta per tutte i paranoici pensieri da lattante di Michael.
Tutti i ragazzi e tutte le ragazze si disposero in cerchio, visibilmente eccitati. Anche Joan ripose il suo libro russo nell’angolino buio del salone e si accinse a partecipare al gioco. Chissà chi le sarebbe uscito? “Magari Michael,” rise tra sé e sé.
7 minuti in Paradiso ebbe inizio ufficialmente quando Mitch prese la bottiglia di Vodka alla fragola che le ragazze si erano scolate la sera precedente in spiaggia. La Absolut mezza vuota girò vorticosamente. Proprio non voleva saperne di fermarsi. Tutti guardarono in ansia la bottiglia che finalmente rallentava la sua folle corsa e si fermava. Franklin. Si fermava su Franklin. Risate generali. Mitchell spalancò gli occhi stupefatto e disse: “Dobbiamo rifare… De-de-devo rifare…” cominciò a balbettare imbarazzato.
“E no,” si impose Joan. “Chiunque esca, non ci si tira indietro. Sono le tue parole.” Lo pietrificò con quei suoi occhi azzurri da cielo in tempesta. “Sono le tue regole.”
“Non è giusto,” disse solo Mitch, oramai rassegnato. Era difficile ribattere a una come Joan.
Mitchell e Franklin vennero spinti dentro lo sgabuzzino. Joan chiuse a chiave la porta alle loro spalle. Quando uscirono, 7 lunghi minuti in Paradiso dopo, erano stranamente silenziosi e subito si allontanarono l’uno dall’altro. Qualcosa era successo lì dentro. Già.
“E va bene,” fece Mitch incazzato. “Questa è fatta. Adesso tocca a te, mia cara Joan.”
Joan prese tra le mani la bottiglia di Absolut e disse sicura di sé: “Non vedevo l’ora,” facendo l’occhiolino a Michael. O almeno, a Michael era sembrato che gli avesse fatto l’occhiolino, ma non ne era sicuro. Magari semplicemente le era entrato un moscerino. Quei dannati pungiglioni sempre in cerca di sangue nuovo.

Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, Michael giù per terra. La bottiglia si fermò a un centimetro, ma che dico, a un millimetro dal suo piede. E però era già entrata nel territorio di Mitchell.
“Allora esiste una giustizia divina!” gridò lui rianimandosi improvvisamente dallo stato comatoso in cui era finito da quando era venuto fuori dallo sgabuzzino con Franklin.
Joan diede una boccata alla bottiglia. Finì la poca vodka rimasta in un sol sorso e si alzò svogliata.
“È ciò che ti meriti, Joan,” la spinse Emily. Era proprio una rompicazzo. Su questo, nessun dubbio.
Si sentirono delle urla e dei rumori strani, durante quei 7 minuti in, uhm, Paradiso.
“Sei proprio un maniaco, Mitch,” disse solo Joan quandò uscì, allontanandolo da sé.
Mitch uscì tutto sorridente, tirando fuori la lingua come un Kiss assatanato. Diede il 5 alto a tutti i ragazzi della colonia, Michael compreso. Non a Franklin, che era stato per 7 lunghi minuti con il volto corrucciato. Aveva anche smesso con i suoi soliti versi da scimmia ritardata.
“E adesso… a te, piccolo Michael.” Mitch consegnò la bottiglia magica nelle manine del nostro giovane surfista. “Questo è il tuo momento. Non mi deludere, campione.”
Michael prese la bottiglia tra le sue manine che tremavano vistosamente. Respirò. Contò uno due tre quattro cinque, come diavolo va avanti? Ah, già: sei sette otto nove. Niente sembrava funzionare. Era un bagno di sudore e la bottiglia stava per guizzargli via dalle mani manco fosse un’anguilla.
“Forza,” lo incitò anche Joan. “Gira la bottiglia, magari sarai fortunato.” Gli fece di nuovo l’occhiolino. O forse le era entrato un altro dannato moscerino? Smise di farsi domande e finalmente girò la bottiglia. Una volta lasciata si sentì incredibilmente sollevato. Era fatta. Qualunque persona sarebbe uscita oramai era fatta. Il suo destino non era più nelle sue mani, ma solo in quel vortice di emozioni alcooliche.
Nonostante ci avesse messo tutta la sua forza, la bottiglia terminò rapidamente la sua girandola. Accarezzò brevemente le Converse rosse di Joan, per finire sui piedini nudi della ragazza seduta immediatamente dopo: Kristin. La Kristin del duo Kristin & Holly, per intenderci. Quella sera le era spuntata una herpes mostruosa sul labbro superiore. Qualcosa di decisamente anti-bacio.
Kristin sorrise tutta eccitata e prese la manina di Michael. Insieme varcarono la soglia dello sgabuzzino. La porta dietro di loro si chiuse come per magia, lasciandoli soli nel più completo totale spaventoso buio. Michael non vedeva nulla, né sapeva minimamente che doveva fare. Meno male che Kristin sembrava intendersene più di lui. Molto più di lui. Trascinò la manina inesperta di Michael sotto la sua maglietta. Non portava il reggiseno. I suoi capezzoli erano piccoli ma duri. Michael si sentiva un po’ in imbarazzo a tastarglieli così. In fondo però era lei che lo aveva invitato lì sotto. Quindi, al diavolo le buone maniere! Le setacciò ogni millimetro di quelle tettine sode e improvvisamente si sentì “Grande abbastanza.”
Sorrise nel buio anche se nessuno poteva vederlo e prese il controllo della situazione. Sbattè Kristin contro la parete probabilmente piena di ragnatele (chi lo sa? non si vedeva un accidente lì dentro) e la baciò in bocca, dimenticando completamente il piccolo particolare dell’herpes. Era il suo primo bacio vero. Quelli alla mamma non contavano.
Kristin rimase piacevolmente sorpresa da quello scatto da vero uomo vero di Michael. Per dimostrargli tutto il suo apprezzamento gli infilò la mano nei pantaloni e cominciò a strofinarglielo. Michael sentì una grande illuminazione. Non era un’illuminazione metaforica. La porta dello sgabuzzino si era aperto. Tutti i ragazzi li stavano fissando sconvolti. Joan era a bocca aperta. Mitch era lì che applaudiva: “E bravo il mio piccolo Michael. Lo sapevo che mi avresti dato soddisfazioni, fratello.”
Kristin finalmente aprì gli occhi e si accorse pure lei che la porta era stata aperta. I 7 minuti in Paradiso erano volati. Subito ritrasse la mano da dentro i pantaloni di Michael e il suo volto divenne rosso Ferrari.
Alle spalle dei ragazzi sbucò fuori la suora-capo. La splendida puntata in español di Séptimo cielo era terminata e le suore erano state attirate in salone dalle urla e dal vociare dei ragazzi.
“Ma che diavolo sta succedendo, qui dentro?” urlò la suora-capo diradando la folla. Michael e Kristin si ricomposero immediatamente. “Tutti a dormire, adesso. Domani è l’ultimo giorno e la sera ci attende un lungo viaggio.”
In gran silenzio, i ragazzi e le ragazze si infilarono velocemente nei loro letti. Era stata una serata particolare. Folle, per certi versi. E per una persona non era ancora finita: Joan. Come al solito saltò giù dal suo letto a castello, tra gli sbuffi di disapprovazione di Emily la rompicazzo del letto di basso e si infilò in un altro locale della movida canticchiando la sigla di Séptimo cielo. Era l’ultima notte. Era l’ora di follia e depravazione. Follia e depravazione.

(e domani ultimo episodio)
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