Prima di vedere i dischi del mese, ecco a voi la playlist di Pensieri Cannibali, che questo ottobre è dedicata ad... Halloween.
Prevedibile?
Forse, ma non potevo fare a meno di regalarvi una selezione musicale perfetta per questi giorni di spaventosa festa. Ecco a voi This Is Halloween. Un ascolto da brividi.
Album del mese
RosGos "In This Noise"
Genere: crepuscolare
Consigliato in particolare a: chi ama la musica senza troppi fronzoli
Se dico l'essenziale a voi cosa viene in mente? La canzone di Marco Mengoni?
A me d'ora in poi verrà invece in mente questo nuovo disco di Maurizio Vaiani alias RosGos. Meno celebre rispetto al collega, non può vantare ben due vittorie al Festival di Sanremo come lui - che poi siamo sicuri ci sia da vantarsene? - rende però meglio l'idea di cosa è l'essenziale in musica. Una voce, una chitarra, qualche effetto speciale elettrico ed elettronico, al limite un piano, e poi?
Poi, basta. Perché aggiungere altro?
Con la collaborazione del producer dell'album e boss dell'etichetta discografica Beautiful Losers Andrea Liuzza e del polistrumentista Massimo Valcarenghi, RosGos lavora in sottrazione, cosa in apparenza facile e invece tutto il contrario. È più semplice nascondersi dietro un suono massimalista. Meno spogliarsi di tutti gli orpelli superflui che troppe produzioni contemporanee contengono, in alcuni casi per mascherare la loro mancanza di idee, e presentarsi (quasi) nudi. Con un disco dal suono omogeneo e intimo, oscuro e a tratti inquietante, vagamente dalle parti dei Cigarettes After Sex e del Johnny Cash prodotto da Rick Rubin, ma con una voce più dalle parti di Mark Lanegan e un suono sempre molto personale, RosGos ci mostra la sua anima e arriva dritto alle orecchie e al cuore. L'essenziale, appunto.
(voto 8/10)
Gli altri album
Taylor Swift "The Life of a Showgirl"
Genere: taylorswift
Consigliato in particolare a: showgirls e aspiranti showgirls
Ciao Taylor,
come va?
A vederti e a sentirti, direi tutto bene. Tutto benone. Non ti ho mai sentita tanto innamorata in un disco come nel tuo nuovo "The Life of a Showgirl". Non lo sembravi nemmeno in "Lover", ai tempi in cui stavi con l'attore britannico Joe Alwyn, che poi hai scaricato perché doveva essere una bella palla al piede. Con il tuo attuale fidanzato e promesso sposo, il campione di football americano e aspirante attore Travis Kelce, ti sento invece più allegra, più frizzante, più leggera. Più viva. Anche più appagata sessualmente, come ci tieni a farci sapere senza che noi volessimo saperlo con i maliziosi doppisensi di "Wood", il pezzo peggiore dell'album e probabilmente il più cringe di tutta la tua carriera. Questo senso di felicità e spensieratezza comunque si riflette anche in musica.
In "The Life of a Showgirl" sei tornata al pop puro, dopo lo sfiancante pseudo indie-pop cantautorale del precedente "The Tortured Poets Department", hai finalmente messo in un angolo, almeno per il momento, la collaborazione con il producer Jack Antonoff, che ormai non stava andando più da nessuna parte, e sei tornata a fare canzoni insieme a Max Martin e Shellback, con cui in passato avevi già realizzato alcuni dei tuoi più grandi successi. Non è comunque un semplice ritorno al passato. Non sei più una ventenne e quindi non ci sono hit sbarazzine e teen come "Shake It Off". Adesso hai 35 anni, ti stai per marità, e il tuo è un pop più maturo. Rispetto a "The Tortured Poets Department" sono però finalmente tornate le melodie forti, i ritornelli che rimangono impressi. Non sarà il tuo album migliore (personalmente i miei preferiti restano "Folklore" e "1989"), ma almeno una metà delle canzoni sono di buon livello, delle hit istantanee, e nel complesso è un disco che mi diverte, che mi ascolto proprio con piacere. Quasi quanto tu devi provare piacere insieme al tuo dotato Travis Kelce.
Chi ti odia dirà che, dietro alla facciata di concept album dedicato alle dura vita delle showgirls, si tratta del solito disco alla Taylor Swift, e in effetti un po' lo è. Solo che non devi prenderla come una critica. Anche molti grandi registi, fondamentalmente, girano sempre lo stesso film, con delle variazioni tra un'opera e l'altra, e per te è lo stesso. In ogni caso, non fare troppo caso agli haters. Ce l'hanno con te solo perché sono invidiosi visto che, oggi come oggi, i numeri che fai tu non li fa nessuno. Ci vorrebbero i Beatles dei tempi d'oro per contrastarti nelle classifiche mondiali. Inoltre, puoi vantare una fanbase enorme e devota, devota quasi in senso religioso, come pochi o forse nessun altro artista in circolazione. E se non capiscono il motivo del tuo successo, fatti loro.
Goditi questo momento, cara Taylor, perché non durerà. Non per portarti sfiga, ma le cose non resteranno così per sempre. Adesso sei una piccioncina innamorata, ma con il matrimonio tutto potrebbe cambiare. Tu stessa ti porti avanti in questo disco dedicando una canzone ad Elizabeth Taylor, una che nella sua vita ha collezionato divorzi come fossero figurine.
Già mi immagino i titoli dei tuoi prossimi album: "The Life of a (Desperate) Housewife", seguito da "The Life of a Mother" e poi da "The Life of a Divorced Woman". Quest'ultimo è quello in cui tornerai a dedicarti alla tua grande specialità: le breakup songs. Nel tuo nuovo disco ci sono dentro tante cose, tipo un dissing in risposta a Charli xcx che ti aveva attaccato in una sua canzone e un omaggio a George Michael con la tua personale rilettura di "Father Figure", però mancano appunto le canzoni che parlano della fine di un amore.
Per il resto per quanto mi riguarda direi che ci siamo, mia cara Taylor. "The Life of a Showgirl" è un buon ritorno al pop, destinato a rinnovare il culto da parte di chi ti ama e le critiche da chi ti disprezza. Tu comunque continua ad andare avanti per la tua strada e non dargli ascolto. Come diceva una ventenne saggia qualche era fa: "Haters gonna hate".
(voto 7-/10)
Tame Impala "Deadbeat"
Genere: psychedelic dance
Consigliato in particolare a: chi è ancora abbastanza giovane per la musica dance
Kevin Parker alias Tame Impala non è più quello di una volta. Oggi ha quasi 40 anni, è diventato (due volte) papà e non è più l'alfiere della musica rock psichedelica. Negli ultimi tempi ha virato sempre di più verso il pop (l'anno scorso ha prodotto l'ultimo album di Dua Lipa) e soprattutto verso la dance. Non è il nuovo Gigi D'Ag, ma poco ci manca. Un duro colpo per i suoi fan della prima ora.
Più che come un album, il suo nuovo "Deadbeat" suona come un DJ set. Quello che non è cambiato è che la sua musica è sempre un trip, solo che è il tipo di viaggio a essere cambiato. Con i suoi vecchi lavori ci si muoveva più che altro con la mente, adesso con il corpo. "Deadbeat" è un viaggio nella notte (quasi) tutto da ballare che ti porta dentro un disco club un po' alternativo e un po' fighetto. All'inizio ti spari la consuma gratuita, cominci ad essere brillo, ti metti a ballare come uno scemo e ti diverti.
Dopo un po' però la musica si fa ripetitiva, Tama Impala che si mette a suonare hardcore techno e persino reggaeton ("Oblivion" non ce la meritavamo proprio) non sembra nel suo territorio ideale, né nel tuo, e tu cominci ad essere stufo, stanco, annoiato e vuoi solo tornartene a casa. A un certo punto, ti rendi conto di essere troppo vecchio per una serata in discoteca, e probabilmente anche Kevin Parker lo è.
(voto 5/10)
Andrea Laszlo De Simone "Una lunghissima ombra"
Genere: Domenico Modugno in versione ambient
Consigliato in particolare a: chi vuole ascoltare un disco che è già un classico, anche se è appena uscito
Con lui le regole normali del tempo non si applicano. Andrea Laszlo De Simone sembra vivere fuori dal tempo e così anche la sua musica. Le sue nuove canzoni sono fuori ora, ovunque, su Spotify come Apple Music e YouTube, eppure sembrano esistere da sempre e sembrano uscire da un vecchio grammofono. In un contesto contemporaneo veloce come quello attuale, è davvero difficile giudicare un album come il suo nuovo "Una lunghissima ombra". Bisognerebbe astrarsi da tutto, non dare ascolto alle notifiche che ti bombardano in continuazione e immergersi solo dentro questi suoni, possibilmente in mezzo alla natura e non al traffico cittadino. Bisognerebbe prendersi giorni, settimane, mesi, forse anni, per ascoltarlo per bene e comprenderlo nella sua essenza più profonda.
Così non è possibile, almeno per me. C'è però da dire che anche ascoltandolo nelle cuffiette su un moderno smart phone tra le strade di una città piena di automobilisti che, se non ti muovi ad attraversare sulle strisce, ti suonano il clacson dietro e ti bestemmiano contro, il nuovo di Andrea Laszlo De Simone fa un bell'effetto. Ti porta via dal frenetico presente, ti fa immergere dentro una serie di canzoni una più bella dell'altra, dei classici istantanei tra cui cito quelle che mi hanno colpito di più come l'incantevole "Per te", "Un momento migliore" che sembra la sua personale rilettura di "Bitter Sweet Symphony" dei Verve, "Colpevole", "La notte" e la sorprendente "Non è reale" che si sposta in territori alla Battiato.
"Una lunghissima ombra" è un disco che suona come un compendio del meglio della musica italiana d'antan (principalmente Domenico Modugno + Lucio Battisti + Ennio Morricone), inserita all'interno di un ambiente sonoro ambient, che ti porta dentro una dimensione che, per 67 minuti, è solo sua ed è solo tua. Prima che qualche clacson ti ricordi che la realtà in cui vivi (purtroppo) è un'altra.
(voto 8/10)
Richard Ashcroft "Lovin' You"
Genere: azzardato
Consigliato in particolare ad: amanti dei cantanti che cercano di reinventarsi
Sarei curioso di sapere cosa ne pensa il suo amico Liam Gallagher del nuovo album di Richard Ashcroft e in particolare di "I'm a Rebel", traccia in cui l'ex cantante dei The Verve si cimenta con la musica disco. Volendo suonare come i Bee Gees e finendo per sembrare la brutta copia di Scissor Sisters e Mika.
Non è l'unico pezzo che fa storcere il naso. Poco riusciti sono anche i singoli "Lover" e "Lovin' You", nelle intenzioni degli interessanti mix di pop, soul e hip hop, che finiscono anch'essi per risultare dei pasticci. Come un pasticcio è in generale l'intero album, in cui le tracce più imbarazzanti finiscono per oscurare anche le canzoni migliori, che pure ci sono, come la carica "Heavy News", uno dei pezzi più rock della sua intera carriera, e la ballatona "Out of These Blues", che non avrebbe sfigurato troppo all'interno di "Urban Hymns".
L'impressione finale è che, anziché come un album omogeneo vero e proprio, "Lovin' You" suoni come una playlist malamente assemblata. Troppo discontinua, troppo bitter sweet (e poco symphony). A tratti troppo cringe.
(voto 5/10)
Lily Allen "West End Girl"
Genere: comeback
Consigliato in particolare: agli amanti dei breakup album
Lily Allen è finalmente tornata con un nuovo album a distanza di sette anni dall'ultimo. Sette anni è un periodo di tempo piuttosto lungo in generale, ma nel mondo del pop sono l'equivalente di sette secoli. Nell'epoca di Spotify, poi, c'è chi ti dà già per disperso se non pubblichi almeno un nuovo singolo al mese. C'è inoltre da dire che l'ultimo pezzo di successo pubblicato da Lily Allen risale al lontano 2013 ed è per altro una cover, "Somewhere Only We Know" dei Keane. I suoi primi due album restano però due cult che hanno aperto la strada a popstar ironiche come Katy Perry e Sabrina Carpenter e quindi l'annuncio di un suo nuovo album a sorpresa è stata una bella sorpresa.
Ancora più bella dopo l'ascolto. Lily Allen non è tornata semplicemente per tornare e dire: "Hey, ciao, sono ancora viva", ma perché ha qualcosa da raccontare. Il suo travagliato matrimonio (e seguente separazione) dall'attore di Stranger Things David Harbour prende vita nel suo nuovo "West End Girl", quasi un docufilm in musica che ci scaraventa nel mezzo dei suoi casini coniugali. Non mi sorprenderebbe se un giorno si trasformasse in un musical.
Personalmente avrei usato un po' meno auto-tune, ma nel complesso "West End Girl" è un breakup album emozionante, sentito, sorprendente, molto intimo e allo stesso tempo parecchio godibile anche da chi cerca solo un buon disco pop. Se poi vi interessa scendere nei particolari della vita privata di Lily e in generale scoprire com'è ritrovarsi dentro una relazione tossica, ma molto tossica, il consiglio è quello di ascoltarlo con i testi a portata di mano.
(voto 8/10)
Angelina Mango "caramé"
Genere: confessionale
Consigliato in particolare a: chi ha perso fiducia nella Gen Z e vuole ritrovarla
Angelina Mango è tornata ed è una buona notizia. Umanamente, perché è bello sapere che una ragazza di 24 anni ha affrontato un periodo di crisi personale nella maniera migliore che può fare un'artista: dare vita a un'opera, in questo caso un intero album. Ed è una buona notizia anche a livello musicale, perché Angelina è una bella voce da sentire, in tutti i sensi. Perché sa cantare, intendo cantare veramente, senza esagerare in irritanti vocalizzi e gorgheggi tipo Giorgia o Mariah Carey, e perché la sua è una voce fresca e sempre più personale anche come cantautrice. A parte nel fighissimo intermezzo "nina canta", questa volta viene messa da parte l'influenza di Rosalía, che si sentiva evidente nel precedente "poké melodrama", uscito l'anno scorso dopo la sua vittoria al Festival di Sanremo, e si percorrono sentieri più vicini a certo pop internazionale intimista contemporaneo, vagamente dalle parti di Billie Eilish.
Oltre ad aver imboccato una direzione musicale differente, Angelina Mango ha inoltre scelto di lanciare il suo secondo album del tutto a sorpresa in un sonnacchioso giovedì 16 ottobre, anziché aspettare il venerdì come fa la maggior parte degli artisti. Senza annunci, senza lanci promozionali. Il senso di urgenza di questo disco nato con la volontà di raccontare i suoi ultimi travagliati mesi di vita, quelli del successo post-Festival, si sente tutto. "caramé" è un album in cui non traspare il peso di cercare a tutti i costi la hit radiofonica, o il pezzo sanremese, o i 15 secondi che possano andare virali per un balletto su TikTok. Si sente solo la volontà di trasformare in musica i suoi pensieri e la sua vita. Non a caso canta: "Ora voglio solo vivere".
Di pezzi pronti per trasformarsi in successi nazional-popolari non ce ne sono, di pezzi degni di nota, realmente sentiti, ce ne sono invece parecchi, su tutti cito i miei preferiti: "velo sugli occhi", "la vita va presa a morsi", "mylove" e "aiaiai". Anche se a spiccare è l'insieme. Se l'esordio "poké melodrama" dava più l'impressione di una serie di singoli messi insieme a caso, "caramé" è invece un progetto più unitario. Giusto quindi lanciarlo così, de botto, tutto in una volta e senza singoli ad anticiparlo.
"Non sono una star, nemmeno per sbaglio, sono matricola a vita", canta in "7up". Mi spiace, Angelina, ho una brutta notizia da darti: che ti piaccia o meno, tu sei una star, e sei pure destinata a brillare a lungo.
(voto 7+/10)
Carmen Consoli "Amuri luci"
Genere: siculo
Consigliato in particolare agli: amanti dei dialetti e agli ascoltatori più avventurosi
Grazie a Carmen Consoli sono uscito dalla mia comfort zone e mi sono ascoltato, per la prima volta in vita mia, un album in siciliano. Non solo in siciliano, c'è anche qualche inserto di arabo, latino e greco, giusto per rendere il tutto ancora più appetibile al grande pubblico. "Amuri luci" è quindi un ascolto decisamente ostico, specie per un polentone piemontese come me, ma a sorpresa, dopo qualche comprensibile difficoltà iniziale, anche soddisfacente. È bello per una volta allontanarsi dalle solite canzoni in inglese o in italiano, o al massimo in francese o in spagnolo, e addentrarsi nell'ignoto.
Mi rendo conto che questo disco può rappresentare un incubo per chi già non sopporta la voce di Carmen Consoli quando canta in italiano. Io invece l'ho sempre apprezzata e, pur non vedendo l'ora di sentirla in vesti più rock nel già annunciato secondo album della sua trilogia di lavori dedicati alle sue varie anime musicali, ora la ammiro ancora di più. Ci va un gran coraggio, soprattutto nell'attuale epoca dominata dagli ascolti in streaming su Spotify dove un brano dopo una settimana viene già considerato vecchio, tirare fuori un album in dialetto siciliano senza potenziali singoli radiofonici e che richiede il suo tempo e la sua pazienza per essere goduto in pieno. Per chi vuole allontanarsi per una quarantina di minuti dalla musica fast food contemporanea, "Amuri luci" è un ottimo antidoto alla velocità del presente.
(voto 6,5/10)
Geese "Getting Killed"
Genere: alternativo all'alternativo
Consigliato in particolare a: chi non s'accontenta, perché chi s'accontenta gode, così così
Geese in inglese significa oche. Quanto credito dareste a un gruppo che si chiama Oche?
Probabilmente poco, ma sbagliareste. Come a volte capita alle donne definite in maniera dispregiativa delle oche giulive, tipo Elle Woods ne La rivincita delle bionde, i Geese in realtà sanno il fatto loro, eccome, e sono oggi visti tra i pochi gruppi in grado di salvare la musica rock. Altroché Måneskin. Il loro non è un rock da stadio, è un rock parecchio più sperimentale e contaminato, con un'impronta a tratti jazzeggiante.
Dopo tre album intriganti ma ancora acerbi, i Geese guidati da Cameron Winter hanno realizzato il loro capolavoro. Il loro capolavoro, almeno finora. "Getting Killed" è un'avventura sonora che riesce a sorprendere in più occasioni con le sue canzoni sbilenche, i suoi pezzi che si accendono e si spengono improvvisamente, e con quel cantato che in alcuni momenti ricorda Thom Yorke dei Radiohead e in altri Julian Casablancas degli Strokes e in altri ancora un ubriaco. La loro arma migliore è l'imprevedibilità, dote che in un mercato discografico ricco di progetti musicali tanto carini quanto telefonati è merce davvero rara. Prendendo una strada del tutto personale, i Geese rimasticano il rock del passato e lo sputano fuori in una forma sonora nuova. Questa io la chiamo la rivincita delle oche.
(voto 8/10)
Maruja "Pain to Power"
Genere: post-punk jazz
Consigliato in particolare a: chi è stufo dei soliti dischi rock senza coraggio
Un gruppo jazz che suona con un'attitudine punk?
Massì, possiamo definirli così gli inglesi Maruja, uno dei nuovi gruppi più sorprendenti ed eccitanti oggi in circolazione. E se questa definizione non vi piace, denunciatemi pure al tribunale dei grandi critici musicali. "Pain to Power" è uno di quegli esordi che suonano diversi da tutto il resto della musica contemporanea. Ha un'epicità rara, non di quelle pompose in stile Queen. È attraversato da lampi di brutale rabbia che poi sfumano in raffinati momenti di delicatezza. Senza dubbio, una delle esperienza sonore che non dovete farvi mancare quest'anno, pure se non siete patiti né di jazz né di punk.
(voto 7,5/10)
Rocket "R Is for Rocket"
Genere: grunge rock
Consigliato in particolare a: chi ha tanta nostalgia degli anni '90, quando il mondo era l'arca e noi eravamo Noè
Un disco che ti fa venire voglia di alzare il volume il più alto possibile, in modo da molestare i vicini di casa che ascoltano reggaeton, trap e neomelodici. Un disco di chitarre elettriche. Un disco con un sound tra gli Smashing Pumpkins di "Siamese Dream" e i Foo Fighters di "Everlong". Un gran disco rock, ma anche con un gran senso della melodia. I Rocket rischiano di essere tra le cose migliori capitate alla scena chitarrosa da un bel po' di tempo a questa parte, e sono ancora all'album d'esordio. Saranno pure piuttosto acerbi, però sembrano avere già le idee belle chiare. Basta chiacchiere, adesso. Andate a razzo a spararvi questo "R Is for Rocket" a un volume da denuncia penale.
(voto 7+/10)
Not for Radio "Melt"
Genere: dream pop
Consigliato in particolare ai: sognatori
Not for Radio è il nome del progetto solista di María Zardoya, cantante e leader dei The Marías. Se non li conoscete, fate sempre in tempo per rimediare. Il suo primo album solista (ma tranquilli perché il gruppo non si è sciolto) è, se possibile, ancora più dolce e sognante della musica che fa di solito con la sua band. Un sogno a occhi aperti, o meglio a orecchie aperte, lungo 42 minuti. Che meraviglia.
(voto 7/10)
Cotta del mese
Ana Mena
Non sono mai stato un fan della vita in campagna, ma dopo aver visto il nuovo video di Ana Mena penso che potrei diventarlo. Sono già andato a comprare un trattore.
Guilty Pleasure del mese
Annalisa "MA IO SONO FUOCO"
Genere: pop infuocato
Consigliato in particolare ai: sudditi della regina Annalaisa
Dopo il successo di pezzi come "Bellissima" e "Mon Amour", contenuti sul precedente "E poi siamo finiti nel vortice", Annalisa gioca facile e continua a battere il ferro (non Tiziano) finché è caldo. Nel nuovo "Ma io sono fuoco" la gran parte delle canzoni riprende le stesse sonorità dance pop fortemente influenzate dagli anni '80 e lei si propone anche questa volta come una specie di incrocio tra Dua Lipa e Raffaella Carrà. Come darle torto? C'ha messo anni e anni a salire sul trono di regina del pop italiano e, proprio ora che lo ha conquistato, deve rischiare di perderlo cambiando formula?
Pur mancando l'effetto sorpresa, Annalisa ha realizzato un altro disco parecchio godibile, leggero e ironico. In una parola: pop. Niente di più, niente di meno. In futuro sarebbe interessante sentirla alle prese con altre sonorità, magari con un disco rock che potrebbe essere nelle sue corde, d'altra parte agli inizi della sua carriera cantava nella band metal leNoire, ma per adesso può andare bene anche così.
(voto 6/10)




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