lunedì 30 settembre 2013

THE LORD OF THE BLING RING




Bling Ring
(USA, UK Francia, Germania, Giappone 2013)
Titolo originale: The Bling Ring
Regia: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Ispirato all’articolo: The Suspects Wore Louboutins di Nancy Jo Sales e basato su eventi reali
Cast: Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson, Claire Julien, Taissa Farmiga, Leslie Mann, Gavin Rossdale, Georgia Rock, Annie Fitzgerald, Erin Daniels, Kirsten Dunst, Paris Hilton
Genere: celebre
Se ti piace guarda anche: Bully, Spring Breakers, Le belve


"Chi è Audrina Patridge?
Ah già, sono io!"
PREMESSA 1 – CHI E’ AUDRINA PATRIDGE?
Il mondo è cambiato. Lo sento nell'acqua. Lo sento nella terra. Lo avverto nell'aria. Molto di ciò che era si è perduto, perché ora non vive nessuno che lo ricorda. Tutto ebbe inizio con la forgiatura dei grandi Anelli.
Stop! Un momento: quali anelli? Quelli di Tolkien?
No, qui gli anelli e tutti gli altri gioielli, vestiti stilosi, oggetti di lusso sono quelli di Paris Hilton, Lindsay Lohan, Audrina Patridge. Che poi Paris e Lindsay le conoscono tutti. La prima è famosa per essere famosa, la seconda era famosa per essere un’attrice promettente e adesso lo è più che altro perché combina un casino dietro l’altro. Se non conoscete loro due, guarderete questo Bling Ring con gli occhi sbarrati, non sapendo di cosa si parla. Se non conoscete Audrina Patridge tranquilli, è normale, però significa che potreste non essere del tutto preparati per un film del genere. Intendo a livello (s)culturale. Io ad esempio mi sento impreparato quando vedo un film come A Serious Man, o un qualsiasi altro dei fratelli Coen, che impregnano le loro pellicole di riferimenti alla Bibbia. Io quel best-seller ai tempi della sua uscita me lo sono perso e ai tempi del catechismo ero distratto, quindi la maggior parte delle loro citazioni bibliche mi sfuggono.
Riguardo al mondo raccontato in Bling Ring, quello delle celebrità di Hollywood, sono invece ferratissimo, e voi? Nel film vengono menzionate le già menzionate Lindsay e Paris, più Orlando Bloom, sua moglie Miranda Kerr, Megan Fox, Rachel Bilson e Audrina Patridge. Ecco, Audrina Patridge. Se non avete idea di chi è, potrebbe non essere il film che fa per voi. Prima di disperare, cercherò di spiegarvelo io, come se parlassi con un bambino piccolo o con un golden retriever [Margin Call cit.].

Audrina Patridge è stata la star di un reality-show, The Hills. Fino a qui, tutto semplice. Solo che The Hills non è un reality di quelli tipici alla Grande Fratello. È un po’ più complicato di così.
Facciamo un passo indietro. The Hills nasce come spinoff di Laguna Beach. Laguna Beach era una serie reality di Mtv che ci proponeva la “vera” vita dei ragazzi di Orange County, in California, solo che per farlo usava anche uno stile e degli espedienti di sceneggiatura tipici delle fiction. Un mix di realtà e finzione in cui non si capiva più se i personaggi della serie erano persone reali o solo dei personaggi.
Un gran casino, che continuava poi nella serie spinoff nata dopo, The Hills appunto, in cui Lauren Conrad, una delle protagoniste di Laguna Beach e gran gnocca, si trasferiva a L.A., frequentava una prestigiosa scuola di moda (ebbene sì, la ragazza era ed è tutt'ora un’intellettuale) e faceva uno stage presso la rivista Teen Vogue. Tra le sue amiche c’erano la rifattissima Heidi, l’inutile Whitney e poi la bella Audrina.
Grazie a quel programma, Audrina Patridge è diventata una starlette paparazzatissima sui red carpet e ha pure sfoggiato qualche velleità artistica che l’ha portata a recitare, o più che altro a comparire, in filmoni come Patto di sangue, Honey 2 e Scary Movie V. Audrina è però più che altro stata, per un breve periodo, un’icona di stile e oggi fondamentalmente è finita nel dimenticatoio o quasi.

Bene. Tutto chiaro?
Nel caso la risposta sia sì, adesso siete pronti per avventurarvi nella visione di Bling Ring. Nel caso la risposta sia no, lasciate ogni speranza o voi ch’entrate.

"Preferivamo i cuscini di Cannibal Kid, ma sono andati tutti esauriti..."
PREMESSA 2 – IL CINEMA DI SOFIA COPPOLA
Fermi! Un momento ancora. Prima di addentrarci in Bling Ring, è necessaria un’altra premessa, questa volta sulla regista.
Tutti i film di Sofia Coppola parlano in qualche modo della popolarità. Della popolarità e della solitudine che essa porta. Le (più o meno) vergini del suo primo film Il giardino delle vergini suicide erano le ragazze più note e spiate del loro liceo, delle piccole celebrità locali che tutti i ragazzi sognavano. Lost in Translation ci regalava invece un malinconico Bill Murray in versione star depressa e in declino, come effettivamente era anche nella realtà prima del rilancio con il film della Coppola, tanto per proseguire il mix tra reality e fiction che è una costante non solo nel The Hills di cui parlavamo sopra, ma del cinema della regista americana in generale. Cosa d’altra parte inevitabile, per una cresciuta all’interno della famiglia Coppola, la più larga dinastia cinematografica di Hollywood che oltre a Sofia e al padre Francis Ford comprende, tra cugini e parenti, anche i registi in erba Roman e Gia e gli attori Jason Schwarztman e Nicolas Cage. Sì, Nicolas Cage è un attore. Più o meno.
Terzo film, genere completamente diverso. La Coppola jr. si dedica a una pellicola storica in costume, però chi sceglie di raccontarci? La teen Marie Antoinette, pronta più a fare la reginetta di bellezza che non la regina di Francia e di Navarra. Così come anche per le vergini suicide, recluse dagli autoritari genitori, e il Bill Murray che vaga solitario da una camera d’albergo all’altra, anche la sua è una vita lontana dalla gente “vera”.
Che poi cos’è, la gente vera?
Forse quella che sogna di diventare gente finta, gente famosa che vaga solitaria per gli hotel. Proprio come Bill Murray e proprio come lo Stephen Dorff di Somewhere, ultimo passo coppoliano all’interno della vita delle celebrità. Fino a Bling Ring.

FINE DELLE PREMESSE

BLING RING
Eccoci, eccoci. Dopo non una, bensì due premesse, ci siamo. Bling Ring, il nuovo film di Sofia. Oh Sofia, quanto ti voglio bene.
Questa volta, i protagonisti le cui vite ha scelto di narrarci non sono delle celebrità. Sono dei celebrity wannabes, peraltro realmente esistiti, anzi tutt’oggi esistenti. Il confine tra realtà e finzione nel cinema della Coppola è ormai del tutto abbattuto e qui ci racconta una storia basata su fatti reali e ispirata a un articolo di Vanity Fair dal geniale titolo "The Suspects Wore Louboutins". Sono dei ragazzini che roteano intorno all’ambiente losangelino/hollywoodiano delle star, sono figli di producers o di gente in qualche modo comunque ricca e potente, ma vorrebbero qualcosa di più. Andare oltre. Entrare letteralmente dentro la vita dei VIP.
È così che inizia la loro avventura. Sono talmente fissati con le star da fare incidenti e avere guai con la legge come le celebrità. E sono fissati al punto da arrivare a introdursi nelle loro case. All’inizio soltanto per farsi un giro, poi saccheggiandole e portandosi via, via via sempre più roba. Un’escalation criminale che li porterà a diventare discussi sul popolare sito di gossip TMZ e su network alla E! Entertainment, proprio come i divi che derubano e che sono le citate Lindsay, Paris, Megan, Audrina, etc.
È un’estremizzazione della celebrità ai tempi dei social network. Tutto viene condiviso, compreso ogni pensiero subito postato su Twitter e ogni foto pubblicata su Facebook o Instagram, e in cui ogni spostamento viene monitorato dai siti di gossip. Tutto viene condiviso, e allora perché non condividere anche i beni fisici dei propri VIP preferiti? Che poi c’è da discutere su quanto le vittime siano vere vittime. Se Paris Hilton è così idiota da lasciare le chiavi sotto lo zerbino di casa, a un certo punto sono cavoli suoi se viene derubata. Come quelli che sono stati truffati da Vanna Marchi. Sono più vittime, o più scemi?
Tornando al film, questi ragazzi sono allora dei social Robin Hood moderni. Rubano ai ricchissimi, per dare a quelli un po’ meno ricchi, cioè loro. Ed è così che a loro volta diventano famosi come la banda del Bling Ring.
Ma chi sono?
Vediamoli nel dettaglio.

TRA REALTA’ E FINZIONE
C’è Rachel Lee, la tipa orientaleggiante che è anche la leader della band.


Nel film, il suo personaggio si chiama Rebecca ed è interpretata dall’algida rivelazione Katie Chang.


C’è Nick Prugo, il ragazzotto mezzo sfigato che insieme alle sue amichette ladrelle si trasforma in un figo della Madonna. Nella pellicola, si chiama Marc ed è interpretato dall’attore promettente Israel Broussard.


Poi c’è la idola, Alexis Neiers. La superficialona di turno in un gruppo che già di per sé non si distingue certo per un’enorme profondità. Roba che al confronto le tipe di Spring Breakers sono delle ragazze impegnate e con dei valori. Più o meno.


Nella versione fiction, il suo nome è diventato Nicki e il suo volto e il suo corpo sono diventati quelli di una sempre più splendida Emma Watson, che in questo film fa scomparire con una magia ogni ricordo di Hermione e raggiunge nuovi vertici di figosità. Una vera topa d’appartamento.
(aperta parentesi: Emma Watson che tira fuori la lingua batte Miley Cyrus 10 a 0 sul suo stesso campo)


Poi c’è Courtney Ames, nel film Chloe, che da mora è diventata bionda con le splendide sembianze della giovane e pure lei promettentissima attrice Claire Julien.


Quindi c’è Diana Tamayo, una ragazza messicana probabilmente considerata poco glamour, e quindi il suo personaggio è stato tagliato fuori.


Al suo posto, Sofia Coppola ha (giustamente) preferito concentrarsi su un personaggio più cool, Tess Taylor, sorella adottiva di Alexis, diventata poi protagonista di un reality nonché playmate, eletta persino Cyber Girl del 2010 da Playboy. Roba mica da poco.


A portarla sullo schermo è la sempre più brava Taissa Farmiga di American Horror Story, sorellina non adottiva di Vera Farmiga di Bates Motel e L’evocazione – The Conjuring.


Nel grande mix tra realtà e finzione che è questa opera pop firmata dalla figlia di papà più talentuosa del mondo, è poi straniante veder comparire Kirsten Dunst.


Kirsten Dunst nella parte di se stessa in un film di Sofia Coppola?
Anche se lo sapevi già, è come avere la conferma che Babbo Natale non esiste. Cioè, lo sospettavi che si trattasse di finzione, ma non ne sei certo al 100% finché non vedi tuo padre vestito da Santa Claus (non che mio padre l’abbia mai fatto, per la cronaca). Lo stesso lo fa qui la regista. Sofia con questo film butta giù definitivamente la quarta parete, già scalfita con le sue pellicole precedenti. Con Bling Ring, non c’è più una realtà distinta dal cinema, non c’è più una reality separata dalla fiction, c’è solo un tutt’uno confuso che è poi il mondo social-internet-twitteriano in cui viviamo. A meno che non viviate su un albero e cioè, abbelli, ‘ndo state?

LA COLONNA SONORA
Sofia Coppola riflette su queste tematiche con un film leggero, il più leggero e divertito della sua carriera. La regista dirige sempre con il suo curatissimo stile indie, solo questa volta maggiormente contaminato da influenze pop e hip-hop, tanto nei look, quanto nel ritmo cinematografico, quanto naturalmente nella scelta delle musiche.
Quella di Bling Ring sarebbe senza dubbio la colonna sonora più figa dell’anno, di qualunque anno, tranne questo, in cui dovrà vedersela contro un’altra soundtrack enorme come quella di Spring Breakers. Chi la spunterà? La risposta soltanto a fine anno con gli attesissimi (no, eh?) Cannibal Movie Awards 2013.
Per ora, c’è solo di che godere. Da una parte, una selezione hip-hop electro esaltante che comprende Kanye West (fichissimi i protagonisti che camminano sulle note di “Power” quasi fossero gli 88 folli di Kill Bill), Azealia Banks, M.I.A., Rye Rye, 2 Chainz, Rick Ross, Deadmau5, etc. Dall’altra parte Sofia non rinnega le sue radici indie e ci infila dentro pure roba più alternative come Sleigh Bells, Can, Oneohtrix Point Never, Klaus Schulze e naturalmente i Phoenix del suo maritino Thomas Mars.
Ciliegina sulla torta musicale: Gavin Rossdale, il cantante dei Bush, nel film ha una parte come attore. E se la cava. Più o meno.

"Sì, bello l'articolo di Vanity Fair, però ho preferito il post cannibale."
CONCLUSIONI
La storia dei rapinatori di celebrità del Bling Ring non sarebbe potuta essere raccontata in maniera migliore da altri che da lei, Sofia del clan, anzi della famigghia Coppola. Eppure va detto che non tutto funziona in maniera perfetta. La Coppola non sbaglia un colpo e realizza il suo quinto ottimo film di fila, è vero. Solo che qui siamo più sui livelli dell’ultimo Somewhere, rispetto alla grande reinvenzione post-moderna di Marie Antoinette, o ai due capolavori e due tra i miei cult esistenziali assoluti, ovvero Il giardino delle vergini suicide e Lost in Translation.
Rispetto a quelli, al termine della visione si ha la stessa sensazione di quando si viene derubati: è come se mancasse qualcosa. È come se mancasse il tuffo al cuore completo che quei due primi film sapevano provocare, nel loro gentile modo coppoliano. Ciò nonostante, resta un altro splendido tassello nella carriera della regista, per stile narrativo il più vicino alle vergini suicide, con quel suo alternarsi tra interviste e dichiarazioni rilasciate nel presente e il cuore della storia che vive nel passato.
La differenza principale è che questa volta la Coppolina sembra prendere più le distanze dai suoi protagonisti. In passato era stata lei stessa una delle sorelle Lisbon nei sobborghi americani anni ‘70, era stata Charlotte/Scarlett Johansson in viaggio in Giappone, era stata la giovane Marie Antoinette/Kirsten Dunst nella Francia di fine Settecento e la ancor più giovane Cleo/Elle Fanning allo Chateau Marmont di Los Angeles. Questa volta, Sofia entra dentro il Bling Ring, fa qualche giro insieme ai suoi membri, ma poi preferisce guardarli da lontano, come testimonia la scena dell’irruzione in casa di Audrina Patridge, sì ancora lei, osservata attraverso un campo lungo, lunghissimo.

Il vero problemino del film, che gli impedisce di essere un capolavoro ma non gli impedisce nella sua figosità di essere comunque uno dei cult movie dell’anno, è che Bling Ring sale sale e non fa male, ha un buon crescendo, però nel finale, quando dovrebbe colpire più a fondo, quando dovrebbe lì sì fare finalmente male, tira indietro la mano. Non va fino in fondo come il devastante Harmony Korine di Spring Breakers. Più che dell’impeccabile Sofia Coppola, la colpa sembra essere della storia raccontata. Una vicenda estrema, ma in qualche modo innocente. Un romanzo criminale di quelli con i banditi affascinanti alla Bonnie e Clyde, cui però manca una vera svolta drammatica, anche perché i protagonisti non sono dei veri cattivoni. Non sono dei veri ribelli. Sono solo degli storditi, proprio come i rapinati, e vogliono solo quello che (quasi) tutti vogliono: un pezzo di celebrità. Un pezzo della torta. Un pezzo della casa e dei cimeli dei loro idoli. Il loro tessssssssssssssssoro.
(voto 8/10)



domenica 29 settembre 2013

BENVENUTO DEFICIENTE!




"Come attore sono una scarpa, ma nelle grigliate non mi batte nessuno!"
Benvenuto Presidente!
(Italia 2013)
Regia: Riccardo Milani
Sceneggiatura: Fabio Bonifacci
Cast: Claudio Bisio, Kasia Smutniak, Beppe Fiorello, Remo Girone, Cesare Bocci, Massimo Popolizio, Patrizio Rispo, Gianni Cavina, Piera Degli Esposti
Genere: populista
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Siamo alle solite. In Italia le cose non cambiano mai. Vale per la politica, lo stesso vale per il cinema.
Cinema???
Perché, Benvenuto Presidente! sarebbe cinema?
No. Benvenuto Presidente! è una favoletta moralista che parte persino da buone intenzioni: mostrare un’alternativa onesta ai politici che infestano e hanno infestato l’Italia da… sempre. Il problema è che come al solito la realtà dei fatti supera gli intenti satirici. Era già capitato col terribile Qualunquemente di Antonio Albanese, la cosa fondamentalmente si ripete anche qui. History repeating. La situazione politica italiana è talmente tragicomica di suo, che riuscire a sdrammatizzarci sopra è dura. Soprattutto quando a farlo è Claudio Bisio, uno che non mi fa ridere manco per sbaglio, oltre che uno cresciuto a pane e Mediaset. E sentire la predica fatta da uno che senza i soldini del Berlusca oggi sarebbe in mezzo a una strada non è proprio il massimo della vita.

"Sarò un Presidente umile...
Da oggi però chiamatemi Dio."
E pensare che lo spunto da cui prende il via la vicenda non è nemmeno tanto male e non è manco così irrealistico. Le ultime elezioni del Presidente della Repubblica non sono andate in fondo in maniera tanto differente. Nella realtà, i partiti si sono accordati per votare quel matusalemme di Napolitano. Nella fiction, pardon nel film, decidono invece di votare Giuseppe Garibaldi. L’ironica votazione ha però un vero valore legale e così il nuovo Presidente della Repubblica è l’unico Giuseppe Garibaldi in età per poter svolgere il compito, ovvero il pescatore di un piccolo paesino Giuseppe Garibaldi, soprannominato Peppino e interpretato da Claudio Bisio.
Una volta che occuperà la prestigiosa carica di Presidente della Repubblica, Peppino farà le cose a modo suo. In maniera maldestra all’inizio, ma poi troverà la sua strada, con una politica più che onesta. Quasi da Santo. Al punto che avrebbe fatto rivoltare lo stomaco persino a Gandhi e a Madre Teresa di Calcutta. Per carità, non sarebbe male avere davvero un Presidente così, però qui forse si esagera persino, in zuccherosi livelli di bontà.

"Dici che vestito così posso passare per Presidente della Repubblica?"
"Per Presidente può darsi, per attore no di sicuro."
Al di là della satira politica prevedibile e all’acqua di rose, che prende per i fondelli senza troppa cattiveria sia Destra che Sinistra e strizza pure l’occhiolino al populismo del Movimento 5 Stelle, a mancare è soprattutto un’altra cosa, quella cosa di cui parlavamo all’inizio. Il Cinema. Qui dentro non si sente puzza di Cinema, come invece capita con commedie francesi disimpegnate come 20 anni di meno e Dream Team. Nelle produzioni dei nostri cugini, anche quelle più leggere, si nota una notevole cura nei particolari, nei dettagli, nelle interpretazioni. In Benvenuto Presidente! si respira invece aria di fiction televisiva a pieni polmoni.
Colpa anche di un’interpretazione imbarazzante di Bisio, che tira fuori tutto il suo repertorio di faccette e di gag sceme. Una vicenda grottesca (ma non troppo) del genere l’avrei vista meglio nelle mani e nella fisicità di un Roberto Benigni. Per quanto pure lui abbia stufato, in un ruolo come questo avrebbe sicuramente fatto un figurone al confronto del “collega”. Un po’ come a Sanremo. Benigni bene o male nei suoi interventi riesce a tenere desta l’attenzione, mentre Bisio quest’anno, con il suo monologo moraleggiante molto vicino allo stile di questa pellicola, è riuscito a raggiungere il punto più basso del Festival. E sì che di punti bassi a Sanremo c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Non va meglio neppure con il resto del cast, con una Kasia Smutniak che è più decente quando si trova ad avere a che fare con parti drammatiche, mentre la commedia proprio non le si addice. Poi c’è Giuseppe Fiorello, anche (s)conosciuto come Beppe Fiorello, nella parte del politico senza scrupoli. E giù risate non perché è divertente, ma per la sua solita pessima performance recitativa. Il dramma è che, anziché prendere spunto dai colleghi americani o britannici o francesi, i “nostri” attori recitano come se fossero sempre in una soap-opera, con un uso costante del sospirato. E il sospirato è la morte del cinema.

Che altro? Non bastava la vicenda politica e così c’è anche un’immancabile improponibile storiella d’amore tra Bisio e la Smutniak, con tanto di ridicole (ma non comiche come vorrebbero essere) scene di sesso violento e improbabili proposte di nozze dopo appena una notte passata insieme. Ma che davero?
Bevenuto Presidente! è un film talmente moralista, populista, buonista che a fine visione ti viene voglia di andare ad attaccare barattoli alle code dei gatti, uscire per strada sognando che sia La notte del giudizio, auto infliggerti una cura Ludovico a suon di visioni ininterrotte di Arancia Meccanica. Perché avere dei politici onesti sarebbe splendido, nella realtà. Ma vederne uno all’opera in una fiction, pardon in un film, è un’esperienza agghiacciante. Malvenuto Presidente!
(voto 4-/10)

"Un voto superiore al 3? Direi che è ancora andata bene..."


sabato 28 settembre 2013

BYZANTIUM, LE CIUCCIASANGUE




Byzantium
(UK, USA, Irlanda 2012)
Regia: Neil Jordan
Sceneggiatura: Moira Buffini
Ispirato all’opera teatrale: A Vampire Story di Moira Buffini
Cast: Saoirse Ronan, Gemma Arterton, Sam Riley, Jonny Lee Miller, Caleb Landry Jones, Daniel Mays, Glenn Doherty, Gabriela Marcinkova, Maria Doyle Kennedy
Genere: vampiresco
Se ti piace guarda anche: Lasciami entrare, Intervista col vampiro, Amabili resti, Franklyn

Una pellicola con Saoirse Ronan e Gemma Arterton in versione vampire?
Ma questo senza nemmeno vederlo è il miglior film sui succhiasangue di tutti i tempi!
Un po’ come Under the Skin, nonostante le critiche piovute al Festival di Venezia, solo perché sfoggia Scarlett Johansson in versione aliena, e a quanto pare pure nuda, è fin da ora il miglior film sugli alieni mai girato nella storia dell’universo.
Tralasciando per il momento Scarlett, per Byzantium l’impresa di risultare il miglior film sui vampiri di sempre, o almeno degli ultimi anni, non è che sia poi nemmeno così proibitiva. Di pellicole vampiresche davvero memorabili, a parte il Dracula di Bram Stoker cioè di Francis Ford Coppola, io personalmente non ne ho viste parecchie. In compenso ho visto tante saghe ridicole come quelle di Twilight, Underworld e Blade.
Ah già, poi c’è quel gioiellino svedese di Lasciami entrare, ma per il resto a prevalere sono le schifezze. Cosa ci riserverà or dunque questo Byzantium, oltre alle due splendide protagoniste?


La prima cosa che va notata è che siamo lontani anni luce dalle più recenti e cool, almeno nelle intenzioni degli autori, rappresentazioni dei vampiri. Nonostante la protagonista sia una teen, non siamo per fortuna dalle parti di Twilight. Sarà che già solo la presenza di una Saoirse Ronan anziché di una Kristen “Kristo quanto skazzo ho addosso” Stewart regala al tutto ben altro spessore, si veda anche The Host. La vicenda narrata guarda poi, anziché all’oggi, alle storie gotiche del passato: “E’ come se Edgar Allan Poe e Mary Shelley si sposassero e avessero una bambina molto strana”, tanto per citare una frase del film. A raccontare la storia di come lei e la madre Gemma Arterton sono diventate della vampire è la stessa Saoirse.
Avete capito bene: Gemma Arterton in questo film non è solo una vampira, ma è anche una mamma MILF. In più per guadagnarsi da vivere fa la stripper e la prostituta. Ovvero, Gemma Arterton in questo film è LA DONNA IDEALE.


Il film è molto giocato sui contrasti: figlia tranquilla/mamma zoccola, umani/vampiri, realtà/visioni, passato/presente. A fare da collante tra la vicenda ambientata nel presente e i numerosi flashback del passato è Saoirse Ronan. La giovanissima attrice irlandese è ormai specializzata in ruoli in cui è divisa tra due realtà, come in Amabili resti in cui vede la vita passarle davanti senza di lei, o nel già citato The Host in cui è un’aliena intrappolata dentro il corpo di un’umana (o viceversa? non mi ricordo). Se a ciò aggiungiamo il fatto che le due protagoniste di Byzantium sono costantemente in fuga, proprio come succedeva alla protagonista di Hanna, solo che loro scappano da un pericoloso ordine di vampiri maschilisti che gli dà la caccia, questa è una pellicola parecchio ma parecchio ronaniana. Lo zampino del regista Neil Jordan è ben presente e qui torna a un racconto molto vicino alle parti della sua celebre hit anni ‘90 Intervista col vampiro, anche per via della presenza di una vampira giovanissima, qui Saoirse Ronan, là una fenomenale Kirsten Dunst. Eppure questo Byzantium, ancor più di un film jordaniano, appare come un tassello omogeneo al resto della filmografia dell’attrice. A 19 anni, la piccola grande Saoirse riesce con la sua sola presenza a mettere dentro a una pellicola un suo tocco personale, quante altre interpreti anche più anziane possono dire lo stesso?


Al di là di Intervista col vampiro o dei precedenti di Saoirse Ronan, la pellicola che questo Byzantium ricorda più da vicino è Lasciami entrare, che in apertura di post segnalavo come il film sui succhiasangue più interessante degli ultimi anni e non solo. Anche qui i ritmi sono lenti e anche qui la tematica del vampirismo è presente in maniera poco esplicita, più che altro è un’ombra scura che si stende sulla vicenda e fa capolino qua e là. Sono due film timidi, Lasciami entrare e Byzantium. Due film poco urlati, poco sfacciati, che non puntano a un romanticismo da terza media come la saga di Twilight, né al soft porno finto trasgressivo di una serie tv caduta in disgrazia come True Blood, nonostante la presenza di una Gemma Arterton super sexy.

Byzantium dalla sua possiede allora un fascino sottile, sconosciuto a molti colleghi con i denti affilati recenti. Solo perché Twilight e le ultime serie di True Blood sono delle porcherie, non bisogna però gridare al capolavoro. È vero, Byzantium è uno dei migliori film vampireschi visti da parecchio tempo a questa parte, però non è esente da qualche difettuccio. Innanzitutto, si prende persino troppo sul serio e, dopo Buffy, un pizzico di ironia e umorismo non possono mancare in una buona storia sui ciucciasangue che si rispetti. Io almeno li pretendo. La vicenda del passato non è poi è così originale e l’ordine dei vampiri che dà la caccia alle protagoniste è piuttosto ridicolo. Se Saoirse Ronan e Gemma Arterton si impongono con la loro presenza e con i loro personaggi su tutto il film, i maschietti della pellicola fanno invece, e la cosa forse è anche voluta, la figura delle statuine: Jonny Lee Miller, il Sick Boy di Trainspotting, è lo stereotipatissimo stronzetto di turno, Sam Riley, Ian Curtis in Control, è parecchio anemico come vampiro figo della situazione, e il promettente Caleb Landry Jones, androgino protagonista di Antiviral, avrebbe meritato un maggiore spazio, invece il suo personaggio rimane sullo sfondo per quasi tutta la durata.

I ritmi lenti della pellicola invece non li annoterei tra i difetti. La relativa mancanza di azione, pure presente in un paio di scene – tra l’altro le meno riuscite – è compensata da una densità narrativa notevole. Non perfetto, non un capolavoro, forse un po’ freddino a livello emotivo, e lo dice uno che al solo vedere Saoirse Ronan è pronto a piangere come una fontanella dalla commozione, ma Byzantium è comunque una delle “cose” vampiresche più intriganti degli ultimi anni. Merito del film di per sé, o solo del fatto di essere uscito in un’epoca ancora così maledettamente twilightiana?
(voto 7/10)

"Ti avevo avvertito che Twilight non dovevi menzionarlo manco per scherzo!"




Post pubblicato anche su L'OraBlù, con il minimal poster vampiresco ideato da C[h]erotto.


venerdì 27 settembre 2013

LA FINE DI DEXTER




Il finale di Dexter è
***ATTENZIONE SPOILER***
una merda
***FINE SPOILER***

Dexter
(serie tv, stagione 8)

D’ora in poi, “Fare la fine di Dexter” potrebbe diventare sinonimo di “Fare una brutta fine” ed essere usata in frasi di uso comune, come "Bambini, attenti che se continuate così fate la fine di Dexter".
Un sacco di serie peggiorano nel corso del tempo. Quando si tira le cose troppo per le lunghe, d’altra parte, è inevitabile. Il primo e più evidente caso si è avuto con Happy Days: quando alla quinta stagione gli autori, che ormai non sapevano letteralmente più che pesci pigliare, decisero di far saltare Fonzie con gli sci nautici sopra a uno squalo, quello fu il momento in cui la serie era ormai giunta a un punto di non ritorno nello schifezzometro. Da allora in poi "Salto dello squalo" è l'espressione che si usa per definire una serie che si è ormai smerdata. Dexter è stata una di quelle serie che hanno subito lo stesso sventurato destino.
Partita in maniera interessante, sebbene con qualche debito di troppo nei confronti dell’American Psycho di Bret Easton Ellis, di cui rappresentava una versione più seriosa, la serie c’ha messo un po’ a carburare. Ma poi ce l’ha fatta. Prima di crollare definitivamente.

All’indomani della conclusione di uno dei telefilm più amati dell’ultimo decennio, è allora lecito porsi una domanda: qual è stata l’importanza di Dexter all’interno del panorama televisivo?
Dexter è stato fondamentalmente un personaggio rivoluzionario inserito all’interno di una serie non poi così rivoluzionaria. I vari episodi e le varie stagioni sono infatti state costruite come una leggera variante del crime procedural classico. Laddove in quello di solito l’episodio si conclude con la cattura e l’arresto dell’assassino, qui invece troviamo il criminale nelle mani del protagonista. Più che nelle mani, avvolto nel nylon da Dexter, il serial killer dei serial killer. Non il tipico protagonista di una serie, eppure in grado poco a poco di risultare simpatico, o più o meno simpatico, nei confronti dello spettatore.
Lo schema da crime tipico è stato seguito dagli episodi soprattutto all’inizio, mentre più in là le trame hanno cominciato a svilupparsi maggiormente in orizzontale, puntando ad approfondire la psicologia del protagonista e puntando forte anche sul “cattivone” stagionale. Ed è proprio da questo villain che è dipesa ogni volta la maggiore o minore riuscita delle varie season. Non a caso il miglior ciclo di episodi, il quarto, coincide proprio con il cattivo più pericoloso e inquietante, Trinity, interpretato da un magistrale John Lithgow, mentre la serie è scaduta nel ridicolo totale nel corso della sesta stagione, per colpa della inverosimile coppia di villain di turno, il pivello Travis (Colin Hanks, figlio raccomandato di Tom) e il Prof. Gellar.
La serie ha vissuto quindi alti e bassi, con il vertice assoluto - in positivo - toccato nel finale raggelante della quarta stagione, quando Dexter ritrova il cadavere della sua amata Rita (Julie Benz) in uno dei cliffhanger più sconvolgenti mai visti. Nelle ultime tre stagioni, a partire proprio da quella con Mignolo, pardon Travis e il Prof., c’è però stato un calo qualitativo impressionante nelle sceneggiature, con una ripetitività nelle situazioni e l’inserimento di poco convincenti svolte in territori da soap-opera, con Dex conteso tra la la sua sboccata sorellastra Debra (Jennifer Carpenter) in tragici momenti incestuosi e la sventolona bionda Hannah (Yvonne Strahovski).
Pensate al Dexter dei primissimi tempi. Del sesso non gliene importava nulla. Tutto quello che voleva fare era uccidere uccidere uccidere. Poi è arrivata lei…


E persino Dexter non ha più capito nulla. C’è poco da fare, anche se sei un serial killer vale il detto: tira più un pelo di figa, che un carro di sangue.
La serie si è così trasformata da così...




A così: un incrocio tra Dawson's Creek...


e True Blood...


Prima di crollare con le ultime stagioni, Dexter il personaggio ha però rappresentato qualcosa di davvero nuovo e unico all’interno del panorama seriale, in maniera analoga al Dr. House, anch’esso un personaggio fenomenale protagonista di una serie per il resto non sempre convincente e portata avanti in maniera discontinua.
Un personaggio come Dexter si sarebbe quindi meritato un finale migliore, magari come quello splendido avuto proprio dal Dr. House. Persino una serie come Gossip Girl, che nel corso degli anni ha disintegrato ogni limite del ridicolo, con l’ultimo episodio è riuscita a trovare una sua quadratura, a ricollegarsi alle sue origini e a dare una chiusura più o meno coerente con il suo spirito iniziale.

***ATTENZIONE DA QUI IN POI SPOILER SULL'OTTAVA STAGIONE***
Cosa che gli autori di Dexter non sono riusciti a fare, lasciando andare il telefilm alla deriva come il protagonista nella penultima scena. Che si fosse conclusa lì, in mezzo al mare, sarebbe stata una fine schifosa, ma ancora ancora quasi decente.
Invece no. Invece è arrivata l’ultimissima sequenza, con Dexter ritiratosi a vita privata, a fare tipo il camionista. WTF???

Un finale più appropriato secondo me avrebbe dovuto mostrarci un Dexter ambiguo, un Dexter pronto ancora a uccidere, con una scena che ce lo presentava lì lì sul punto di ammazzare qualcuno e poi… the end, cala il sipario, lasciandoci incerti. Dexter ucciderà ancora, oppure frenerà i suoi istinti?
O non sarebbe stato male vedere Dexter catturato. O ancora vedere Dexter che si costituisce, ammette finalmente i suoi crimini e si prende le sue responsabilità. Io, personalmente, come ideale conclusione l’avrei fatto friggere sulla sedia elettrica. Un finale giustizialista per una serie giustizialista.

Il finale scelto dagli autori ci lascia invece un Dexter in versione martire, che ha sacrificato tutto per amore del figlio, e ancora ci può stare, e di Hannah, una pazza assassina che agli inizi della serie non avrebbe esitato a far fuori a sangue freddo e a cui invece affida il suo bimbo. Hanno voluto dare a Dexter un finale alla Pinocchio, con il burattin… pardon il serial killer che finalmente diventa umano. Una scelta in linea con la filosofia tipica dell’American way of life che tutti possono cambiare, persino gli psyco assassini, ma poco in linea con quella che era la serie, almeno nei primi tempi.
Una scelta discutibile, per di più realizzata in maniera pessima, con degli effetti speciali da far rimpiangere Sharknado, e buttata lì in maniera frettolosa, dopo aver sprecato l’intera stagione con trame ripetitive e sottotrame inutili. La vicenda di Masuka (C.S. Lee) che scopre di avere una figlia, ad esempio, l’hanno messa lì malaccio, come riempitivo, e poi? Nell’ultima puntata Masuka dove cazzo è finito?
Lo so che era un personaggio minore, però potevano fargli fare qualcosa, fargli dire una battutina, a lui che era il personaggio simpa della serie. Invece niente.
Noi comunque lo ricorderemo così...


e così...


È anche da questi piccoli dettagli, che poi tanto piccoli non sono, che si capisce come gli autori abbiano sprecato tutto con noncuranza. Altra piccola cosa: perché la canzone che la dottoressa Vogel (Charlotte Rampling) ascolta sempre è "Make Your Own Kind of Music", pezzo anni '60 di Mama Cass Elliot già riportato in auge da Lost, dove era suonato in vari episodi? Con tutte le canzoni del mondo, proprio una usata da un'altra serie, tra l'altro non proprio sconosciuta?
Dettagli a parte, sono pure le questioni centrali a essere state gettate nel cesso: vogliamo parlare della fine che fanno fare alla povera Deb? Un momento sta bene e quello dopo è un vegetale. Ma ‘ndo stiamo? In una puntata di Grey’s Anatomy?
Per non dire del modo in cui Dexter porta via il suo cadavere sotto gli occhi di tutti. Vabbè che c’è un tornado in arrivo, però possibile che mai nessuno si accorga di niente? E come si fa a credere che una sventolona ricercata come Yvonne Strahovski riesca pure lei a passare inosservata, senza manco fare lo sforzo di cambiare colore di capelli o indossare un cacchio di paio di occhiali? Capisco la sospensione dell’incredulità, ma a Miami sono tutti storditi come le Pretty Little Liars? 

Se vogliamo essere generosi, l’ottava stagione non è nemmeno stata del tutto da buttare e sotto certi aspetti ha rappresentato un lieve miglioramento rispetto alle disastrose season 6 e 7. Il cattivone di turno (interpretato dall'attore islandese Darri Ingolfsson), il figlio con gli occhi da cocainomane più che da psicopatico della soporifera Vogel, anche questa volta è stato pessimo piuttosto che no, eppure se non altro si è scaduti meno sui sentieri del trash.
Nonostante una stagione mediocre, era comunque lecito sperare che almeno per l’ultima puntata ci sarebbe potuta essere una chiusura degna. E invece…
Invece è arrivato un finale in cui persino lo stesso Michael C. Hall pare rimanerci male, con quello sguardo svuotato.


Certo, poteva andare ancora peggio. Poteva esserci un happy ending con Dexter in Argentina a ballare il tango. Però diciamo che, tra tutti i finali possibili, quello scelto è stato il secondo peggiore. A pensarci bene, in fondo in fondo allora forse è una conclusione coerente con il comportamento del protagonista. Gli autori hanno ucciso la serie in maniera spietata. Sono loro i veri killer, altroché Dexter.
(voto all’ottava stagione 4,5/10
voto al series finale 3/10)

"Dopo aver letto questa recensione, potrei tornare a uccidere!"

giovedì 26 settembre 2013

ARCTIC MONKEYS, FRANZ FERDINAND E NIN SALVERANNO NONNO ROCK?




“Dottore, dottore. Mi dica, come se la passa il mio Nonno Rock?”
“Come vuoi che se la passi, figliolo? Il Rock è ormai come la Sinistra italiana: un malato terminale in attesa dell’estrema unzione.”
“Oh caccio, Dottore. Possibile che non ci sia più niente da fare?”
“Proprio niente niente, no. Proviamo con 3 delle ultime band che forse hanno ancora qualcosa da dire. Ascoltiamoci un po’ i loro nuovissimi album, leggiamoci le recensioni di Pensieri Cannibali e vediamo se questi gruppi riusciranno a salvarlo.”

Nine Inch Nails “Hesitation Marks”
Bello, il nuovo album dei Nine Inch Nails di Trent Reznor.
Sì, bello schifo.
(voto 4/10)

"Ragazzi, tutti pronti per andare a punire il Cannibale?"



“Mi spiace figliolo, il primo tentativo è fallito. Passiamo al secondo.”

Franz Ferdinand “Right Thought, Right Words, Right Action”
Il nuovo disco dei Franz Ferdinand sarebbe esaltante. Se solo fosse ancora il 2004. O se solo fosse ancora piena estate. Arrivato così alle porte dell’autunno, è un ascolto piacevole ma nulla più.
Right Thought, Right Words, Right Action, but wrong timing.
(voto 6/10)

"No, fermi! Prendiamocela con Cannibal, non tra di noi."



“Niente da fare, figliolo. I Franz Ferdinand c’hanno provato, ma non ce l’hanno fatta.”
“Oh mio Dio e adesso?”
“Facciamo ancora un ultimissimo tentativo.”

Arctic Monkeys “AM”
Le scimmiette artiche sanno il fatto loro, va riconosciuto. Alex Turner è uno dei migliori autori della sua generazione e lo conferma in una serie di splendidi pezzi, su tutti le ballad da favola “No. 1 Party Anthem” e “Mad Sounds” (quest’ultima con un’apertura stile “Tender” dei Blur), l’ipnotica “Do I wanna Know?”, l’esaltante “R U Mine” e la piacevolmente pop e saltellante “Why’d You Only Call Me When You’re High?”. Qua e là compare qualche piacevole sebbene leggerissima influenza hip-hop nei ritmi, però per il resto le scimmiette proseguono nell’evoluzione naturale del loro solito sound. Hanno tirato fuori un bel disco, un altro bel disco, eppure c’è qualcosina che non convince del tutto… Sono proprio i pezzi più tradizionalmente rock’n’roll ad apparire un po’ debolucci, come il sound generico da Virgin Radio di “I Want It All”, o qualche momento ancora troppo derivativo nei confronti dei Queens of the Stone Age del loro santino musicale Josh Homme. Nel complesso un buon album, uno dei migliori in ambito rock dell’anno, ma non un album così importante o fondamentale, visto che non sposta di un centimetro i confini della musica rock, anche perché la band non sembra avere la minima intenzione di farlo.
L’impressione è allora che Alex Turner, con le sue scimmiette o con il progetto parallelo Last Shadow Puppets o pure in versione da solista come per la soundtrack di Submarine, possa fare ancora di meglio di così.
(voto 7+/10)

"Noi non ci muoviamo, siamo troppo infighettati per sporcarci le mani con il sangue cannibale."



“Ma allora, Dottore? Almeno gli Arctic Monkeys sono riusciti a salvare Nonno Rock?”
“Difficile dirlo con certezza. L’hanno riportato a una forma splendida? No, quello no. Però se non altro gli hanno dato un po’ d’ossigeno. Forse per qualche mese, facciamo per qualche settimana, anzi diciamo qualche giorno, può ancora tirare avanti. Come la Sinistra italiana.”


SCONTRO SUL (BLING) RING DEL CINEMA




"Io con il furto a casa di The Rock non c'entro niente.
E' Ford che ci teneva a entrare nella casa del suo mito..."
Questa settimana si ritorna a fare sul serio. Arriva nei nostri cinema Bling Ring della Sofia Coppola e si preannuncia come un appuntamento da non perdere, che il film piaccia o meno.
Per il resto c’è qualcosina d’altro che potrebbe non essere male e poi c’è il Male.
Non mi riferisco al mio blogger rivale Mr. Ford, che continua a infestare questa altrimenti magnifica rubrica sulle uscite cinematografiche con i suoi pareri non richiesti.
Mi riferisco a Moccia.
Il male.
Lo schifo.
La fine del mondo?
No, la fine del cinema.

"Ma porca pupazza, quanto ancora c'è da aspettare per la rece cannibale?"
Bling Ring di Sofia Coppola
Il consiglio di Cannibal: tutti sul (bling) ring della Coppola, non sul ring del wrestler Ford
A questo film dedicherò un post molto abbondante, quindi per il momento non dico niente.
Nell’attesa della recensione cannibale, andate a vedervi il film che poi ne riparliamo.
L’opinione di Ford?
Francamente me ne infischio.
Il consiglio di Ford: dovrò sfoderare le bottigliate più toste mai viste su un ring? O gli occhi faranno "bling bling"?
Il film della Coppola è una delle scommesse più incerte della stagione: conoscendo la storia della regista, potrebbe rivelarsi una sòla da competizione o una sorpresa clamorosa.
Un po’ come fu per Spring breakers.
The bling ring mi avrà sorpreso allo stesso modo? Restate sintonizzati e presto lo saprete!

"Il mondo sta per finire. Vuol dire che anche WhiteRussian finirà, evviva!"
La fine del mondo di Edgar Wright
Il consiglio di Cannibal: il mondo finirà solo dopo un sanguinoso scontro tra Ford e Cannibal
Terzo capitolo della cosiddetta trilogia del cornetto firmata da Edgar Wright e interpretata da Simon Pegg e Nick Frost, dopo L’alba dei morti dementi e Hot Fuzz. Per quanto mi ispiri simpatia, per quanto si rivelerà certamente divertente, in giro non mi sembra di aver sentito un grosso entusiasmo nei confronti di questo apocalittico terzo episodio, anche da parte dei fans hardcore del trio britannico. Allora è proprio il caso di dire, con una di quelle frasi fatte che tanto piacciono alle persone anziane e quindi anche a Ford: mi sa che questo film non sarà la fine del mondo. Comunque una visione ci sta tutta!
Il consiglio di Ford: la fine di Cannibal, ovvero la prossima Blog War.
La premiata ditta Wright/Pegg/Frost gode da tempo dello status di leggenda del Saloon grazie a quelle due meraviglie di Shaun of the dead e Hot fuzz, vere e proprie pietre miliari del genere che ad ogni visione riescono a farmi rotolare a terra dalle risate come la prima volta.
Inutile dire che il terzo ed ultimo capitolo della trilogia del cornetto è atteso da queste parti come pochi altri titoli in questo periodo, e la speranza è che mantenga gli standard - altissimi - dei primi due: se così fosse, potrei perfino dimenticare tutte le castronerie che escono dalla penna del Cannibale ogni settimana.

"Da quando esiste quel blog, non bevo più white russian.
Portatemi una Cochina Light, per favore."
Redemption – Identità nascoste di Steven Knight
Il consiglio di Cannibal: per Ford non ci può essere nessuna redemption
Questa potrebbe non essere la classica porcheria action cui Jason Statham, dopo i fasti degli spettacolari Crank, ci ha ormai abituati negli ultimi anni. A firmare la regia c’è infatti Steven Knight, che quest’anno ha girato anche Locke con Tom Hardy, uno dei film più apprezzati all’ultimo Festival di Venezia, dov’è stato presentato, se non sbaglio come di solito fa Ford, fuori concorso.
Questo Redemption promette di essere di un action più intimista dei soliti, vagamente in stile Refn e potrebbe essere una discreta sorpresa. Anche se il fatto che possa piacere pure a Ford rientra tra i suoi punti deboli.
Il consiglio di Ford: una redemption è impossibile, per un caso disperato come Peppa Kid.
Personalmente, ho trovato questo film una vera - e piacevole - sorpresa.
Il nostro Jason Statham - in assoluto l'unico, vero, action hero di questi anni - presta legnate, fisicità e carisma ad una tamarrata più riflessiva del solito, ottimamente realizzata e clamorosamente sopra le righe almeno in un paio di occasioni, che hanno reso l'attore inglese ancora più expendable agli occhi del sottoscritto.
Non sarà il film dell'anno, ma nel suo genere rappresenta senza dubbio una delle cose migliori viste di recente.
Recensione fordiana a brevissimo.

"Ma nooo! Dovevate colpire la casa di Ford, non la nuova dimora cannibale!"
Sotto assedio – White House Down di Roland Emmerich
Il consiglio di Cannibal: White Russian Down
Per un action thriller che potrebbe sorprendere in positivo come Redemption, eccone un altro che potrebbe rivelarsi o una porcata di medio livello, o una porcata epocale. Spero più la seconda, visto che di porcheruole solo medie ultimamente in giro ce ne sono già troppe, come il recente R.I.P.D.. Qui ci troviamo di fronte a un potenziale nuovo Attacco al potere – Olympus Has Fallen, con in più la regia di squalità di Roland Emmerich, esperto di schifezze fracassone numero 2, subito dietro all’idolo fordiano Michele Baia. Non è nemmeno malvagio il cast, capitanato dal più espressivo degli attori inespressivi ovvero Channing Tatum, ma la puzza di americanata sovrasta persino l’odore di Ford dopo che è stato sommerso dai pannolini sporchi del Fordino.
Il consiglio di Ford: Cannibal Kid down.
Lo spettro dell'agghiacciante Attacco al potere - Olympus has fallen aleggia pesantemente su questo lavoro del catastrofico - in tutti i sensi - Emmerich, che promette di essere una delle cose più americane - nel senso brutto del termine - della stagione.
L'unica speranza è che il tutto sia stato preso con una discreta dose di ironia, e che dunque si finisca per vedere l'ennesimo giocattolone a stelle e strisce parzialmente innocuo.
Staremo a vedere.
Nel frattempo, non considero tanto innocuo il fatto di temere questo titolo almeno quanto lo starà temendo Radical Kid.

"Piuttosto che vedere il nuovo film di Moccia, sono venuta a lezione di corsa!"
Universitari – Molto più che amici di Federico Moccia
Il consiglio di Cannibal: Io e Moccia – Molto più che nemici
Negli ultimi tempi Ford si sta rammollendo e addolcendo sempre di più, e così io sono alla costante ricerca di altri nemici da combattere. E sconfiggere. Con Vasco ormai messo peggio persino di Ford, con Michael Bay che si mette in testa di fare il Cinema d’Autore, con Berlusconi che ormai è più noioso di un film di Wong Kar-wai, è ora di rispolverare il mio antico odio antimocciano. Federico Moccia, er pejo der pejo. A suo modo comunque una garanzia: quando vorrò massacrare un film, mi piazzerò su Universitari – Molto più che amici, e così io e Moccia torneremo ad essere più nemici di me e Ford.
Il consiglio di Ford: Io e Cannibal - Amici per Moccia
Moccia, uno dei peggiori insulti al Cinema mai esistito, è uno dei pochi registi in grado di spingere il sottoscritto e Peppa Kid dallo stesso lato della barricata per combattere le oscenità che porta in sala.
Questo Universitari, ovviamente, non sarà da meno: io ed il mio antagonista usuale, dunque, potremmo per l'occasione organizzare una bella Blog War anti-Moccia.

Un gruppo di giovani che non troverà mai più un lavoro.
Vittime della crisi?
No, hanno in curriculum un film di Moccia.

"Ti ha mandato un messaggio Ford?"
"Ma figurati: Ford don't text!"
Sarebbe stato facile di Graziano Salvadori
Il consiglio di Cannibal: sarebbe stato facile prendersela con il cinema italiano, anzi lo è davvero
Basta guardare il trailer. Ma ‘sta roba può essere considerato un film?
Sembra un video amatoriale, di quelli brutti, caricato da un ragazzino che usa per la prima volta la macchina da presa e poi, tutto eccitato, pensando di aver realizzato un capolavoro, lo carica su YouTube. Amici e parenti possono guardarlo e fargli pure i complimenti, l’intero pubblico nazionale però se lo può anche risparmiare. Se a demolire Moccia o qualche opinione dell’altro mondo di Ford ci provo gusto, con una roba del genere sarebbe troppo facile e non mi darebbe nemmeno una particolare soddisfazione. Quindi, caro “regista” Salvadori, mi sa che per ora sei salvo.
Il consiglio di Ford: vedere questo film è un'impresa tutt'altro che facile.
Fortunatamente questa settimana le uscite estere danno un po’ di respiro a noi poveri italioti, perchè dopo Moccia arriva una cosa che arrivare a definire film riesce davvero difficile.
E scrivere un parere in merito quasi impossibile.
Passo oltre, e faccio finta di non essere mai venuto a conoscenza dell'uscita di questo "titolo".

"Lo sai che il titolo originale di questa pellicola è L'inconnu du lac?"
"Allora è un film sardo, altroché francese..."
Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie
Il consiglio di Cannibal: Ford, lo sconosciuto di Lodi
Un thriller francese a tematica gay? Azz, sembra una cosa piuttosto originale.
Un film originale che esce nelle nostre sale?
C’è quasi da aver il sospetto che ci sia qualcosa sotto, come quando Ford tira fuori una opinione più o meno condivisibile. Le possibilità di avere una visione se non altro curiosa e diversa dalle solite in ogni caso ci sono, poi se il film sarà effettivamente “un capolavoro” come definito da Libération (non ho mica detto WhiteRussian) è tutta un’altra storia…
Il consiglio di Ford: Marco Goi, lo sconosciuto di Casale.
Come spesso accade quando si tratta di Cinema francese, ci troviamo di fronte ad un titolo potenzialmente interessante in grado di farci rimpiangere di essere nati da questa parte delle Alpi.
Non sarà in cima alla mia lista di visioni per questa settimana, ma senza dubbio il Saloon aprirà le sue porte al lavoro di Guiraudie appena possibile.
Aprirebbe le porte per una bevuta anche a Peppa Kid, ma quello se ne sta sempre rinchiuso in cameretta con il suo migliore amico, il Coniglione Donnie.

"Piuttosto che vedere il nuovo film di Moccia,
pure noi siamo venuti a scuola di corsa!"
Vado a scuola di Pascal Plisson
Il consiglio di Cannibal: oggi non vado a scuola, oggi chiodo!
Dal titolo, sembra un film horror.
Invece no, è un documentario francese che racconta le drammatiche storie di un gruppo di bambini di varie parti del mondo, tra cui il povero Fordino da Lodi, costretto a crescere con i miti di Hulk Hogan, Schwarzy e Europe manco fossimo ancora negli anni Ottanta. Preparate i fazzoletti, vi aspetta una visione davvero commovente.
Il consiglio di Ford: tornare a scuola? Volentieri, ma solo potendo sfogare un po’ di bullismo su Cannibal!
La classe, firmato da Cantet qualche anno fa, era stato una sorpresa magnifica, ed onestamente porto ancora i segni di quella visione: considerata la qualità cui i nostri cugini transalpini ci hanno riservato negli ultimi anni, potrei quasi pensare di aggiungere questo nome alla lista, quasi sicuro di non rimanere deluso.
Staremo a vedere.
Intanto mi consolo con il fatto che a deludermi sempre resteranno le opinioni del mio sgradito compare Kid.


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