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sabato 8 novembre 2014

ALICE ROHRWACHER, ROHRWACHER CHE BONTÀ!





Le meraviglie
(Italia, Svizzera, Germania 2014)
Regia: Alice Rohrwacher
Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Cast: Maria Alexandra Longu, Alba Rohrwacher, Sam Louwyck, Monica Bellucci, Agnese Graziani, Sabine Timoteo, André Hennicke
Genere: non è la Rai
Se ti piace guarda anche: Corpo celeste, Somewhere, La leggenda di Kaspar Hauser

Il cinema italiano è attualmente il più coraggioso del mondo.
Ma cooome?
Cannibal Kid non sta sempre, oltre che su YouPorn, a criticare il cinema italiano?
E adesso che fa, si mette a incensarlo senza motivo?
È stato pagato almeno, per farlo?

No, non sono stato pagato, ahimé, e no, non lo faccio senza motivo. Lo faccio quando c'è una ragione per farlo. La ragione è presto spiegata: il cinema italiano di recente ha saputo trasformare la merda in meraviglia. Vi sembra poco?
Gesù Cristo si “limitava” a tramutare l'acqua in vino, ma mi pare che rendere il trash qualcosa di sublime sia un'impresa ancora più encomiabile. Basta vedere pellicole nostrane recenti, apprezzate forse più all'estero che dalle nostre parti, come il premio Oscar La grande bellezza di Paolo Sorrentino, o Reality di Matteo Garrone, Grand Prix al Festival di Cannes 2012, o questo Le meraviglie di Alice Rohrwacher, anch'esso vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, nel suo caso edizione 2014. O ancora si può citare Gomorra – La serie, che non è cinema in senso stretto, ma in fondo sì, è Cinema, sebbene fatto per la tv.

Cos'hanno fatto, questi film/telefilm?
La grande bellezza è riuscito a dare grande bellezza alle festicciole della peggio Roma con Raffaella Carrà come colonna sonora. Il kitsch che si fa poesia pura.
Gomorra – La serie si è messo in testa di competere con le serie americane di HBO e AMC attraverso un drama famigliar-criminale accompagnato dalla musica del neomelodico Alessio. E c'è riuscita, alla grande.
Reality ha messo in scena l'Italia che sogna di partecipare al Grande Fratello, programma simbolo del trash più totale, sotto forma di una moderna, malata fiaba moderna.
Con Le meraviglie, Alice Rohrwacher non è stata da meno. Anzi. Ha preso una delle canzoni più merdose nella Storia della Musica, ovvero “T'appartengo” di Ambra Angiolini, e l'ha messa al centro della sua pellicola. I film anglofoni fanno i fighi con i pezzi di David Bowie, Radiohead o Pixies, ma così è troppo facile. Per usare la musica di Ambra sì che ci vanno le palle. Il brano dell'ex starlette di Non è la Rai riveste un ruolo molto importante nella pellicola. Innanzitutto colloca la vicenda a livello temporale a metà anni Novanta. Senza questo pezzo, sarebbe difficile stabilirlo con certezza. Il film è infatti ambientato nel casale di una famiglia di apicoltori della campagna tra Umbria e Toscana. Il loro stile di vita è talmente arcaico, o anche della Preistoria, come dice Monica Bellucci nel corso della pellicola, che non si capirebbe bene in che epoca collocare la storia, non fosse appunto per la presenza di Ambra.

Il pezzo è usato in un paio di sequenze, una in particolare fondamentale per delineare il personaggio principale della pellicola. Sì, ok, in Le meraviglie si parla di una famiglia di apicoltori, ma la vera protagonista è Gelsomina (l'ottima Maria Alexandra Longu), la figlia maggiore della coppia formata da una Alba Rohrwacher meno insopportabile del solito, sarà perché per fortuna appare pochino, e da un padre-padrone che sinceramente non ho capito quale lingua/dialetto parli. Forse non l'ha capito nemmeno lui.

"A forza di farmi dire da Cannibal che sono braccia rubate all'agricoltura,
ho finito per dargli ascolto."

Questo Le meraviglie per prima cosa è allora un racconto di formazione. Il passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza di Gelsomina possiamo vederlo quasi una versione al femminile e di 12 anni più breve di Boyhood. O anche come una versione meno hipster e fighetta, mooolto meno hipster e fighetta, delle opere di Sofia Coppola. Qualcuno a questo punto potrà dire che già il film d'esordio della regista Corpo celeste raccontava un po' la stessa storia un po' allo stesso modo, ed è vero, ma allora perché l'avevo detestato tanto?
Non lo so. Il Corpo celeste era impregnato di una certa aura di neorealismo che avevo trovato pesante e fastidiosa. Mi aspettavo di ritrovarla pure qui ed ero già pronto con un fucile carico di parole infuocate pronte a colpire pure Le meraviglie. Invece no. Invece Le meraviglie mi ha fatto un'impressione di segno opposto.

Il secondo film della Rohrwacher vola leggero, per quanto non privo di qualche momento duro e drama, ed è pieno di incanto. Il viaggio alla scoperta dell'adolescenza compiuto dalla protagonista Gelsomina è tutto fuorché una gita nel paese delle meraviglie, eppure la regista riesce a farcelo passare quasi come tale. Così come Sorrentino, Garrone e lo Stefano Sollima di Gomorra – La serie, è riuscita a tramutare la merda in meraviglia.
La vita apparentemente priva di grossi stimoli, schiacciata dal peso di un padre che ha una concezione medioevale del mondo, della protagonista cambia quando incontra una Monica Bellucci con look da Elsa di Frozen. Questa fatina conduttrice di un programma kitsch di una tv locale diventa l'unica speranza di miglioramento per la sua vita. Raccontato così potrebbe apparire deprimente come spunto per una storia, e invece non lo è. Le meraviglie è davvero una piccola meraviglia di film, in cui lo schifo si fa bellezza e tutto diventa possibile, persino trasformare “T'appartengo” di Ambra in poesia. Non ci credete?
Eppure io, miei cari lettori, ve lo prometto.
E se prometto poi mantengo.
(voto 7+/10)

lunedì 30 settembre 2013

THE LORD OF THE BLING RING




Bling Ring
(USA, UK Francia, Germania, Giappone 2013)
Titolo originale: The Bling Ring
Regia: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Ispirato all’articolo: The Suspects Wore Louboutins di Nancy Jo Sales e basato su eventi reali
Cast: Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson, Claire Julien, Taissa Farmiga, Leslie Mann, Gavin Rossdale, Georgia Rock, Annie Fitzgerald, Erin Daniels, Kirsten Dunst, Paris Hilton
Genere: celebre
Se ti piace guarda anche: Bully, Spring Breakers, Le belve


"Chi è Audrina Patridge?
Ah già, sono io!"
PREMESSA 1 – CHI E’ AUDRINA PATRIDGE?
Il mondo è cambiato. Lo sento nell'acqua. Lo sento nella terra. Lo avverto nell'aria. Molto di ciò che era si è perduto, perché ora non vive nessuno che lo ricorda. Tutto ebbe inizio con la forgiatura dei grandi Anelli.
Stop! Un momento: quali anelli? Quelli di Tolkien?
No, qui gli anelli e tutti gli altri gioielli, vestiti stilosi, oggetti di lusso sono quelli di Paris Hilton, Lindsay Lohan, Audrina Patridge. Che poi Paris e Lindsay le conoscono tutti. La prima è famosa per essere famosa, la seconda era famosa per essere un’attrice promettente e adesso lo è più che altro perché combina un casino dietro l’altro. Se non conoscete loro due, guarderete questo Bling Ring con gli occhi sbarrati, non sapendo di cosa si parla. Se non conoscete Audrina Patridge tranquilli, è normale, però significa che potreste non essere del tutto preparati per un film del genere. Intendo a livello (s)culturale. Io ad esempio mi sento impreparato quando vedo un film come A Serious Man, o un qualsiasi altro dei fratelli Coen, che impregnano le loro pellicole di riferimenti alla Bibbia. Io quel best-seller ai tempi della sua uscita me lo sono perso e ai tempi del catechismo ero distratto, quindi la maggior parte delle loro citazioni bibliche mi sfuggono.
Riguardo al mondo raccontato in Bling Ring, quello delle celebrità di Hollywood, sono invece ferratissimo, e voi? Nel film vengono menzionate le già menzionate Lindsay e Paris, più Orlando Bloom, sua moglie Miranda Kerr, Megan Fox, Rachel Bilson e Audrina Patridge. Ecco, Audrina Patridge. Se non avete idea di chi è, potrebbe non essere il film che fa per voi. Prima di disperare, cercherò di spiegarvelo io, come se parlassi con un bambino piccolo o con un golden retriever [Margin Call cit.].

Audrina Patridge è stata la star di un reality-show, The Hills. Fino a qui, tutto semplice. Solo che The Hills non è un reality di quelli tipici alla Grande Fratello. È un po’ più complicato di così.
Facciamo un passo indietro. The Hills nasce come spinoff di Laguna Beach. Laguna Beach era una serie reality di Mtv che ci proponeva la “vera” vita dei ragazzi di Orange County, in California, solo che per farlo usava anche uno stile e degli espedienti di sceneggiatura tipici delle fiction. Un mix di realtà e finzione in cui non si capiva più se i personaggi della serie erano persone reali o solo dei personaggi.
Un gran casino, che continuava poi nella serie spinoff nata dopo, The Hills appunto, in cui Lauren Conrad, una delle protagoniste di Laguna Beach e gran gnocca, si trasferiva a L.A., frequentava una prestigiosa scuola di moda (ebbene sì, la ragazza era ed è tutt'ora un’intellettuale) e faceva uno stage presso la rivista Teen Vogue. Tra le sue amiche c’erano la rifattissima Heidi, l’inutile Whitney e poi la bella Audrina.
Grazie a quel programma, Audrina Patridge è diventata una starlette paparazzatissima sui red carpet e ha pure sfoggiato qualche velleità artistica che l’ha portata a recitare, o più che altro a comparire, in filmoni come Patto di sangue, Honey 2 e Scary Movie V. Audrina è però più che altro stata, per un breve periodo, un’icona di stile e oggi fondamentalmente è finita nel dimenticatoio o quasi.

Bene. Tutto chiaro?
Nel caso la risposta sia sì, adesso siete pronti per avventurarvi nella visione di Bling Ring. Nel caso la risposta sia no, lasciate ogni speranza o voi ch’entrate.

"Preferivamo i cuscini di Cannibal Kid, ma sono andati tutti esauriti..."
PREMESSA 2 – IL CINEMA DI SOFIA COPPOLA
Fermi! Un momento ancora. Prima di addentrarci in Bling Ring, è necessaria un’altra premessa, questa volta sulla regista.
Tutti i film di Sofia Coppola parlano in qualche modo della popolarità. Della popolarità e della solitudine che essa porta. Le (più o meno) vergini del suo primo film Il giardino delle vergini suicide erano le ragazze più note e spiate del loro liceo, delle piccole celebrità locali che tutti i ragazzi sognavano. Lost in Translation ci regalava invece un malinconico Bill Murray in versione star depressa e in declino, come effettivamente era anche nella realtà prima del rilancio con il film della Coppola, tanto per proseguire il mix tra reality e fiction che è una costante non solo nel The Hills di cui parlavamo sopra, ma del cinema della regista americana in generale. Cosa d’altra parte inevitabile, per una cresciuta all’interno della famiglia Coppola, la più larga dinastia cinematografica di Hollywood che oltre a Sofia e al padre Francis Ford comprende, tra cugini e parenti, anche i registi in erba Roman e Gia e gli attori Jason Schwarztman e Nicolas Cage. Sì, Nicolas Cage è un attore. Più o meno.
Terzo film, genere completamente diverso. La Coppola jr. si dedica a una pellicola storica in costume, però chi sceglie di raccontarci? La teen Marie Antoinette, pronta più a fare la reginetta di bellezza che non la regina di Francia e di Navarra. Così come anche per le vergini suicide, recluse dagli autoritari genitori, e il Bill Murray che vaga solitario da una camera d’albergo all’altra, anche la sua è una vita lontana dalla gente “vera”.
Che poi cos’è, la gente vera?
Forse quella che sogna di diventare gente finta, gente famosa che vaga solitaria per gli hotel. Proprio come Bill Murray e proprio come lo Stephen Dorff di Somewhere, ultimo passo coppoliano all’interno della vita delle celebrità. Fino a Bling Ring.

FINE DELLE PREMESSE

BLING RING
Eccoci, eccoci. Dopo non una, bensì due premesse, ci siamo. Bling Ring, il nuovo film di Sofia. Oh Sofia, quanto ti voglio bene.
Questa volta, i protagonisti le cui vite ha scelto di narrarci non sono delle celebrità. Sono dei celebrity wannabes, peraltro realmente esistiti, anzi tutt’oggi esistenti. Il confine tra realtà e finzione nel cinema della Coppola è ormai del tutto abbattuto e qui ci racconta una storia basata su fatti reali e ispirata a un articolo di Vanity Fair dal geniale titolo "The Suspects Wore Louboutins". Sono dei ragazzini che roteano intorno all’ambiente losangelino/hollywoodiano delle star, sono figli di producers o di gente in qualche modo comunque ricca e potente, ma vorrebbero qualcosa di più. Andare oltre. Entrare letteralmente dentro la vita dei VIP.
È così che inizia la loro avventura. Sono talmente fissati con le star da fare incidenti e avere guai con la legge come le celebrità. E sono fissati al punto da arrivare a introdursi nelle loro case. All’inizio soltanto per farsi un giro, poi saccheggiandole e portandosi via, via via sempre più roba. Un’escalation criminale che li porterà a diventare discussi sul popolare sito di gossip TMZ e su network alla E! Entertainment, proprio come i divi che derubano e che sono le citate Lindsay, Paris, Megan, Audrina, etc.
È un’estremizzazione della celebrità ai tempi dei social network. Tutto viene condiviso, compreso ogni pensiero subito postato su Twitter e ogni foto pubblicata su Facebook o Instagram, e in cui ogni spostamento viene monitorato dai siti di gossip. Tutto viene condiviso, e allora perché non condividere anche i beni fisici dei propri VIP preferiti? Che poi c’è da discutere su quanto le vittime siano vere vittime. Se Paris Hilton è così idiota da lasciare le chiavi sotto lo zerbino di casa, a un certo punto sono cavoli suoi se viene derubata. Come quelli che sono stati truffati da Vanna Marchi. Sono più vittime, o più scemi?
Tornando al film, questi ragazzi sono allora dei social Robin Hood moderni. Rubano ai ricchissimi, per dare a quelli un po’ meno ricchi, cioè loro. Ed è così che a loro volta diventano famosi come la banda del Bling Ring.
Ma chi sono?
Vediamoli nel dettaglio.

TRA REALTA’ E FINZIONE
C’è Rachel Lee, la tipa orientaleggiante che è anche la leader della band.


Nel film, il suo personaggio si chiama Rebecca ed è interpretata dall’algida rivelazione Katie Chang.


C’è Nick Prugo, il ragazzotto mezzo sfigato che insieme alle sue amichette ladrelle si trasforma in un figo della Madonna. Nella pellicola, si chiama Marc ed è interpretato dall’attore promettente Israel Broussard.


Poi c’è la idola, Alexis Neiers. La superficialona di turno in un gruppo che già di per sé non si distingue certo per un’enorme profondità. Roba che al confronto le tipe di Spring Breakers sono delle ragazze impegnate e con dei valori. Più o meno.


Nella versione fiction, il suo nome è diventato Nicki e il suo volto e il suo corpo sono diventati quelli di una sempre più splendida Emma Watson, che in questo film fa scomparire con una magia ogni ricordo di Hermione e raggiunge nuovi vertici di figosità. Una vera topa d’appartamento.
(aperta parentesi: Emma Watson che tira fuori la lingua batte Miley Cyrus 10 a 0 sul suo stesso campo)


Poi c’è Courtney Ames, nel film Chloe, che da mora è diventata bionda con le splendide sembianze della giovane e pure lei promettentissima attrice Claire Julien.


Quindi c’è Diana Tamayo, una ragazza messicana probabilmente considerata poco glamour, e quindi il suo personaggio è stato tagliato fuori.


Al suo posto, Sofia Coppola ha (giustamente) preferito concentrarsi su un personaggio più cool, Tess Taylor, sorella adottiva di Alexis, diventata poi protagonista di un reality nonché playmate, eletta persino Cyber Girl del 2010 da Playboy. Roba mica da poco.


A portarla sullo schermo è la sempre più brava Taissa Farmiga di American Horror Story, sorellina non adottiva di Vera Farmiga di Bates Motel e L’evocazione – The Conjuring.


Nel grande mix tra realtà e finzione che è questa opera pop firmata dalla figlia di papà più talentuosa del mondo, è poi straniante veder comparire Kirsten Dunst.


Kirsten Dunst nella parte di se stessa in un film di Sofia Coppola?
Anche se lo sapevi già, è come avere la conferma che Babbo Natale non esiste. Cioè, lo sospettavi che si trattasse di finzione, ma non ne sei certo al 100% finché non vedi tuo padre vestito da Santa Claus (non che mio padre l’abbia mai fatto, per la cronaca). Lo stesso lo fa qui la regista. Sofia con questo film butta giù definitivamente la quarta parete, già scalfita con le sue pellicole precedenti. Con Bling Ring, non c’è più una realtà distinta dal cinema, non c’è più una reality separata dalla fiction, c’è solo un tutt’uno confuso che è poi il mondo social-internet-twitteriano in cui viviamo. A meno che non viviate su un albero e cioè, abbelli, ‘ndo state?

LA COLONNA SONORA
Sofia Coppola riflette su queste tematiche con un film leggero, il più leggero e divertito della sua carriera. La regista dirige sempre con il suo curatissimo stile indie, solo questa volta maggiormente contaminato da influenze pop e hip-hop, tanto nei look, quanto nel ritmo cinematografico, quanto naturalmente nella scelta delle musiche.
Quella di Bling Ring sarebbe senza dubbio la colonna sonora più figa dell’anno, di qualunque anno, tranne questo, in cui dovrà vedersela contro un’altra soundtrack enorme come quella di Spring Breakers. Chi la spunterà? La risposta soltanto a fine anno con gli attesissimi (no, eh?) Cannibal Movie Awards 2013.
Per ora, c’è solo di che godere. Da una parte, una selezione hip-hop electro esaltante che comprende Kanye West (fichissimi i protagonisti che camminano sulle note di “Power” quasi fossero gli 88 folli di Kill Bill), Azealia Banks, M.I.A., Rye Rye, 2 Chainz, Rick Ross, Deadmau5, etc. Dall’altra parte Sofia non rinnega le sue radici indie e ci infila dentro pure roba più alternative come Sleigh Bells, Can, Oneohtrix Point Never, Klaus Schulze e naturalmente i Phoenix del suo maritino Thomas Mars.
Ciliegina sulla torta musicale: Gavin Rossdale, il cantante dei Bush, nel film ha una parte come attore. E se la cava. Più o meno.

"Sì, bello l'articolo di Vanity Fair, però ho preferito il post cannibale."
CONCLUSIONI
La storia dei rapinatori di celebrità del Bling Ring non sarebbe potuta essere raccontata in maniera migliore da altri che da lei, Sofia del clan, anzi della famigghia Coppola. Eppure va detto che non tutto funziona in maniera perfetta. La Coppola non sbaglia un colpo e realizza il suo quinto ottimo film di fila, è vero. Solo che qui siamo più sui livelli dell’ultimo Somewhere, rispetto alla grande reinvenzione post-moderna di Marie Antoinette, o ai due capolavori e due tra i miei cult esistenziali assoluti, ovvero Il giardino delle vergini suicide e Lost in Translation.
Rispetto a quelli, al termine della visione si ha la stessa sensazione di quando si viene derubati: è come se mancasse qualcosa. È come se mancasse il tuffo al cuore completo che quei due primi film sapevano provocare, nel loro gentile modo coppoliano. Ciò nonostante, resta un altro splendido tassello nella carriera della regista, per stile narrativo il più vicino alle vergini suicide, con quel suo alternarsi tra interviste e dichiarazioni rilasciate nel presente e il cuore della storia che vive nel passato.
La differenza principale è che questa volta la Coppolina sembra prendere più le distanze dai suoi protagonisti. In passato era stata lei stessa una delle sorelle Lisbon nei sobborghi americani anni ‘70, era stata Charlotte/Scarlett Johansson in viaggio in Giappone, era stata la giovane Marie Antoinette/Kirsten Dunst nella Francia di fine Settecento e la ancor più giovane Cleo/Elle Fanning allo Chateau Marmont di Los Angeles. Questa volta, Sofia entra dentro il Bling Ring, fa qualche giro insieme ai suoi membri, ma poi preferisce guardarli da lontano, come testimonia la scena dell’irruzione in casa di Audrina Patridge, sì ancora lei, osservata attraverso un campo lungo, lunghissimo.

Il vero problemino del film, che gli impedisce di essere un capolavoro ma non gli impedisce nella sua figosità di essere comunque uno dei cult movie dell’anno, è che Bling Ring sale sale e non fa male, ha un buon crescendo, però nel finale, quando dovrebbe colpire più a fondo, quando dovrebbe lì sì fare finalmente male, tira indietro la mano. Non va fino in fondo come il devastante Harmony Korine di Spring Breakers. Più che dell’impeccabile Sofia Coppola, la colpa sembra essere della storia raccontata. Una vicenda estrema, ma in qualche modo innocente. Un romanzo criminale di quelli con i banditi affascinanti alla Bonnie e Clyde, cui però manca una vera svolta drammatica, anche perché i protagonisti non sono dei veri cattivoni. Non sono dei veri ribelli. Sono solo degli storditi, proprio come i rapinati, e vogliono solo quello che (quasi) tutti vogliono: un pezzo di celebrità. Un pezzo della torta. Un pezzo della casa e dei cimeli dei loro idoli. Il loro tessssssssssssssssoro.
(voto 8/10)



sabato 13 luglio 2013

GINNASTE, VITE PARACULE




Ginnaste - Vite parallele
(serie docu-reality)
Rete italiana: Mtv
Ideatori: Carlo Altinier, Stefania Colletta, Antonella Vincenzi
Regia: Sara Ristori
Cast: Carlotta Ferlito, Elisabetta Preziosa, Alessia Scantamburlo, Giulia Leni, Eleonora Rando, Jessica Mattoni e Sara Ricciardi
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Ginnaste, vite parallele.
O diciamo anche: Ginnaste, vite di merda, come indica in maniera più appropriata il sottotitolo della parodia fatta da Caterina Guzzanti nel suo programma La prova dell’otto. Le protagoniste di questa serie docu-reality di Mtv sono delle ragazzine tra i 14 e i 16 anni circa che di professione fanno le ginnaste. E non è una cosa semplice come potrebbe sembrare. Si allenano ore e ore tutti i giorni, per diversi mesi seguono una scuola a parte, in cui spesso si ritrovano a lezione in classi da 2 o 3 persone. Roba che se ti metti a ridere o ti distrai un attimo con il compagno di banco ti sgamano subito. E se vuoi copiare durante un compito in classe, la vedo dura, cara ginnasta. Se a ciò aggiungiamo i normali scazzi, insicurezze e problemi della pre-adolescenza che devono affrontare tutti, ci troviamo di fronte davvero a delle vite di merda. Altroché vite parallele.

Sì, brave, però tiratevela di meno che manco vi sono cresciute ancora le tette.
Il bello di questa serie, non che poi sia così bella, sta proprio qui. Nel vedere come se la passano loro e pensare che c’è qualcuno che sta peggio di te. Ginnaste è insomma niente di più e niente di meno di un guilty pleasure di quelli tipicamente estivi, di marca tipicamente Mtv. Come Jersey Shore, ma con delle bimbeminkia ginnaste al posto dei tamarri (finto)italoammericani.
Una differenza più lieve di quanto si potrebbe immaginare, visto che i dialoghi tra le ragazzine protagoniste sono a livelli base, proprio come quelli di Jersey Shore, oltre che parecchio ingenui. Siamo in pratica ben lontani da una sceneggiatura di Quentin Tarantino, così come le interazioni delle protagoniste con i coetanei sono piuttosto desolanti. Il divertimento massimo di queste ragazze - ma che ragazze? - di queste bambine, o meglio tweens, è guardare video idioti su YouTube e ascoltare canzoni che anche un bimbo di 3 anni considererebbe infantili. Siamo ben lontani dal delirio delle Spring Breakers, insomma.

Il sex symbol maschile della serie.
Raccontata così, questa docu-reality serie o come cazzo vogliamo chiamarla potrebbe sembrare una noia. Lo è. In vari momenti non è certo il massimo del divertimento, ma sempre meglio di deliranti telegiornali che ormai parlano solo del Papa o di Napolitano, o del Papa e di Napolitano contemporaneamente. Nonostante tutti i limiti di un programma del genere, Ginnaste riesce comunque a essere un ritratto della gioventù, mooolto gioventù, di oggi più sincero di tutte le moccianate in circolazione. Accompagnato da una colonna sonora di basso livello per essere un programma di Mtv, in compenso questo Ginnaste ricorda a tratti certi ritratti bambineschi francesi come Tomboy o, se proprio vogliamo esagerare parecchio, dei film di Hayao Miyazaki.


Ah no, ho sbagliato: è lui.
Le protagoniste della serie sono poi decisamente convincenti nella parte di… loro stesse. Il casting fatto è parecchio variegato e riuscito: c’è la super campionessa di turno Carlotta, quella che se la tira un casino perché c’ha le fan che le chiedono gli autografi e l’amicizia su Facebook, poi c’è la goffa rossa Alessia, la bionda sempre sorridente Giulia, e nella seconda e terza stagione (ebbene sì, sono già arrivate alla terza stagione) ne arrivano anche delle altre tanto per cambiare un po’. Sullo sfondo ci sono inoltre i ragazzini della squadra maschile, che ovviamente sono parecchio più immaturi. Le protagoniste, invece, pur avendo un quoziente altissimo di bimbominkiosità, fanno intravedere lampi di maturità qua e là, soprattutto quando si rendono conto di avere delle vite proprio dure. Sono costrette ad allenamenti quotidiani mortali e ciò non le esonera nemmeno dallo studio e dagli impegni scolastici, hanno la possibilità di girare per tutto il mondo ma non è che vedano un granché a parte le palestre e i loro fidi attrezzi, sono allontanate dalle famiglie in tenerissima età manco fossero atlete cinesi, il loro allenatore è simpatico quanto Daimon di Mila & Shiro e insomma: ginnaste, che vite di meeerdaaaaaaaaaaa
(voto 5/10)



sabato 9 febbraio 2013

REALITY SCIO’

Reality
(Italia, Francia 2012)
Regia: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Ugo Chiti, Maurizio Braucci, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso
Cast: Aniello Arena, Loredana Simioli, Raffaele Ferrante, Nando Paone, Claudia Gerini, Nello Iorio, Paola Minaccioni, Ciro Petrone
Genere: neoreality
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Il Grande Fratello ti manda in pappa il cervello.
Su questo semplice assunto è basato Reality, l’ultimo film di Matteo Garrone.
Grazie Mattè, se non c’eri te mica lo sapevamo!

"Il mio uomo deve averlo grosso così!
Ma cosa avete capito? Intendo il cervello..."
Scherzi a parte, tanto per citare un altro programmone entrato nella storiona della televisionona italianona, Reality è una pellicola interessante. A me non piacciono i Reality, ma Reality mi è piaciuto. Abbastanza. Sì, più della gran parte dei film italiani visti negli ultimi mesi/anni. Il suo limite, come anticipato, è che non ci dice niente di nuovo. Viviamo nel presente, viviamo in Italia, sappiamo com’è la situazione. Nemmeno solo in Italia, visto che la reality-mania è una malattia che si è diffusa in tutti o quasi i paesi occidentali o se non altro nei paesi telecentrici. Un male che oggi non si è esaurito del tutto, ma si è semmai tramutato verso una forma più leggera. Il talent-show. I talent-show in linea di massima sono delle discrete porcherie, come o quasi come i reality. Se non altro, almeno nei talent uno deve saper fare qualcosa. Che poi questo saper fare qualcosa corrisponda a far vocalizzi fastidiosi alla Laura Pausini non mi sembra un gran talent, però oh, bisogna accontentarsi. E poi proprio ieri la Pausini è diventata mamma, e quindi non mi va di attaccarla troppo. La lascio tranquilla. Per ora.
Nei reality alla Grande Fratello non è invece richiesto saper fare qualcosa. Anzi, meno sai fare, e meno sai in generale, più probabilità hai di essere preso e diventare un personaggio. I reality sono l’esaltazione dell’uomo medio. Se Nietzsche proponeva la figura del Superuomo, il Grande Fratello propone la figura del medioman. Bella merda. Oppure no?
Secondo la concezione grandefratelliana, chiunque può diventare famoso, da un momento all’altro. Perché? Così, per essere se stessi. Cosa c’è di più democratico di ciò?
I 15 minuti di popolarità predetti dall'oracolo Andy Warhol nel 1968 sono diventati negli Anni Zero un vero e proprio stimolo esistenziale. Obiettivo nella vita: diventare famosi. Famosi non per una capacità particolare. Solo per essere. Solo per apparire. Paris Hilton. Devo dire altro?
Tematiche che sono ancora attuali, sebbene leggermente passate di moda. Ebbene sì, anche la tematica della popolarità sfuggente da reality-show ha vissuto i suoi 15 minuti di gloria e ora è un po’ agli sgoccioli. Quasi fuori tempo massimo, ma non ancora del tutto, arriva quindi questo Reality di Matteo Garrone, fotografia perfetta dell’Italia degli ultimi 10 e passa anni.

Era il 14 dicembre 2000 quando iniziava la prima edizione italiana del Grande Fratello, condotta da Daria Bignardi, l’edizione con Pietro Taricone, Marina La gatta morta La Rosa, Sergio “Ottusangolo” Volpini e vinta poi da tale Cristina Plevani che i più ricorderanno per le sveltine col Taricone. Da allora, il programma ha tristemente segnato l’immaginario collettivo nostrano. Più che una semplice trasmissione è diventata una filosofia esistenziale, un obiettivo per molti da raggiungere. Una volta il sogno era quello di diventare attore, scrittore, astronauta, pilota di formula 1, calciatore magari. Negli Anni Zero l’Italian Dream numero 1 è diventato quello di entrare nella casa del GF. La cosa forse più triste tra tutte dell'epopea di questo programma è stata vedere Cinecittà trasformata da Hollywood de ‘noantri a casa del GF. La cosa più divertente invece è stata Mai dire Grande Fratello.



Anni dopo, lentamente, le cose sono cambiate. Qualcuno dei concorrenti di quell’edizione ha lasciato questo mondo, qualcun altro è semplicemente sparito nel nulla, qualcun altro è tornato da dove era arrivato, qualcun altro chissenefrega e la dodicesima edizione, quella del 2012, si è rivelata un floppone di proporzioni clamorose e potrebbe anche essere l’ultima. Almeno per ora. Tanto che nel 2013, se tutto va bene, se iddio vuole, non avremo grandi fratelli tra i piedi!
Spero solo di non averlo gridato troppo in fretta.

"Te lo confesso, Grande Fratello: Pensieri Cannibali è 'na strunzata!"
Fosse uscito quindi qualche anno fa, Reality sarebbe stato IL Film. Lo specchio riflesso dark dei nostri tempi. Un po’ quello che fa la serie Black Mirror nel Regno Unito (la seconda stagione parte lunedì 11 febbraio). Però è arrivato nel 2012. Io addirittura con ulteriore ritardo l’ho recuperato solo ora nel 2013. Reality racconta quindi una Storia che è già passata. Una favola.
Il film si apre proprio con una piano sequenza da favola. In quel di Napoli si celebra un matrimonio spettacolare, con tanto di sposi in carrozza e tanto di super ospite, Enzo del Grande Fratello, figura che poi diventerà ricorrente, guest-star prezzemolino di qualunque evento sociale, dalle selezioni del GF al centro commerciale fino all’immancabile presenza timbrata in disco.
Luciano (Aniello Arena, in certe inquadrature parecchio simile ad Al Pacino) è un pescivendolo sposato e con figli e sogna di diventare come lui. Sogna di diventare “Luciano del Grande Fratello”. Quando si dice avere obiettivi importanti nella vita.

Matteo Garrone gira con respiro internazionale un film sulla realtà nazionale. Io pensavo: “Oh, finalmente mi guardo un film italiano, senza bisogno di sottotitoli o di doppiaggio. Me lo posso godere così, senza filtri. Come l’ha pensato il suo autore. Capendoci tutto, parola per parola.”
Peccato che nunn’aggio capito ‘nu cazzo. Alcuni dialoghi sono in dialetto stretto napoletano e quindi non è che siano di facile comprensione, tanto che ho cercato sottotitoli in italiano, o persino in inglese per capirci qualcosa di più, ma niente. Al di là della difficoltà per qualche dialogo, soprattutto all’inizio, il film è comunque pienamente fruibile (o quasi) nella sua totalità, e c’è cinematograficamente di che godere nei movimenti di macchina di un Garrone che guarda oltre l’osannato quanto discusso Gomorra ed è un regista sempre più bravo. Da puro incanto poi le splendide musiche composte dal francese Alexandre Desplat, ormai sempre più il numero 1 delle soundtrack mondiali e qui autore di un qualcosa davvero da lacrime, in grado di ricordare il migliore Nino Rota al servizio di Fellini.



"Luciano, ti posso truccare fino a domani, ma non somiglierai mai alla Fico."
Laddove il film funziona meno è nell’evoluzione della vicenda.
ATTENZIONE SPOILERINO
L’ossessione del protagonista nei confronti del Grande Fratello (qui condotto da una Claudia Gerini che fa l’Alessia Marcuzzi di turno, ma senza il bifidus) diventa sempre più profonda e maniacale, al punto da cadere nell’assurdo e sfiorare il ridicolo. Il film non riesce però a proporre una riflessione davvero nuova sugli argomenti che abbiamo sviscerato nell’apertura di post.
FINE SPOILERINO

È la società dell’apparire. È la cultura del Grande Fratello. Tutto è già stato detto, in proposito. Colpa di una sceneggiatura che pur partendo da ottimi spunti non si evolve in qualcosa di davvero efficace. Le sceneggiature d’altra parte sono il tallone d’Achille della gran parte delle produzioni italiane. Di grandi sceneggiatori non ce ne sono molti in giro per il Bel (?) Paese, sarà perché dalle nostre parti non è vista come una figura professionale vera e propria. C’è quasi sempre il regista o l'attore che si improvvisa anche sceneggiatore. Non sempre lo fa altrettanto bene.
A guardare il lato positivo, abbiamo comunque un grande Garrone che ci propone una (anti)favola moderna con uno stile suo, personale. Uno stile che non è neorealista, ma che semmai potremmo definire neoreality. E allora vuol dire che c’è ancora speranza, per il cinema italiano. Mai arrendersi. Never give up.
(voto 7+/10)



venerdì 28 settembre 2012

Cinema alla deriva

"Ciao Alessia, questa settimana nomino Ford. Vuoi una motivazione?
M'ha fatto una capa tanta con tutti 'sti film pseudo autoriali..."
Pensate che una volta spenta la tivì vi possiate liberare dai reality show?
Eh no, abbelli. Dove credete di andare?
Nei cinema italiani questo weekend arrivano i reality, o almeno arriva Reality di Gomorrarrone.
E per i bambinoni cresciuti (male) come il co-commentatore di questa rubrica J. Lo Ford, arrivano anche gli animali cresciuti (male) dell'ennesimo episodio de L'era glaciale, insieme all'ennesimo episodio più morto che vivente dei morti viventi di Resident Evil.
Ma basta con le introduzioni inutili e introduciamoci dentro ai films del weekend.

"Ma quanto dura 'sto sermone di Padre Ford?"
Reality di Matteo Garrone
Il consiglio di Cannibal: finalmente un reality che si può vedere
Un film italiano sulla carta interessante?
Fatemi strabuzzare gli occhi. Sono davvero sveglio? È codesto un sogno o è la reality?
A dirla tutta, dal trailer non è nemmeno che mi susciti tutta la curiosità del mondo, questo Reality, però m’era piaciuta la regia di Matteo Garrone nel Gomorra tanto odiato da Ford e dai Casalesi (non da me, che sono di Casale sì, ma nel Monferrato).
Non lo so, è un’incognita questo film. Potrebbe rivelarsi una boccata d’aria fresca per il cinema italiano, oppure la solita occasione sprecata. E poi un film su un tizio che sogna di entrare nel GF, programma ormai più sorprassato di JF, non arriverà un pochino fuori tempo massimo?
Il consiglio di Ford: la reality è che Garrone è sempre un pochino paraculo, ma potrebbe comunque venir fuori qualcosa di interessante.
Considerata la stagione non certo esaltante del nostro Cinema, il nuovo film di Garrone potrebbe risolevvare almeno un pò le sorti della Terra dei cachi nelle classifiche di fine anno, ma non si può mai
sapere. In fondo, Gomorra non è riuscito neanche per sbaglio ad entrarmi nel cuore - troppo paraculo, da molti punti di vista - dunque andrò con i piedi di piombo rispetto alla storia di un uomo dalle ambizioni così
grandi da voler tentare a tutti i costi di vincere il programma più seguito degli ultimi dieci anni di televisione italiana.
No, non è il Festival di Sanremo e no, non parlo del Cannibale. Speriamo bene.

"Hey, ma non c'è Ford in questa era glaciale?"
"No, lui vive solo nella Preistoria."
L’era glaciale 4 - Continenti alla deriva di Steve Martino, Mike Thurmeier
Il consiglio di Cannibal: cinema alla deriva, grazie a tutti questi sequel
Questi filmini d’animazione ormai si moltiplicano più numerosi dei Ford, che tra poco avrà un pargolo di cui posso svelare in esclusiva mondiale il nome: Jean-Claude Van Ford.
A me di ere glaciali sono bastate quelle avvenute milioni di anni fa, quando James Ford era ancora un ragazzino. E, tra i film, mi è bastato il primo: una pellicoletta davvero modesta, in cui c’era una scena divertente una, quella con Scrat, mentre per il resto mi ha lasciato freddo. D’altra parte che era glaciale sarebbe, altrimenti?
Freddo, come mi lascia negli ultimi tempi Mamma Ford. Da quando ha annunciato ai media di tutto il mondo di essere incinta, mi si è addolcita e ormai non mi fa nemmeno più incazzare come un tempo. Dai cazzo, J. Lo Ford: smettila di andare in giro a comprarti abiti premaman e ripigliati!
Il consiglio di Ford: dopo Madagascar 3, un altro sequel bestialità!
Ancora non del tutto archiviata la delusione di Madagascar 3.
- sinceramente affronto in maniera molto scettica - un pò come quando vado a leggere Pensieri cannibali - questo quarto capitolo del brand L'era glaciale, che a dire il vero dopo il primo non mi ha più sinceramente detto nulla.
Staremo a vedere, anche perchè con l'arrivo di Jean-Claude Van Ford dovrò prepararmi alla visione di centinaia e centinaia di film d'animazione!

"Questo sì che è un sito, mica come quei pudici Pensieri Cannibali e WhiteRussian."
Elles di Malgoska Szumowska
Il consiglio di Cannibal: allez!
Pellicola di produzione francese, e la cosa è positiva, con regista polacca, e la cosa mi puzza un po’ di cinema di noia fordale. E allora: vederlo o non vederlo?
La presenza di Juliette Binoche fa pendere la bilancia dalla parte del vederlo. È un’attrice che non ho mai cagato più di tanto, ma di recente l’ho vista nell’ottimo Copia conforme (prossimamente la recensione su Pensieri Cannibali) e si è rivelata davvero grandiosa. Non so se è stato un exploit casuale, però tenderei a darle fiducia. Anche a Ford concedo la mia fiducia, pensavate il contrario?
Quando voglio vedermi una palla di film, vado sul suo blog con la massima fiducia di trovarne uno, anzi più di uno, e in men che non si dica eccomi soddisfatto.
Soffrite di insonnia? Passate su WhiteRussian e russerete come ghiri!
Il consiglio di Ford: diffidate del Cinema d'autore proposto dal Cannibale.
Se il mio antagonista ha un certo qual talento - almeno ogni tanto - ad indicare serie tv o film da adolescenti che possono rivelarsi delle buone sorprese, rispetto all'autorialità è sempre diversi passi indietro al sottoscritto, probabilmente perchè, come ogni liceale che si rispetti, durante un certo tipo di visione dorme sempre in classe della grossa.
Sinceramente questo film mi pare bollito come la Binoche, che non ne azzecca una dai tempi di Kieslowski, ovvero più o meno da quando sono stato io adolescente, che è dirla tutta!

"Aiuto, un'orda di Fordi viventi vuole costringermi a vedere un film russooooo!"
Resident Evil: Retribution di Paul W. S. Anderson
Il consiglio di Cannibal: un film per zombie, non per cannibali
Quando guardo i film a casa, ogni tanto capita di addormentarmi. Quando il film è uno di quelli consigliati da Ford, è la norma che capiti. Di addormentarmi al cinema, non appisolarmi ma proprio cadere in coma profondo, mi è invece successo una volta sola. Ed è stato con Resident Evil 1.
Il videogame per Playstation mi piaceva anche e mi metteva pure una notevole strizza, ma il film dell’Anderson meno talentuoso del cinema (sì, anche meno di Pamelona Anderson) l’ho trovato sì agghiacciante, ma non per la paura. Questo Retribution cos’è, il quinto capitolo? Se faccio il pieno di caffè e Red Bull mixati insieme magari recupero e mi sparo una maratona di tutti e 4 gli altri episodi.
Ma mi sa di no. Lascio il compito al Ford che lui nel mare delle pellicole noiose ci sguazza alla grande.
Il consiglio di Ford: una retribuzione dovrebbe essere negata a chi produce certe schifezze.
Nonostante abbia adorato almeno i primi capitoli del videogioco ai tempi della prima Playstation, il brand dei film dedicati a Resident Evil mi ha sempre fatto strabuzzare gli occhi dallo schifo, e non credo che questo ennesimo capitolo potrà compiere il miracolo di strapparmi qualcosa di diverso dalle bottigliate.
Saltato a piè pari come i consigli a proposito di bel Cinema del mio antagonista.

"Sono 3 anni che cerco un coinquilino per questo appartamento ad Atene,
ma non ho ancora trovato nessuno. Chissà perché..."
Appartamento ad Atene di Ruggero Dipaola
Il consiglio di Cannibal: considerando l’attuale mercato immobiliare greco, un appartamento ad Atene potrebbe rivelarsi un affare rischioso, quindi che fare? Comprare o non comprare?
Per tutti gli Dei dell’Ol!mpo! Non solo l’immancabile quanto inutile proposta italiana della settimana, ma per di più un film con Laura Morante. Al contrario di Resident Evil, una pellicola con Laura Morante non fa dormire. È talmente nevrastenica, forse persino più di Margherita Buy, che non si riesce a dormire.
Ford è così fuori moda da fare le vacanze adesso, quando non le fa nessuno. Chissà dove andrà? Magari in un appartamento ad Atene. In tal caso, spero che quella schizzata della Morante gli faccia passare una bella vacanza d’inferno! Buahahah
Il consiglio di Ford: Morante in agguato? Quasi peggio del Cucciolo eroico!
Film italiano, ambientazione greca, la Morante: cos'è, un'edizione director's cut della Blog War dedicata ai film più brutti!?
Facciamo che continuo a godermi le ferie e lascio sia il mio rivale per eccellenza a sciropparsi questa roba che si preannuncia assolutamente inguardabile.
Così, come un regalo d'arrivederci! Ahahahahahahah!

"Oh mio Dio, ma tu sei più radical-chic persino del Cannibale!"

The Five-Year Engagement di Nicholas Stoller
Il consiglio di Cannibal: non aspettate 5 anni a vederlo
Commedia romantica prodotta dal buon Judd Apatow, realizzata dalla coppia formata dal regista-sceneggiatore Nicholas Stoller e dall’attore-sceneggiatore Jason Segel, dopo lo spassoso Non mi scaricare e l’un po’ meno riuscito Un viaggio con una rock star.
Ho già visto questo film e devo dire che funziona abbastanza bene la parte romantica, meno quella comica. Un po’ come Ford: è un gran romanticone, nonostante cerchi di spacciarsi invano come un duro, però a far ridere proprio non è capace!
Una visione comunque piacevole e guardabile, al contrario del blog WhiteRussian che meriterebbe un restyling ahahah (cosa che io farò presto con una nuova immagine d’apertura, se il mio grafico di fiducia me la prepara…).
Recensione cannibale prossimamente.
Il consiglio di Ford: con il Cannibale non sono cinque anni, ma la crisi si affronta ogni giorno!
Come chi frequenta il Saloon sa bene, Apatow è uno dei protetti di casa Ford, dunque anche se non sono particolarmente ispirato da questo titolo, potrei quasi sentirmi di consigliarvelo per una visione
leggera e non troppo impegnativa, un pò come la lettura di Pensieri cannibali con le sue recensioni dal target sempre più teen. E se pensate che solo il Cannibale stia lavorando ad un restyling, non
temete: per il compleanno del sottoscritto, come di consueto, anche WhiteRussian cambierà pelle!

domenica 27 maggio 2012

I vincitori del Trofeo Birra Nanni Moretti anche noto come Cannes 2012

Festival di Cannes 2012, sono arrivati i verdetti.
Si è espressa la giuria presieduta quest’anno da Nanni Moretti e composta anche dall’idolo scozzese Ewan McGregor, dalla bonazza crucca Diane Kruger, dal regista Usa più o meno indie Alexander Payne, dal fashionista Jean-Paul Gaultier, dall’attrice francese Emmanuelle Devos, dall’attrice israeliana Hiam Abbass, dalla regista UK Andrea Arnold e dallo sconosciuto (scherzo, è famosissimo, oooh) regista haitiano Raoul Peck.
Ma chi ha vinto?

Palma d'Oro
Amour di Michael Haneke

Grand Prix Speciale della Giuria
Reality di Matteo Garrone

Miglior regista
Carlos Reygadas, Post Tenebras Lux

Miglior attore
Mads Mikkelsen, The Hunt

Migliori attrici
Cosmina Stratan e Cristina Flutur, Beyond The Hills

Miglior sceneggiatura
Cristian Mungiu, Beyond The Hills

Premio della Giuria
The Angels' Share di Ken Loach

Sezione Un Certain Regard (giuria presieduta da Tim Roth)
Miglior film
Después de Lucia di Michel Franco

Premio Speciale della Giuria
Le Grand Soir di Benoit Delepine e Gustave Kervern

Migliori attrici (non è stato premiato nessun attore uomo)
Suzanne Clement, Laurence Anyways e Emilie Dequenne, A perdre la raison

Menzione Speciale
Children of Sarajevo, Aida Begic


Camera d’Or per l'opera prima
Beasts of the Southern Wild di Benh Zeitlin

Premio della settimana della critica
Here and There, directed by Antonio Mendez Esparza



Nanni Moretti ha deciso di premiare Amour dell'austriaco Michael Haneke, già vincitore nel 2009 con lo straordinario Il nastro bianco. Regista che era già il grande favorito dei bookmakers e che di certo il Nanni ha sempre apprezzato parecchio, si veda il beffardo finale di Habemus Papam che io ho trovato molto hanekiano.
Il Nanni ha poi fatto lo sgarro, anzi lo sGarrone agli americani, sbarcati in Normandia sulla Costa Azzurra con forze ingenti, grandi registi, splendidi interpreti, eppure rimasti clamorosamente a bocca asciutta.
Il Nanni ha invece preferito premiare la Romania di Cristian Mungiu e delle due protagoniste del suo film, il Messico di Carlos Reygadas, la Danimarca di Mads Mikkelsen nella pellicola di Thomas Vinterberg, l'Inghilterra di Ken Loach e naturalmente... l'Italia di Matteo Garrone.
Un premio nazionalista che sa di inciucio?
Il verdetto cannibale arriverà solo dopo la visione dei films in concorso, comunque, a scatola chiusa, direi che una vittoria di Haneke ci sta sempre bene.

Per chiudere, la top 10 dei film passati a Cannes che attendo con maggiore curiosità.

10. The Paperboy
Il regista di Precious, Zac Efron che per la prima volta abbandona i balletti di High School Musical e le tragedie amorose dei film tratti da Nicholas Sparks, Nicole Kidman in versione porca...


9. Reality
Dopo Gomorra, Matteo Garrone e i sogni da reality-show...
Prima di preoccuparvi, vi informo che Alessia Marcuzzi NON fa parte del cast.


8. Io e te
Ci sono stati 12 minuti d'applausi al termine della proiezione del nuovo film di Bertolucci, presentato fuori concorso.
Meritati, o sarà stata la solita esaltazione da festival e quando arriverà nelle sale "normali" pioveranno 12 minuti di pernacchie?


"David, guarda che tutte quelle
ragazzine emo sono qui per te!"
7. Cosmopolis
Sta già dividendo parecchio, il nuovo film di David Cronenberg con Robert Pattinson.
Dopo quell'orrore di A Dangerous Method, a bordo di una limo il divin regista avrà ritrovato la diritta via smarrita?
Ultim'ora Ansia: dopo la consegna del premio di miglior attore, le fan di Pattinson twi-hards inferocite pare abbiano trasformato per davvero Mads Mikkelsen in One Eye.


Baaacio! Baaacio! Baaacio!
6. Lawless
Il regista di The Road alle prese con un cast della madocina: Tom (twi)Hardy, Sciaia LaBeouf, Mia Vaginowska, Guy Piercing, Gary Vecchiouomo, Jessica "Santa Subito" Chastain...


"Reese, siamo a Cannes da manco 24 ore e t'ho già messa incinta.
E poi c'è qualcuno che mi chiama McConaugay..."
5. Mud
Il nuovo film di Jeff Nichols, l'autore di quella meraviglia di Take Shelter. Si sarà confermato all'altezza del precedente o meriterà di essere spazzato via da un uragano?


"Pattinson, dì addio alla tua limo!"
4. Holy Motors
Il francese Leos Carax sembra abbia fatto il film più delirante e, forse, geniale, di Cannes 2012...
Tra echi di Lynch e Kubrick, c'è pure Kylie Minogue in versione attrice!
Già destinato a essere considerato senza messe misure un capolavoro o una porcata.


"Sei la vecchina del castello errante di Howl?"
3. Amour
Michael Haneke alle prese con una storia d'amore o meglio d'amour. Cosa diavolo succederà?
Per intanto s'è beccato la Palma d'Oro.
Bravò!


2. Laurence Anyways
Dopo lo stu-pen-do Les amours imaginaires, il giovanissimo fenomeno Xavier Dolan è atteso alla conferma.
La protagonista Suzanne Clément s'è cuccata il premio di miglior attrice (a pari merito con Emilie Dequenne per "À perdre la raison") nella categoria Un Certain Regard e il trailer promette faville...


"Dove minchia è, Cannes?"
1. Moonrise Kingdom
Wes Anderson mi è sempre piaciuto, però ho anche sempre avuto l'impressione che il suo vero capolavoro debba ancora tirarlo fuori. Sarà questo?


"Le opinioni cannibali? Bah!"
Fuori classifica: The Master di Paul Thomas Anderson.
Il film (vagamente?) ispirato a Scientology del regista di Magnolia e Il petroliere non era in Concorso a Cannes, ma sulla Croisette ne sono stati comunque presentati alcuni minuti, ben 4, più il teaser trailer. Eccolo qui.
Sento puzza di filmone. Oppure mi sta prendendo fuoco la casa?

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