lunedì 11 dicembre 2023

Hanno ucciso Flower Moon, chi sia stato non si sa





Killers of the Flower Moon

C'è una cosa che hanno in comune gli ultimi film di Martin Scorsese e molti titoli del Marvel Cinematic Universe: un'eccessiva ingiustificata lunghezza. Mi spiace tanto Martin, lo so che preferiresti che le tue pellicole venissero paragonate a quelle dei Vanzina piuttosto che a dei cinecomics, ma questa cosa ce l'avete in comune. Non c'è niente da fare.

"Questo Pensieri Cannibali sta cercando proprio di farmi bestemmiare"

Killers of the Flower Moon è un film che parte in maniera notevole, con una prima ora coinvolgente, emozionante, soprattutto le parti dedicate al popolo dei nativi americani Osage. Dopodiché entrano in scena gli omicidi e lì ci si aspetterebbe che la visione decolli definitivamente, invece al contrario il ritmo si abbassa, entrano in scena troppi personaggi e troppe morti e diventa tutto un po' troppo dispersivo.


La durata eccessiva può essere un problema. 3 ore e mezza non sono più un film, sono un sequestro di persona. A questo punto sarebbe stato meglio fare una miniserie divisa in 4 puntate. Tra i miei titoli preferiti di quest'anno ci sono sono però altri lavori, che adesso non vi svelo ma che scoprirete prossimamente nel mio listone di fine 2023, della durata monster intorno alle 3 ore. Il problema allora è come il tempo lo si gestisce e anche come lo si fa percepire. Se queste 3 ore e mezza a un certo punto sembrano 7 ore, forse qualche cosa che non va c'è. Cosa?


Killers of the Flower Moon non è un classico thriller, però come si evince dal titolo una componente thriller c'è, ed è proprio questa che mi sembra gestita male. Il "colpo di scena" su chi sono questi killers arriva troppo presto, e quindi la componente di mistero va a farsi benedire quando mancano ancora tipo 2 ore e passa di film. Non poche. Un M. Night Shyamalan credo si sarebbe giocato dopo una rivelazione così centrale nelle dinamiche della storia.

"Martin, adesso si può sapere cosa diavolo c'entro io? E soprattutto, cosa c'entra Alejandro González Iñárritu?"

Martin Scorsese non è Shyamalan, non è neanche Hitchcock, eppure quando si è cimentato con il thriller ha dimostrato di saperci fare eccome. Penso a Shutter Island o al tesissimo, quasi horror, Cape Fear - Il promontorio della paura, ma volendo anche a Taxi Driver e a Fuori orario. In Killers of the Flower Moon invece la componente di tensione e mistero è più debole di quanto sarebbe potuta essere e di quanto ci sarebbe potuti immaginare. 


A latitare è pure il ritmo, quello che nelle 3 ore di The Wolf of Wall Street, l'ultimo vero grande film di Scorsese, non mancava manco per un istante. Diciamo che Killers of the Flower Moon è un po' l'opposto di Oppenheimer, tanto per fare un confronto che credo il regista possa considerare leggermente più lusinghiero dei cinecomics Marvel. Laddove Oppenheimer parte con calma, pure eccessiva, e poi a un certo punto ecco che esplode, questo ha invece un inizio clamorosamente accattivante e poi si spegne. Si ammazza da solo.

"Adesso però tutte queste osservazioni di Pensieri Cannibali hanno rotto il cazz0!"

Adesso comunque non voglio essere troppo cattivo, perché comunque la pellicola possiede un suo fascino notevole. La sua durata fiume, pur pesando a tratti, è allo stesso anche un suo pregio. Killers of the Flower Moon dura così tanto che a un certo punto ci si dimentica del tutto della propria vita e sembra che l'unica dimensione di cui importi è quanto succede a Fairfax, in Oklahoma, negli anni venti dello scorso secolo.


È un'esperienza immersiva dove a brillare sono le interpretazioni dei suoi protagonisti. Robert De Niro se la cava bene, ci sguazza alla grande nel suo personaggio, però insomma, ricopre il suo solito ruolo da boss mafiosetto di fine livello in cui già lo abbiamo visto in varie altre occasioni.


A sorprendere è Leonardo DiCaprio. Da quando finalmente, dopo tanta fatica, ha conquistato il premio Oscar, si è un po' smesso di parlare di quanto sia bravo, e di quanto sia sempre più bravo. Qui interpreta un tizio avido che ama il denaro, quasi un antenato del Wolf of Wall Street Jordan Belfort, ma riesce a regalargli un volto umano che fa quasi tenerezza. È una cosa che capita anche con Carey Mulligan, sua collega ne Il grande Gatsby. Pure quando interpretano dei personaggi sulla carta piuttosto sgradevoli, riescono sempre a trovare un modo per renderli adorabili, almeno in parte. Non so se questo sia un pregio, o in qualche modo gli si ritorca contro.


La grande rivelazione del film comunque è Lily Gladstone, attrice cui bastano pochi sguardi per farci capire di essere all'altezza di mostri sacri come DiCaprio e De Niro.


È lei il vero cuore di una pellicola che, non vorrei tornare a fare il villain della situazione, per il resto appare un po' fredda. Diretta in maniera impeccabile, eppure con una certa distanza. Come se Martin Scorsese fosse rimasto affascinato dal popolo Osage, ma non sia riuscito a mostrarlo fino in fondo in tutte le sue sfumature. Nella sua essenza, che viene sfiorata nella prima parte e che poi nel prosieguo si va a perdere per strada, in particolare in un'ultima parte da legal drama, ammettiamolo, parecchio debole e in cui compare un Brendan Fraser lontano dall'exploit da Oscar di The Whale e in pessima forma. Intendo recitativa, non fisica. Mica sto a fa body shaming.


Dopo 3 ore e mezza sono uscito dalla visione frastornato, non sapendo più bene chi sono, con l'impressione di aver amato questo film e allo stesso tempo averlo odiato. Di essermi fatto coinvolgere e poi annoiare. Con l'impressione che di questo mondo Scorsese ha raccontato troppo, e paradossalmente per certi versi troppo poco.
(voto 7-/10)




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