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martedì 15 settembre 2015

We Are Your Films





Attenzione gente perché questa si preannuncia come una delle settimane più cannibali dell'intera annata cinematografica! Una settimana lunga, che si apre con l'attesissimo docufilm dedicato ad Amy Winehouse e che prosegue con una serie di pellicole parecchio promettenti.
In attesa di scoprire se le aspettative saranno rispettate o meno, gustatevi i commenti miei e disgustatevi con i pregiudizi forniti dal mio blogger rivale James Ford.

Amy - The Girl Behind the Name
(dal 15 settembre)
"They tried to make me go to Ford,
but I said: no, no, no!"

martedì 8 settembre 2015

La recensione invisibile de Il ragazzo invisibile





Il ragazzo invisibile
(Italia, Francia 2014)
Regia: Gabriele Salvatores
Sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
Cast: Ludovico Girardello, Noa Zatta, Valeria Golino, Christo Jivkov, Fabrizio Bentivoglio, Assil Kandil, Filippo Valese, Enea Barozzi, Riccardo Gasparini, Vilius Tumalavicius, Vernon Dobtcheff, Kseniya Rappoport
Genere: eroico
Se ti piace guarda anche: Turbo Kid, Misfits, Kick-Ass, L'uomo senza ombra, Banana, Maicol Jecson

venerdì 23 maggio 2014

IL CAPITALE UMANO E IL DAVID GNOMO DI DONATELLO




RECENSIONE 1
di DINO

Graaaaande Carlo Virzì… volevo dire graaaaande Paolo Virzì! Oh, non so voi, ma io me li confondo sempre, 'sti due. Un po’ come le sorelle Farmiga. Non mi ricordo mai qual è Taissa e qual è Vera, l’unica cosa che so è che me le farei ambedue. Carlo Virzì comunque è il fratello meno di talento, diciamolo sottovoce che se no si offende. Di talento però ce n’ha pure lui. Come regista magari non troppo, ma come compositore di colonne sonore se la cava bene e qui ne da’ conferma. Una menzione la meritano poi anche le due canzoni che vengono suonate nel corso del film: l’ormai evergreen “Rehab” di Amy Winehouse e “I’m Sorry” dei The Jackie O’s Farm, indie band italiana molto promettente. Graaaaandi Jackie O’s Farm, continuate così che siete bravi e vi raccomando a tutti i miei amici!
A proposito di indie, l’ultimo film del Virzì, quello bravo a girare, Paolo, non è che fosse poi così graaaaande. Io il Paolo lo seguo sempre con grande affetto, dai tempi del frizzante Ovosodo, e Tutta la vita davanti e La prima cosa bella sono due dei miei film italiani preferiti in assoluto. Sono riuscito persino a sopportare il modesto Caterina va in città, ma Tutti i santi giorni proprio no. Paolo voleva fa’ l’ammericano-mericano, per la precisione voleva girare la sua pellicola in stile indie-ammericano-mericano, però ne era uscita una mezza schifezza. Diciamo sottovoce pure questo, che se no si offende anche lui. Il Paolo secondo me dà il meglio non quando scimmiotta gli ammericani, ma quando fa del bel cinema nazional-popolare che racconta noi, racconta l’Italia, e nazional-popolare lo intendo nella miglior accezione possibile. Lì sì che è davvero graaaaande.
Attraverso le sue storie intrecciate che riguardano un investimento economico quanto l’investimento di un ciclista, il suo nuovo Il capitale umano riesce a riflettere le storie di cronaca che vediamo nei TG tutti i giorni, e lo fa attraverso punti di vista molteplici, con una serie di personaggi che a loro volta riflettono bene alcune tipologie tipiche dell’italiano di oggi. Per questo aspetto, Il capitale umano è lo specchio dell’Italia attuale, un po’ come La graaaaande bellezza. Non è un caso allora se i due graaaaandi film, le due gemme del cinema italiano dell’ultima annata, si contenderanno i David di Donatello 2014. Nella categoria di miglior pellicola se la dovranno vedere anche con la rivelazione Smetto quando voglio di Sydney Sibilia (che poi uno che si chiama Sydney sicuri sia italiano?), il ruffianotto La mafia uccide solo d’estate di Pif (che uno che si chiama Pif di sicuro non è italiano, dai) e La sedia della felicità dello scomparso Carlo Mazzacurati. I due pretendenti principali sono però loro due, quelli che hanno ottenuto più nomination. Il film premio Oscar La graaaaande bellezza di Paolo Sorrentino ne ha beccate 18, ma Il capitale umano dell’altro Paolo ha capitalizzato ancora di più, con ben 19 nomination ai David. Secondo me se le meritano. Entrambi non sono capolavori totali, eppure sono due opere complesse e sfaccettate, capaci di parlare dello stato di oggi del nostro paese, e non solo. Il capitale umano è infatti anche un thriller molto ben architettato, con una sceneggiatura, liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Stephen Amidon, in cui tutti i pezzi del puzzle trovano il loro posto in maniera impeccabile. Una cosa che spesso, anche nelle migliori pellicole italiane, è difficile trovare. Cos’altro aspettate allora a guardare questo graaaaande film? Attendete che vi passi il finanziamento per pagare il biglietto del cinema?
(voto di Dino 8+/10)


RECENSIONE 2
di CARLA

Bellino, Il capitale umano. Sì, mi è piaciuto. Insomma, abbastanza. È un buon film, sì, credo di sì. Adesso non sto a dire che è eccellente, perché io ho fatto l’attrice, tempo fa, e so che non tutto qui funziona alla perfezione. Gli attori, ad esempio. Le attrici invece sì. Quella Valeria Bruni Tedeschi è brava. Davvero tanto. Valeria Golino molto composta, molto sotto le righe, se la cava parecchio meglio del suo solito. La giovane Matilde Gioli poi è una rivelazione assoluta. Con quegli occhioni mi ricorda un po’ Emilia Clarke. Emilia Clarke quando non è in Game of Thrones con dei draghetti sulle spalle, ma quando è in vesti più da persona normale come in Spike Island e Dom Hemingway. Sul fronte maschile, Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni se la cavano, però i loro personaggi restano leggermente intrappolati nella macchietta da tipici italiani: il borghese benestante che sogna di diventare ricco, e il ricco stronzo che sogna di diventare un ricco ancora più ricco e ancora più stronzo. Meno bene il ragazzotto emo/psycopatico, un Giovanni Anzaldo che appare ancora parecchio immaturo per un ruolo di tale complessità, per non parlare dell’altro giovane, Guglielmo Pinelli. Iscriversi a una scuola di recitazione, no?
Un pochino deboluccio pure Luigi Lo Cascio, che qualche anno fa ai tempi de I cento passi e La meglio gioventù sembrava dovesse essere il futuro del cinema italiano e poi si è perso per strada. Come me, che me la cavavo alla grande con la recitazione a teatro e poi ho trasformato la mia vita in uno spettacolino di finzione, interpretando la parte della moglie felice del ricco stronzo di cui sopra.
Adesso però sto divagando nella mia vita personale. Torniamo al film, che è meglio. A voler fare la critica precisina, posso dire che la vicenda thriller è un attimino deboluccia. L’evento portante cui ruota tutto intorno è un semplice incidente stradale, un’auto pirata che tira sotto un ciclista, uno di quei casi che sentiamo ogni giorno a Studio Aperto insieme a un servizio sul nuovo cane di Berlusconi e uno sulle nuove tette di Belen. Insomma, che noia, gente!
Il film non sarà quindi entusiasmante quanto un giro di shopping in Via della Spiga, però pur con i suoi limiti devo ammettere che mi è piaciuto. Niente male l’idea di raccontare la storia attraverso punti di vista differenti, come in Rashomon di Akira Kurosawa, un film che avevo visto ai tempi in cui andavo a scuola di cinema. Rispetto a La grande bellezza, la pellicola con cui se la dovrà vedere ai prossimi David di Donatello, è meno arty, meno radical-chic, meno fighetto. Se vogliamo anche meno internazionale e meno prodotto d’esportazione. Non a caso l’Oscar l’hanno dato al film di Paolo Sorrentino. Detto tutto questo, mi è piaciuto. Sì, dai, potrebbe non sembrare, eppure Il capitale umano mi è piaciuto. Sì, abbastanza.
(voto di Carla 7-/10)


RECENSIONE 3
di SERENA

Che palle, Massimiliano! È troppo ricco, troppo ragazzo di buona famiglia, troppo popolare. Continua a mandarmi messaggi, ma io non voglio più tornare insieme a lui. Adesso sto con uno troppo psyco. No, non è Norman Bates. Si chiama Luca. È uno che ho conosciuto nella sala d’attesa dello studio della compagna di mio papà, che fa la strizzacervelli. Anche se l’ho incontrato lì, non è che sia così fuori di testa. Un po’ sì, perché si fa i tagli sulle braccia come gli emo che ascoltavano i Tokio Hotel e i Dari. Cioè, pronto?!? Sono troppo passati di moda. Adesso vanno solo i 5 Seconds of Summer, che sono troppo solari fin dal nome e quindi basta con ‘sta depressione e con ‘ste vene tagliate.
Nonostante sia un emo, sto con lui perché fa troppo essere una tipa alternativa uscire con un povero disgraziato morto de fame malato di mente che è pure stato sulla cover non di Cioè ma del giornale locale visto che era stato beccato con mezzo chilo di maria, non de Filippi, ma marijuana. Un tipo troppo strambo. Ovviamente, a uno così non possono che piacere tutti quei film strambi come lui. Quelle pellicole tanto da intellettualoidi che adesso si andranno a contendere il David Gnomo di Donatello che, da quanto ho capito quando me l’ha spiegato Luca, è una specie di imitazione degli Mtv Movie Awards, solo molto più noiosa e con nessun premio, inspiegabilmente, assegnato a Hunger Games. I due film che hanno ottenuto più nomination quest’anno sono La grande bellezza e Il capitale umano. Li ho visti entrambi al cinema con Luca che, anziché limonare, voleva inspiegabilmente seguirli. Cioè, è scemo?
De La grande bellezza io non c’ho proprio capito niente. I fenicotteri? Ma che davvero? Al confronto, Il capitale umano m’è sembrato un capolavoro. Non sono riuscita a seguire tutte le vicende intrecciate perché continuavano ad arrivarmi messaggi su WhatsApp, oh, scusate se sono troppo ricercata, però almeno la terza parte, quella più teen, l’ho trovata abbastanza carina. E poi se non altro in 'sto film non c’erano i fenicotteri. Io di certo un David Gnomo, un Oscar, un Mtv Movie Award o qualunque altro premio non glielo darei, ma dovendo proprio scegliere tra La grande bellezza e questo, scelgo troppo Il capitale umano.
(voto di Serena 4/10)


Il capitale umano
(Italia, Francia 2013)
Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo
Liberamente ispirato al romanzo: Il capitale umano di Stephen Amidon
Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Giovanni Anzaldo, Luigi Lo Cascio, Bebo Storti, Gigio Alberti
Genere: nordest thriller
Se ti piace guarda anche: La ragazza del lago, La grande bellezza
(voto di Pensieri Cannibali 7,5/10)

lunedì 19 marzo 2012

These b**bs are made for walking

La kryptonite nella borsa
(Italia 2011)
Regia: Ivan Cotroneo
Cast: Luigi Catani, Valeria Golino, Luca Zingaretti, Cristiana Capotondi, Libero de Rienzo, Vincenzo Nemolato, Monica Nappo, Massimiliano Gallo, Fabrizio Gifuni, Anita Caprioli
Genere: italian 70s
Se ti piace guarda anche: La prima cosa bella, Mine vaganti, Caterina va in città, Happy Family

Ci sono delle cose che mi fanno incazzare. Di film italiani ne escono un sacco. Ma di film italiani interessanti non è che in circolazione ce ne siano poi così tanti. Di commedie interessanti poi, figuriamoci…
Quando te ne ritrovi una tra le mani, dovresti almeno promuoverla a dovere. Soprattutto quando hai delle belle carte tra le mani da giocarti. Non dico degli assi, ma almeno delle regine e dei fanti La kryptonite nella borsa ce l’ha pure: un cast di primo livello con nomi conosciuti come Valeria Golino, un volto nazional-popolare come Montalbano/Luca Zingaretti, un paio di attori che possono attirare/attrarre il pubblico ggiovane come Cristiana Capotondi e Libero de Rienzo e poi in colonna sonora ha un pezzo più che accattivante come la cover moderna (ma anche rétrò il giusto) di “These Boots Are Made for Walking” fatta dai Planet Funk, per cui per di più ha a disposizione un video carinissimo come questo…


Dopo aver visto il videoclip, a me è venuta una gran voglia di recuperarmi anche il film. Peccato che il pezzo, oggi diventato un tormentone, fosse stato lanciato del tutto in sordina lo scorso ottobre con l'uscita nei cinema e nessuno se lo fosse inizialmente filato. Adesso la canzone è diventata un successo, il video è in airplay su Mtv, però per il film è troppo tardi, almeno nelle sale cinematografiche, dove non ha raccolto nemmeno un milione di euro. Roba che è riuscito a fare peggio persino di War Horse, l’ultimo super mega floppone di Steven Spielberg.
Un peccato (l'ennesimo per la distribuzione italiana) non averla promossa meglio, perché questa è una commedia molto carina e, per quanto non memorabile, avrebbe meritato un successo maggiore di altre porcherie che infestano le nostre sale.
Sulla note ultracool di These boots are made for walking, pezzo di Lee Hazlewood portato al successo da Nancy Sinatra, terminiamo comunque questa nota di polemica lamentela e passiamo al film vero e proprio.

La kryptonite nella borsa è l’esordio dietro la macchina da presa dello scrittore e sceneggiatore napoletano Ivan Cotroneo, già autore dell’omonimo romanzo da cui ha deciso di trarre la sua prima opera cinematografica da regista. Quanto ne è uscito è una pellicola in cui si sente il legame forte del regista nei confronti dei suoi personaggi. Persino troppo, visto che un occhio esterno avrebbe potuto aggiungere un altro punto di vista alla vicenda. La veracità napoletana è comunque anche uno dei punti di forza della pellicola. È un film passionale, seppur non del tutto travolgente, e ci sono alcuni momenti poetici che convincono proprio per la loro forza e naturalezza. E anche per la loro innocenza quasi naïve. Soprattutto, più che le sequenze con il non troppo convincente bambinetto protagonista, la bella scena in cui Valeria Golino dallo strizzacervelli ricorda il suo passato come fanciulla.

Ancora una volta comunque mi porto avanti nel discorso senza cominciare dalle basi.
Introduciamo la pellicola come si deve: il racconto è quello di una famiglia (a)tipica napoletana nei primi anni ’70 vista attraverso gli occhi, o meglio le spesse lenti degli occhiali, di un bambino intorno ai 10 anni interpretato dal (credo) esordiente Luigi Catani. Un bambino la cui atipicità è data più che altro da quegli occhialoni da miope che è costretto a portare e che lo rendono un “diverso” agli occhi degli altri bimbetti. Per altro oggi con quegli occhiali verrebbe considerato un hipster, mentre nei 70s era soltanto considerato uno sfigato. Così va la vità.
La diversità di questo piccolo protagonista sta però più che altro nell’avere come amico immaginario il cugino morto. Un cugino un poco “ritardato” che si credeva di essere Superman e forse in fondo lo era per davvero…
Come dicevamo, il racconto è però quello corale di una famiglia. Ci sono i nonni, piuttosto macchiettistici e in grado di incidere poco nella vicenda. Ci sono i genitori, una Valeria Golino eccellente (sia detto con le dita delle mani che si avvicinano stile Signor Burns) che viene tradita dal marito farfallone Luca Zingaretti, attore che tutti dicono: “Ma che bravo che è, e pure che bell’uomo che è”, però a me boh, proprio non convince. Sarà che non sono mai stato un fan urlante di Montalbano.
Sotto lo stesso tetto ci sono poi pure i 3 zii, perché oh, questa è una famiglia povera e quindi si vive tutti insieme nella stessa casa e, se non vi sta bene, andata pure a stare all’Hilton. Uno dei 3 zii rimane nell’ombra, sarà che è un secchione, sarà che l’attore che lo interpreta è il più sconosciuto del prestigioso cast: Gennaro Cuomo.
Chiiiiiiii?
Ve l’ho detto che era il meno noto: Gennaro Cuomo.
Chiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii?
Gli altri due zietti sono invece gli idoli Cristiana Capotondi e Libero De Rienzo, due freakketoni spiriti liberi che si portano appresso il nipotino nel corso delle loro avventure a base di LSD e sesso libero.
Hippie ya ye, motherfuckers!
Tra l’altro, come si può notare anche dal video dei Planet Funk, sembra che De Rienzo e la Capotondi nella loro vita non abbiano fatto altro che ballare vestiti da figli dei fiori. Se i loro personaggi avrebbero meritato un ulteriore approfondimento, va detto che almeno loro due a danzare sono davvero magnifici e non avrebbero potuto fare di meglio.

Il cast è quindi il punto di forza maggiore della pellicola, ma tra le note positive possiamo aggiungere anche una colonna sonora gradevole, seppure le scelte appaiano un po’ scontate: David Bowie per gli anni ’70 è immancabile, persino troppo ovvio, così come “Lust for Life” di Iggy Pop è già stata stra-usata. Ad esempio da un certo Trainspotting. È stato solo uno dei brani più iconici da una delle colonne sonore più iconiche del cinema iconico recente…
(e poi, per precisione storica: il pezzo è del 1977, mentre il film è ambientato qualche anno prima!)


Comunque è sempre un piacere risentirla e se sopra ci ballano De Rienzo e la Capotondi diventa un vero spettacolo. Così come una piccola finezza è anche l’apparizione (letterale) della Madonna Anita Caprioli.
Molto buona poi la ricostruzione a livello visivo dell’ambiente anni Settanta, e io adoro non so nemmeno bene perché i film ambientati negli anni ’70 (Il giardino delle vergini suicide, Amabili resti, Almost Famous, pure la serie That '70s show…), con dei magnifici e super freakkettoni costumi anche in questo caso portati magnificamente dai due attori ballerini e dal resto del cast. A tutto ciò ci mettiamo dentro anche la ricostruzione di una Napoli molto meno stereotipata del solito.
A non convincere del tutto sono invece la regia e la sceneggiatura del Cotroneo, un po’ timide e incerte sul da farsi, sul seguire toni più favolistici o più realistici. Cotroneo si piazza poi a mezza strada anche tra il cinema di Paolo Virzì, in particolare con un mix tra La prima cosa bella e Caterina va in città, virati però in salsa napule uè uè, e quello di Ferzan Ozpetek. Non a caso Cotroneo ha co-firmato con il regista del nuovo Magnifica presenza la sceneggiatura di Mine Vaganti e non a caso la tematica omosessuale e della diversità in senso lato emerge qua e là anche in questa kryptonite. Seppure in maniera un po’ troppo timorosa (timorata?) per realizzare un’opera non dico sovversiva, ma almeno davvero coraggiosa all’interno dello sbiadito panorama italiota.
Il ritratto di questa famiglia napoletana è curioso, simpatico e avvincente. Gli manca la zampata vincente, che poteva essere l’idea del personaggio di Superman se solo fosse stata resa con maggiore forza. Comunque si tratta di una (rara) visione italiana consigliata, per un film che non vi farà gridare al miracolo, ma magari vi farà venire voglia di ballare. Come quei due freakkettoni del De Rienzo e della Capotondi.
(voto 6,5/10)

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