mercoledì 11 agosto 2010

La spiaggia (atto I)

Notte. Sarà notte per tutto l’anno. E quando ci alzeremo, tu mi dirai: “Ho ancora sonno. Restiamo a letto.” Verrà la luce, fuori. Sarà l’alba di un nuovo giorno. Il futuro correrà verso di noi. Ci sfiorerà il viso. Sorriderà come sanno fare solo i bambini. Con innocenza. La musica riempirà le nostre orecchie, arrivando da tutte le parti. Saremo inondati dalla bellezza e saremo felici per sempre.

“Hai sentito?” sussurra Katie. È bella, anche se a questo punto della storia poco importa. Il suo destino è già segnato. Un proiettile le accarezzerà i lineamenti gentili del viso e la renderà uno di quegli scherzi della natura che non ti scoperesti neanche per una scommessa finita male con gli amici. Una di quelle scommesse da ubriachi al bar. Una di quelle che se perdi e non accetti la punizione, diventi lo sfigato della compagnia. Ma meglio sfigato della compagnia che a letto con quel mostro.
“Almeno vivrà ancora?” vi starete chiedendo. O forse no. A questo punto della storia non siete ancora abbastanza affezionati al personaggio. Vi ho solo detto che è bella. Questo sarà bastato ad alcuni di voi, i più superficiali, per affezionarsi a lei. È a loro che mi rivolgo dicendo che sì, Katie vivrà. Contenti? Come se vivere in quelle condizioni si potesse considerare una cosa per cui valga la pena gioire. Vergogna. Che la vergogna cada su di voi. Avreste dovuto desiderare la sua morte, così sarebbe stata ricordata per sempre nella mente di tutti come Katie la bella. Non come Katie lo scherzo della natura.

“Non ho sentito niente. Stavo dormendo,” risponde Craig. Non è vero. Non sta dormendo. Patetico bugiardo. Sono giorni che ha un tarlo sullo stomaco. Un tarlo divoratore di stomaci, per la precisione. Non puoi chiudere occhio, con un tarlo divoratore che ha preso affitto nel tuo stomaco. Nemmeno puoi cacciarlo via. La casa è tua ma lui ha firmato un regolare contratto. Salvo gravi inadempienze sarebbe un reato spedirlo via di casa. Paga tutti i mesi la retta con regolarità. È un buon inquilino. Uno di quelli che dici: “Cazzo. Dove lo trovo un altro che l’ultimo del mese mi paga già l’affitto per il mese successivo?” Finisci per volergli bene, a un inquilino così. Lo consideri quasi un tuo amico. Non un amico con cui andresti al bar ad ubriacarti e a fare scommesse che se poi le perdi ti devi infilare nelle mutandine di qualche donna-mostro. Un amico con cui andresti a vedere un film impegnato. Una cosa tipo “l’ultimo di Michael Haneke”. Oppure “il film d’esordio dal più grande talento del cinema vietnamita degli ultimi 150 anni.” E sorrideresti quando, dopo tre ore di film in bianco e nero accompagnato da illegibili sottotitoli minuscoli, lui ti dirà: “Secondo me è una boiata pazzesca. E comunque non è che ci sia tutta sta gran fila, per essere il nuovo talento del cinema vietnamita.” E da lì in poi finireste a bere al bar, a scommettere, a scoparvi donne-mostro, eccetera eccetera.

“Potresti andare a controllare, per favore?” chiede Katie. Sa che qualcosa non va. Più che saperlo, lo sente. È una cosa che ha sempre avuto. Chiamatelo sesto senso, se volete. Chiamate l’esorcista, se preferite. Nulla cambierà la realtà. Questa è una cosa che Katie ha sempre avuto dentro. Vi sta ancora simpatica, Katie la bella? O comincia a sembrarvi strana? Una persona di quelle da cui stare alla larga perché portano un po’ sfiga? Figuratevi quando non sarà più nemmeno bella. La gente la eviterà come la peste. "Katie lo scherzo della natura e Katie la portasfiga," così la chiameranno tutti.
“Vado, vado,” fa Craig alzandosi svogliatamente dalla sicurezza del suo letto. Sempre a fare quello che dice lei. Chi li porta i pantaloni, in casa?
Lei, naturalmente!
La cosa a Craig non va più bene. Prima non gli pesava particolarmente. Ci aveva fatto l’abitudine. Adesso cominciava ad esserne infastidito. Da quando aveva cominciato ad uscire con il tarlo e a considerarlo il suo nuovo migliore amico e ad abbandonare tutti gli altri vecchi amici con cui prima andava al bar a ubriacarsi e a fare casino in giro. Certe cose avevano smesso di andargli bene.

“Hey, stai attento,” consiglia Katie. Come se Craig non lo sapesse da solo che la situazione richiede un’attenzione estrema.
Uno sparo. “Hai sentito, adesso?” chiede Katie.
“Certo che ho sentito, non sono mica sordo,” Craig sta decisamente perdendo il controllo di se stesso, della sua lingua e probabilmente anche le chiavi dell’auto. Dove sono finite? Rifletti, Craig. Le avrai messe nel solito posto.
No, sul comodino del salotto non ci sono.
“Le avrà prese lui?” ti stai chiedendo. O è il tarlo che te lo sta chiedendo? Certe volte il tarlo parla con un tono di voce talmente simile al tuo che ti è difficile distinguere quando parla lui e quando parli tu. Avere la voce come quella di un tarlo. Te lo saresti immaginato il giorno in cui hai detto: “Sì, lo voglio,” guardando Katie negli occhi, perso in tutto quell’amore?
Un altro sparo. Cristo, la situazione potrebbe anche essere peggiore di quella immaginata da Katie con i suoi poteri da sensitiva fallita. Il giorno del matrimonio Katie la bella era ancora più bella del solito. Risplendeva di luce materna, ma il piccolo Jamie allora era solo un feto di tre mesi e nemmeno ancora si chiamava Jamie e la pancia di Katie per fortuna non rovinava ancora le forme perfette del suo corpo in salute.
L’eco del secondo sparo si confonde con il suono netto del terzo sparo. Katie non riesce a trattenersi. Salta giù dal letto, corre verso le scale, si dirige alla porta e scrive il suo nuovo destino di scherzo della natura. “Resta lì,” le suggerisce Craig. Ma lei non gli dà ascolto. Quindi per adesso lasciamola perdere. Tanto il suo patetico destino è segnato. Katie la bella non esiste già più. È solo una fantasia malata nata nel vostro cervello di lettori con troppa immaginazione sprecata. Cominciate ad abituarvi all’idea di Katie lo scherzo della natura.

Torniamo a Craig. Non trova le chiavi della macchina. Tutti quei sonniferi devono avergli creato qualche contrattempo con la memoria. A volte dimentica le cose. Adesso però non è così fondamentale. Dimentica le chiavi, Craig. Dimenticati l’auto. Gli spari si sentono bene quindi non arrivano da lontano. Saranno a meno di 500 metri. Certo, con la macchina avresti fatto prima, saresti stato al sicuro e al calduccio e forse le cose sarebbero cambiate. Il destino tuo, di Katie e di Jamie magari avrebbe preso una piega diversa se tu avessi trovato le chiavi della macchina. O forse no. È una cazzo di utilitaria, mica un carro armato. In fondo lo sai che le cose non sarebbero potute andare diversamente. È tutto andato talmente troppo oltre, che non avresti potuto cambiare il futuro nemmeno se ti fossi ritrovato improvvisamente con i poteri di Clark Kent. Non ti sono nemmeno mai piaciuti, i supereroi. Non sarebbe stato giusto se i poteri fossero arrivati proprio a te anziché, ad esempio, a Kris, il ragazzo nerd che faceva collezione di fumetti e che si faceva infilare la testa nella tazza del cesso per il tuo divertimento personale in prima superiore.

Senza auto e senza superpoteri, Craig sta correndo veloce verso l’epicentro degli spari. Certo che quei chili messi su da quando tu e l’amico tarlo avete deciso di rimpinzarvi come porci a pranzo e andare fuori a riempirvi di birra tutte le sere dopo cena hanno rallentato parecchio la tua corsa. Eri un campione, al liceo. Eri il Campione, al liceo. Oltre a infilare la testa di qualche ragazzo con la passione per i fumetti nel cesso, eri il più bravo a lanciare la palla ovale. Dicevano che quel braccio magico ti avrebbe portato all’università ma tu poi hai deciso di mandare tutto a puttane per fare cosa? Diventare uno scrittore.
No, dico. Ti saresti infilato la testa nel cesso da solo, appena un paio di anni prima. Quand’ecco che ti sei innamorato di questa ragazzotta di città carina e tutto, per carità, ma valeva davvero la pena cambiare il tuo modo di vivere? Lei ti parlava di tutti quegli autori, di tutti quei libri che tu non avevi mai nemmeno sentito nominare. Ti faceva venire una gran voglia di diventare un secchione, quella ragazza. Ti faceva venire una gran voglia anche di qualcos’altro, certo. Ma per quello hai dovuto aspettare parecchio, chè lei era ancora vergine. Hai abbandonato la squadra di football, hai cominciato a divorare libri come un topo da biblioteca e alla fine l’hai conquistata. Non con i muscoli, ma con l’intelletto. Bravo Clark Kent.

“Smettila, Jamie,” si mette a gridare Craig al campetto da basket di fronte casa. Cerca di comportarsi da padre, per una volta. Cosa che non gli è riuscita mai molto bene.
Jamie tiene saldo il dito sul grilletto, non spostando il mirino di un solo millimetro dal suo obbiettivo. “Non devi farlo per forza,” continua a gridare Craig. Sarà a meno di dieci metri dal figlio e non la smette di urlare. Dio, che fastidio le persone che urlano senza ragione. La situazione è complicata, questo nessuno lo mette in dubbio. Però la vogliamo smettere di gridare?
Craig abbassa il tono della voce, perché a volte le preghiere per fortuna a qualcosa servono, e dice dolce al figliolo: “Ti voglio bene, Jamie. Sei il mio bambino. Tutto quello che hai fatto e che farai non cambierà mai questo.” Va bene smettere di urlare. Grazie, Craig. Però così ci vorrai mica far commuovere tutti? Non è questo il genere. Se volete delle sdolcinate alla Nicholas Sparks avete sbagliato non solo libro, ma proprio libreria.

(domani il conclusivo atto II)

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