venerdì 23 marzo 2018

120 battiti al minuto: se lo conosci non lo eviti





120 battiti al minuto
Titolo originale: 120 battements par minute
Regia: Robin Campillo
Cast: Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Adèle Haenel, Antoine Reinartz, Félix Maritaud, Médhi Touré, Aloïse Sauvage, Simon Bourgade, Catherine Vinatier, Saadia Bentaieb, Ariel Borenstein


A nessuno sembra importare più un fico secco dell'AIDS. Lo so che uno nella vita magari cerca di pensare a delle altre cose, cose si spera più piacevoli, però è come se fosse sparito del tutto dall'elenco dei problemi del mondo. Sembra preoccupare di più la rosolia, oppure il possibile ritorno della peste bubbonica, ma nessuno parla più dell'AIDS. Il pensiero comune è che ormai è una malattia con cui è quasi “facile” convivere. È un po' come il diabete. Magic Johnson da quanti anni è che è malato? Eppure è ancora vivo e vegeto e pare sia pure in ottima forma. Non si parla più di prevenzione. Non c'è più informazione sull'argomento. Che ormai l'AIDS sia un male debellato dalla società moderna, o è solo un'impressione?


I tempi in cui l'AIDS era un tema "cool" sono ormai alle nostre spalle, così come anche il periodo in cui era un argomento tabù. Sembrava non fosse una malattia che le persone “normali” potevano prendere. Era bollato come un problema esclusivo di gay, tossici e puttane. Tutti gli altri potevano dormire sonni tranquilli. Per quello non c'era informazione in proposito. Persino in un paese in genere piuttosto avanti come la Francia, nessuno voleva parlarne. Il Governo taceva. Per questo motivo c'erano alcune associazioni che si battevano per rendere noto il problema alle masse. Per aiutare la prevenzione. Per contribuire a limitare la diffusione del virus dell'HIV. Associazioni come Act Up-Paris, un gruppo di attivisti per lo più sieropositivi, ma non solo, che hanno aiuto a rendere nota la conoscenza di questa malattia tra le masse, quelle convinte non fosse una cosa che potesse in qualche modo riguardarle. Erano i primi anni '90 e questi ragazzi e ragazze ballavano sulle note della musica dance del periodo, che viaggiava a un ritmo di 120 battiti al minuto e da qui il titolo del film 120 battiti al minuto che parla proprio di questo collettivo parigino in questo preciso periodo storico.


D ance. La musica dance gioca un ruolo centrale nella pellicola. Non è solo un sottofondo. È quasi il personaggio aggiunto del film. Non pensate però a una dance tamarrissima. Non vengono suonati Gigi D'Agostino, Alexia, Corona o Ace of Base, che pure hanno il loro fascino, e diciamolo. Il film è ambientato prima dell'esplosione della musica dance a livello commerciale, così com'è ambientato prima dell'esplosione della consapevolezza del problema dell'AIDS tra il “grande pubblico”. Un tema che è cominciato a venire a galla con la morte di Freddie Mercury a fine 1991 e con l'uscita del film Philadelphia nel 1993. All'epoca ero un bambino e ricordo che l'argomento veniva affrontato in maniera molto confusa. Sarà perché ai tempi avevo giusto una vaga idea di cosa fosse “Il Sesso” e capire quale fosse la differenza tra HIV e AIDS era una cosa che mi faceva esplodere il cervello. Al di là della mia giovane età, mi sembra comunque che ci fosse una gran disinformazione. Anche le pubblicità del periodo certo non aiutavano a capire di più cosa fosse questo misterioso AIDS. L'occasione era colta al balzo più che altro per dire a tutti: “Non fate sesso. Il sesso è il male. L'unico modo per non morire è non fare sesso.” La droga poi non parliamone.





Se lo conosci lo eviti. Era questo lo slogan usato nei primi anni '90 in Italia. Il fatto è che non è che ci fosse una grande conoscenza della materia. Per queste campagne la conoscenza significava solo: “Non fate sesso e non drogatevi e non vi beccherete l'AIDS.” Fine. "E, se proprio dovete farlo, mettetevi il preservativo, anche quando vi drogate!"
È per merito di associazioni come Act Up, nata a New York ma poi diffusasi in altre città del mondo come un franchise, se una conoscenza più approfondita del tema è venuta a galla. È anche grazie a loro, di certo più che grazie ai vari Governi o ministeri della salute nazionali, se oggi con l'AIDS si può convivere. È grazie alle loro battaglie se si è intensificata la ricerca medica, oltre alle informazioni sulla prevenzione. Era quindi una storia importante da raccontare, perché poco nota e anche perché oggi la si dà come una battaglia vinta e superata e dimenticata. 120 battiti al minuto ha il merito di raccontare quel periodo, quelle lotte, ma non solo. Non è un documentario. Non si limita al semplice scopo informativo, come un anonimo opuscolo sull'HIV. A livello cinematografico è proprio un bel film. A livello narrativo ha uno splendido modo nell'usare il montaggio, nell'unire i flashback con la narrazione attuale (cioè gli anni '90) ed è come se il tempo fosse un fluire unico, in cui non c'è un passato e non c'è un futuro, c'è solo il presente. Il qui e ora, che è tutto quello che un malato di AIDS aveva e che poi, se ci pensiamo, è tutto quello che abbiamo tutti quanti. La prima parte del film scorre alla grande e in maniera anche insospettabilmente piuttosto leggera, considerata la potenziale pesantezza dell'argomento. La macchina da presa di Robin Campillo vola leggiadra spostandosi tra azioni di protesta contro il Governo e contro i laboratori farmaceutici, balletti in stile cheerleader al Gay Pride e riunioni nella sede di Act Up-Paris, muovendosi con quello stile vicino ai suoi personaggi tipico di certo cinema francese corale recente tipo La classe - Entre les murs e Polisse. Il tutto senza farsi mancare qualche scena di sesso esplicito stile La vita di Adele.
A frenare gli entusiasmi ci pensa una seconda parte che se vogliamo è necessaria, che mostra il lato più duro dell'AIDS nella maniera più dura possibile, ma che allo stesso tempo appesanstice una visione che fino ad allora era riuscita a volteggiare in punta di piedi su un tema così ostico. Nonostante questo, e forse anche per questo, il film di Campillo resta una visione potente ed efficace, sia per argomento narrato che per come lo narra, interpretato in maniera splendida da un gruppo di giovani attori che probabilmente rivedremo ancora spesso, almeno nel miglior nuovo cinema francese. È una sinfonia dance che fa muovere la testa, nel senso sia che fa pensare, sia che la fa agitare al ritmo dei 120 battiti al minuto della sua colonna sonora. Piuttosto inspiegabile il fatto che non sia finito nella cinquina dei nominati come miglior film in lingua straniera agli Oscar 2018... anzi no, è facilmente spiegabile: non siamo più negli anni '90 di Philadelphia e oggi per l'Academy l'AIDS non è più un argomento cool.
(voto 8-/10)


7 commenti:

  1. Necessario come film, ma non tutto mi aveva convinto. Quella seconda parte, quel finale un po' così, il passare in secondo piano del movimento rispetto a una storia d'amore che non mi ha "preso" sono dei difetti che in 2 ore e passa di film si potevano evitare. Resta che parlare di AIDS non sarà cool, ma deve essere fatto.

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  2. Mi ispira moltissimo, ma la durata eccessiva rende parecchio difficile incastrarlo nel bel mezzo della giornata. Vediamo nel weekend...

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  3. Devo dire che anche io sono rimasto bloccato per la durata che, mista al tema, mi odorava di pesantezza. Cercherò di recuperare

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  4. di AIDS si parla solo l'1 dicembre, ma c'è ancora tantissima ignoranza, di conseguenza poca paura... ne sento di stronzate!
    il film non l'ho visto ma voglio recuperarlo

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  5. Sembra interessante anche se rischioso. E rischierò nonostante la tua promozione. ;)

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  6. Se lo segno, che potrà tornare utile per farlo vedere ad alcuni amici

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