martedì 30 novembre 2010

13 minutes to Mars

Come loro solito, i 30 Seconds to Mars di Jared Leto (che ha firmato questo video con l’alias Bartholomew Cubbins) non hanno fatto un semplice video nuovo, ma un vero e proprio film: 13 minuti di tensione thriller tra "Eyes Wide Shut", "Inception"e David Lynch. Un uragano di immagini enigmatiche e perverse.
Questo è (almeno finché non la tolgono da YouTube) il video nella versione uncensored. Questo è "Hurricane"

Bret Easton Ellis e gli anni 80 che non finiscono mai che non finiscono mai che non finiscono

Bret Easton Ellis “Imperial Bedrooms”
(romanzo)
Genere: Ellis, what else?

Bret Easton Ellis gioca a fare il Patrick Bateman della situazione. Come il serial-killer uscito dalla sua mente malata torna sulla scena del crimine e 25 anni dopo il suo primo romanzo “Meno di zero” ci ripropone gli stessi giovani superficiali personaggi che oggi sono ancora più superficiali ma non sono più tanto giovani. L’impressione è però che questo sia solo un pretesto per parlare di se stesso: Bret ritorna a narrare con la voce di Clay, il protagonista del suo esordio ora diventato uno sceneggiatore di Hollywood, ma il confine tra Clay (l’apparente protagonista del libro) e Bret (il vero protagonista del libro) è infatti davvero sottile. A tratti forse inesistente.

Se nel precedente “Lunar Park” lo scrittore aveva il coraggio di mettersi in gioco in prima persona come personaggio del suo stesso romanzo, qui lo fa sotto mentite spoglie, ma neanche più di tanto visto che si parla di un romanzista finito a scrivere sceneggiature a Hollywood, come quella per “The Informers” (vedi sotto) cui Ellis stava veramente lavorando mentre scriveva questo “Imperial Bedrooms”. E allora il colpo azzeccato di questo romanzo è riuscire, ancora una volta, a cogliere in pieno lo spirito dei tempi.

Ellis l’aveva fatto alla perfezione con “Meno di zero” e “Le regole dell’attrazione” negli 80s, fotografando meglio di chiunque altro una Mtv Generation svuotata di ideali e di sentimenti che passa il suo tempo a scopare e cazzeggiare in giro tra un videoclip musicale e l’altro.
E “American Psycho” cos’altro era se non la metafora di come gli yuppie stessero uccidendo la società umana, cosa che tra l’altro stanno facendo ancora oggi, vedi alla voce crisi economica?
Negli anni 90 Ellis ci ha regalato giusto un “Glamorama” che tra alternative rock e modelli terroristi anche in questo caso caso riusciva a rendere bene un periodo segnato dall’indecisione tra forma e sostanza, tra apparenza e contenuti, tra glamour e drama.
Con “Lunar Park” Ellis ci ha quindi regalato un perfetto spaccato dell’America post 11 settembre, camuffato da thriller-horror ambientato nel periodo di Halloween (e tra l’altro parecchio riuscito anche in questo senso) e per la prima volta lo scrittore si è allontanato dalle patinate realtà di L.A. e New York per andarsi a sprofondare nei sobborghi della provincia americana, in un’inedita versione desperate housebret.

“Imperial Bedrooms” resetta però quella (poca) umanità svelata nel lavoro precedente. Nel suo essere totalmente svuotato di sentimenti ed emozioni è talmente disarmante che quasi si comincia a pensare che persino l’Ellis degli anni 80 fosse un sentimentalone al confronto. Eppure anche questa volta fa centro, per quanto sia finora il suo romanzo meno riuscito, dando una immagine tragicamente realistica della società attuale e mischiando fiction e realtà come nei telegiornali che vediamo tutti i giorni. A tratti Ellis spinge a fondo sul pedale della cronica dipendenza da alcool & droghe, della violenza, della prostituzione minorile (Silvio ti fischiano le orecchie??), ma niente ormai ci può più sconvolgere, niente ci può più toccare, niente ci può più dare emozioni.

Certo, va anche detto che non tutto funziona in questa camere da letto imperiali e l’impressione di trovarci di fronte a un esercizio di stile, per quanto splendidamente scritto, è spesso dietro l’angolino. A volte si ha persino l’impressione che Bret ci voglia prendere per il culo proponendoci un’autoparodia di se stesso. L’intreccio thriller/complottistico che sta alla base del pretesto narrativo è poi piuttosto deboluccio e non all’altezza di “Glamorama”, quasi ci trovassimo in un film di serie B di quelli cui Ellis ora lavora per arrotondare lo stipendio.

La sensazione però è che quella noir non sia la vera storia che Bret ci vuole raccontare. Ciò che ci vuole raccontare davvero è il nostro mondo e la nostra vita di oggi, arrivando a una semplice tragica conclusione: siamo fottuti.
(voto 7)


The Informers
(USA 2008)
Regia: Gregor Jordan
Sceneggiatura: Bret Easton Ellis, Nicholas Jarecki
Cast: Jon Foster, Amber Heard, Austin Nichols, Billy Bob Thornton, Kim Basinger, Mickey Rourke, Winona Ryder, Mel Raido, Chris Isaak, Brad Renfro, Lou Taylor Pucci, Rhys Ifans, Cameron Goodman
Genere: revival 80s
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Le regole dell’attrazione, Al di là di tutti i limiti, American Psycho, The Wrestler, Magnolia, Crash - Contatto fisico

“The Informers” è un film tratto dalla raccolta di racconti adolescenziali di Bret Easton Ellis uscita in Italia con il fantasioso titolo “Acqua dal sole”. Lo stesso Ellis qui in versione sceneggiatore è partito da quelle storie sconnesse per cercare di costruire un film mosaico alla Magnolia ambientato nella Los Angeles anni Ottanta.
La pellicola è riuscita in parte: l’attacco funziona alla grande, tra sesso, droga, scintillante musica Eighties ed edonistico male di vivere. It’s Bret Easton Ellis, bitch. I personaggi sono i soliti bastardi ellissiani con i Ray-Ban Wayfarer perennemente su, zombie tanto belli fuori quanto vuoti dentro, impegnati in varie storie più o meno collegate tra loro: un triangolo sessuale tra amici, una coppia di genitori in crisi, una rockstar sul viale del tramonto che ancora va a letto con ragazzine/ragazzini, un padre e un figlio che vanno a fare una vacanza insieme alle Hawaii, un tizio che rapisce un ragazzino (quest’ultima è la storia più sconnessa dal resto e poteva tranquillamente essere lasciata fuori).

Memorabile la scena del funerale di uno dei ragazzi, in cui viene suonata la straniante “Shadows of the night” di Pet Benatar e il rinfresco post-cerimonia è un sushi bar, mentre gli i suoi “amici” commentano:

“Non possiamo farci niente. È successo, fine. Bisogna passare oltre.”
“Ha ragione, è roba di una settimana fa.”

La cornice è impeccabile, eppure non si riesce a rendere del tutto in immagini (come avviene nel capolavoro di Roger Avary “Le regole dell’attrazione”) la cattiveria e l’ironia delle parole di Ellis impresse su carta, anche perché il materiale di partenza non è già tra le cose migliori dell’autore. Il regista Gregor Jordan è comunque in splendida forma visiva e il cast sfodera alcune star come Billy Bob Thornton, Winona Ryder, il cantante Chris Isaak (quello di “Wicked Game”), Brad Renfro alla sua ultima prova (l’attore è morto di overdose il 15 gennaio 2008), due icone 80s come Kim Basinger e Mickey Rourke (ma i loro personaggi non si incontrano mai, quindi non aspettatevi un rendez-vous alla 9 settimane e ½); a spiccare prepotente in tutto il suo splendore è però soprattutto la giovane Amber Heard, meravigliosa creatura che sembra uscita direttamente dalla penna di Ellis.

Ai “babbani” ignari di Ellis sembrerà una pellicola superficiale e sconnessa, senza alcun senso e forse è veramente così. Ma per gli appassionati dello scrittore americano, “The Informers” è un bel tuffo dentro il suo mondo, dentro i suoi personaggi, dentro un grande vuoto esistenziale che negli ultimi 30 anni anziché colmarsi non ha fatto altro che ingigantirsi. Sono gli anni 80 che non hanno mai fine. È il nulla che avanza.
(voto 6/7)

Signore e signori, buonanotte

Che dire? Dopo Leslie Nielsen se n’è andato anche il regista Mario Monicelli.
Era ricoverato in ospedale gravemente malato e ha deciso che era arrivata la sua ora, che la vecchiaia era un peso ormai troppo insopportabile, che quella era la sua rivoluzione.

La grande guerra è finita
Per sempre è finita
Almeno per me

lunedì 29 novembre 2010

Wikilicks

Finalmente pubblici gli scoop di Wikileaks, in quello che è già stato definito (dal “nostro” Frattini) l’11 settembre della diplomazia.

“Berlusconi fa dei festini selvaggi!”

Ah, lo sapevate già? Tutto il mondo già lo sapeva?
Ok, ma allora vi diciamo che pure Gheddafi c’aveva il suo bell’harem.

Non è una novità neanche questa? Vabbè, allora subito un altro scooppone bomba. Tenetevi forte: “Berlusconi… leccaculo di Putin.”

Ommioddio, sapevate pure questa?
Ok, scusate, abbiamo esagerato un pochino creando tutte queste aspettative e forse non abbiamo nessun cazzo di scoop. Però eccovi l’ultima, questa non la sa nessuno. Pronti gente? “Berlusconi secondo gli americani è un incapace”.

...


Leslie Nielsen: morto e contento

Ciao Leslie, grazie per le risate


(Leslie Nielsen 1926 - 2010)

domenica 28 novembre 2010

Il sogno degli italiani

E a proposito di ragazze facili (vedi il mio post precedente), ecco l'intervista di Skytg24 con Nadia Macrì, la escort clamorosamente maggiorenne che afferma di essere stata con l'uomo autodefinitosi il sogno degli italiani (anche se per molti è più che altro un incubo).

Ragazza facile (per essere eleganti e non usare la parola con la P, o quella con la T, o quella con la Z)

Easy A
(USA 2010)
Regia: Will Gluck
Cast: Emma Stone, Penn Badgley, Amanda Bynes, Alyson Michalka, Thomas Haden Church, Stanley Tucci, Patricia Clarkson, Lisa Kudrow, Dan Byrd, Cam Gigandet, Malcolm McDowell
Genere: high school
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Mean Girls, La ragazza della porta accanto, Saved!, Benvenuti a Zombieland, Sixteen Candles – Un compleanno da ricordare, The Breakfast Club

Se siete alla ricerca della definizione di commedia brillante, potete anche smettere di rovistare Wikipedia e guardarvi questo “Easy A”.
Ci sono sceneggiature scritte talmente bene da farti invidia e questo è uno di quei casi in cui c’è da rosicare parecchio. La trama è piuttosto semplice, niente di sconvolgente o di mai visto prima: una ragazza del liceo piuttosto anonima a un certo punto diventa la “gossip girl” del momento, la ragazza più chiacchierata della scuola per una storia finta messa in giro da lei stessa.
Da lì in poi la vicenda le scappa sempre di più di mano e finisce, in una maniera analoga a quanto succede a Lindsay Lohan in “Mean Girls” o alla protagonista della lettera scarlatta (da qui la A del titolo), per diventare ciò che non avrebbe mai creduto possibile: non una zoccola qualunque, ma LA zoccola dell’intera scuola.

Ok, storia adolescenziale carina e tutto ma non è questo il punto di forza del film. Questa commedia infatti ha ritmo, battute ironiche, esilaranti, ficcanti sparate a raffica una dietro l’altro bang bang, però allo stesso tempo riesce anche a riflettere in maniera affatto superficiale sulla questione non solo della popolarità a scuola, bensì su come tutti nella vita ci costruiamo un’immagine e veniamo recepiti dagli altri. Per ciò che siamo veramente, oppure per voci e bugie messe in giro, magari costruite ad arte da noi stessi. E allora cosa è reale e cosa è finzione? Una domanda che si pone “Inception” ma, seppure in maniera infinitamente meno complessa, pure questa travolgente commedia.

In stato di grazia la protagonista Emma Stone, una rossa uragano già vista nell’altrettanto strepitoso “Benvenuti a Zombieland” e che potrebbe seguire le orme di Lindsay Lohan ma anche no. In “Easy A” è una vera forza della natura, sexy e divertentissima allo stesso tempo, perché -fanculo!- ma chi l’ha detto che una non può farti ridere e fartelo venire duro allo stesso tempo? E la cosa non  implica che lei debba ridere della tua erezione.
Nel resto dell’ottimo cast ci sono Penn Badgley di “Gossip Girl”, l’insopportabile ma qui invece simpatica Alyson Michalka della serie tv sulle cheerleaders “Hellcats”, la stralunata Phoebe di “Friends” Lisa Kudrow, un ottimo Stanley Tucci in versione papà e un cameo persino per Alex il Drugo Malcolm McDowell.

Oltre a “La lettera scarlatta” di cui questo film è quasi uno stravolto remake moderno, c’è ampio spazio anche per una divertente presa per il culo del puritanesimo cristiano alla “Settimo cielo” e uno splendido omaggio alle commedie anni ’80 di John Hughes. E a questo proposito, il film può essere considerato una sorta di update all’epoca di YouTube e iPhone dei suoi film. Quale miglior complimento per una pellicola adolescenziale?
(voto 8)

In Italia esce il prossimo 4 marzo, ma in rete è già available in inglese con sottotitoli italiani.

sabato 27 novembre 2010

Kid on the moon

Kid Cudi “Man on the Moon II: The Legend of Mr. Rager”
Provenienza: Cleveland, USA
Genere: rap dopato
Se ti piace ascolta anche: Kanye West, Gorillaz, The Roots, Crookers

Kid Cudi è uno che mi sta simpatico in primo luogo per il nome che si è scelto e in secondo luogo perché è un rapper in grado di spaziare attraverso i generi senza limitarsi all’hip-hop ebbasta. Al punto che è maggiormente celebre, perlomeno in Europa, più per le sue collaborazioni electro con i nostri Crookers in “Day’n’night” e con il franscesone David Guetta in “Memories”.
Ma Cudi è molto più di questo e molto altro ancora: il suo mixtape d’esordio “A kid named Cudi” era qualcosa di sconvolgente pronto a stravolgere il mondo come un uomo arrivato dalla Luna. Peccato che l’album d’esordio “Man on the Moon: The End of Day” per quanto notevole e di gran lunga superiore al resto della scena rappistica mondiale non era la rivoluzione preannunciata.

Con questo nuovo “Man on the Moon II: The Legend of Mr. Rager” Cudi corregge il tiro e realizza un lavoro di quelli che più li ascolti e più ti trascinano dentro il loro mondo fatto di stanze segrete e suoni nascosti.
Kid Cudi apre subito alla stragrande citando il capolavoro nerd “Scott Pilgrim vs. The World” nel brano “Scott Mescudi vs. The World” (il vero nome del rapper è infatti Scott Ramon Seguro Mescudi), una meraviglia assoluta con l’accompagnamento di un Cee-Lo Green mai così grande da “Crazy” con gli Gnarls Barkley.


I ritmi rallentati di “REVOFEV”, “Marijuana” e “Mojo so dope” lo mettono invece quasi sul piano di un rapper crooner fatto di cannabis, fino allo struggimento della malinconia assoluta di “All along”.
Ma il disco può piacere anche al popolo rock, grazie alla presenza di numerose chitarre e all’anthem da stadio “Erase Me” (con lo zampino del solito Dio Kanye), complice il video in cui Cudi diventa Kid Jimi Hendrix. Ed è un pezzo perfetto per fare jogging, tra l’altro, con quel ritornello che fa

I keep on running, keep on running
And nothing works
I can't get away from you, no


Il popolo indie non potrà quindi che applaudire alla collaborazione con St. Vincent e lo spettro della sua “The Strangers” che si anima in “Maniac”, quello r’n’b si esalterà invece per l'ospitata di una Mary J. Blige da tempo lontana da questi livelli. E insomma ce n’è per tutti i gusti quindi venghino signori venghino dentro questo album complesso, stratificato, ricco, da combustione lenta. Ben fatto kid.
(voto 7/8)

Duffy - L'ammazzavampiri

Duffy “Endlessly”
Provenienza: Galles
Genere: pop 60s
Se ti piace ascolta anche: Amy Winehouse, Pipettes, The Like, Adele, Paloma Faith, Brenda Lee, Linda Scott, Supremes

In attesa che quella stordita di una Amy Winehouse si decida a tirare fuori finalmente un seguito al capolavoro “Back to black” (2006), Duffy con il seguito dell'ottimo "Rockferry" va in scioltezza a sedersi sul trono del pop retrò ammazzando qualunque tipo di concorrenza con questo nuovo album scritto in collaborazione con lo storico Albert Hammond (padre del chitarrista degli Strokes).

“My boy” inzia pop e leggera, tutto bene ok, ma è con la stupenda “Too hurt to dance” che si inizia a fare davvero sul serio. I ritmi si fanno rallentati ed è questa la Duffy che personalmente preferisco: voce intensa, spezzata e sofferta su una base leggera da locale fumoso dei sobborghi della Swinging London primi anni 60. Sembra di stare dentro a “An Education”, pellicola che non a caso si chiudeva proprio con “Smoke Without Fire” cantata da Duffy sui titoli di coda, oppure in un film di David Lynch prima che avvenga qualcosa di inquietante e orribile.


“Keeping my baby” ha suoni maggiormente disco ’70, ma anche un ritornello splendidamente malinconico e “Well Well Well”, tralasciando l’uso sconsiderato nella solita campagna Tim, è uno dei pezzi più irresistibili degli ultimi mesi, pura popedelia d’altri tempi e che si fottano De Sica e la Belen.


“Don’t forsake me” è un pezzo di una bellezza classica, disperata, quasi da lacrime. Anzi togliamo pure il quasi.
Il delicato pezzo che dà il nome all’album “Endlessly” vorresti che durasse per sempre, non solo per 3 miseri stupendi minuti. Poi si giunge a “Breath Away” e, per quanto banale possa essere da dire, ti toglie davvero il fiato. Brividorama.


“Lovestruck” travolge con il suo ritmo uptempo e i suoi archi raffinati, mentre “Girl” va in direzione leggera e scanzonata yeah yeah e “Hard for the hearth” è una roba d’altri tempi a cui ci si può solo inchinare che va a chiudere un album breve (come gli lp di una volta) ma intenso (come gli lp di una volta).
Essere imparziali? Nel caso di Duffy non se ne parla: che disco, che voce, che classe. Senza fine.
(voto 8+)

venerdì 26 novembre 2010

L'aereo più pirla del mondo

Altitude
(Canada, USA 2010)
Regia: Kaare Andrews
Cast: Jessica Lowndes, Landon Liboiron, Jake Weary, Julianna Guill, Ryan Donowho
Genere: aereo più pazzo del mondo
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Final Destination, Flightplan – Mistero in volo, Snakes on a Plane

“Altitude” è uno di quei film facilmente etichettabili nella categoria “cagate”, come ad esempio anche il da me recentemente recensito “Il nome del mio assassino” con Lindsay Lohan. E non sarebbe nemmeno un errore. Eppure il film si lascia guardare e offre alcuni spunti che, pur con tutti i suoi enormi difetti e limiti, mi fa tenere il pollice moderatamente su.

La storia si svolge in pratica quasi tutta all’interno di un piccolo aereo privato, secondo una tendenza del cinema moderno di limitare l’azione in un solo claustrofobico ambiente vedi “Paranormal Activity”, “Cube”, “Phone Booth”, “Devil”, “Saw”, “Lebanon”… hey, ho un dejavu: questo discorso l’ho già fatto parlando di “Buried” quindi se volete potete leggerlo QUI.

Tornando invece ad “Altitude”, il solito gruppetto di sgarrupati ragazzetti decide di fare un tranquillo viaggio di paura per andare a vedere un concerto dei Coldplay, quando in realtà sembrano più pronti per andare a vedere i Jonas Brothers. Certo va riconosciuto loro un bel coraggio a salire su un aereo pilotato da Jessica Lowndes, nel cast della serie “90210” (non quella mitica degli anni ’90, ma il ridicolo remake di oggi), una di quelle attrici che a prima vista contribuiscono allo stereotipo che se sei troppo gnocca non sai recitare. E a seconda vista pure. Però è davvero gnocca.

Anche gli altri membri del cast non sono certo messi meglio: oltre alla pilotessa che si crede Maverick in “Top Gun” mentre è già un miracolo se riesce ad accendere il motore, c’è una sosia di Hilary Duff pre-plastica, un tizio mezzo autistico fissato con i fumetti, un tale nel ruolo dell’aspirante rockstar (sc)emo che ha fatto la comparsa in sì e no 3 episodi di “The O.C.” e poi il più divertente: un mezzo wrestler fallito che sfotte tutti, poi si beve mezza birra e dopo 10 minuti di volo e già lì che sbocca anche l’anima.

In questo genere di film thriller-horror però la pochezza dei personaggi e degli attori coinvolti non sempre è un difetto; anzi, si può trasformare in un pregio visto che godi a vederli fare una brutta fine uno dopo l’altro. Una sadica soddisfazione che credo stia dietro alla volontaria scelta da parte del casting di queste pellicole di attori mediocri. A quando un bell’horror nostrano in cui i personaggi di fiction come “I Cesaroni” vengono fatti allegramente a pezzi?

L’avventura aerea di “Altitude” si sviluppa quindi tra visioni alla “Final Destination”, mostri assurdi vedo non vedo e un risvolto finale persino alla “Donnie Darko” (bestemmia!), con inserti inverosimili, un minimo di tensione, un’atmosfera claustro, girato così così, interpretato peggio ma tutto sommato stranamente piacevole. Come uno di quei viaggi con Ryanair in cui il pilota avrà sì e no 18 anni e per tutto il tempo sentite dei rumori strani e pensate che sicuramente vi andrete ad ammazzare ma alla fine –sorpresa!– quel ragazzetto riesce a portarvi dritti dritti a destinazione. E potete slacciarvi le cinture, tirando un bel sospiro di sollievo.
(voto 6+)

Take Death

Take That “Progress”
Provenienza: Manchester United
Genere: boy band
Se ti piace ascolta anche: Robbie Williams, Duran Duran, Spandau Ballet, East 17, Boyzone

The boy bands are back in town. Forse ispirati dagli Expendables di Stallone o più probabilmente no, i fab-five di Manchester sono tornati tutti insieme alla formazione originale. Più forti che mai? Beh, più o meno; i loro volti sono inevitabilmente segnati dalle prime rughe e le loro movenze feline di un tempo sono limitate, anche perché un colpo della strega a una certa età può sempre essere dietro l’angolo.

Dopo lo scioglimento nel 1996 (ricordo ancora le lacrime di disperazione delle mie compagne delle medie) i Take That si erano già riformati nel 2006 con l’ex cicciobombo cannoniere Gary Barlow, l’ex bimbominkia Mark Owen e i due manichini (non ex manichini) Howard Donald e Jason Orange e avevano riscosso un successo clamoroso, soprattutto in Uk, mentre la carriera di Williams stava vivendo una fase di fisiologico calo. E allora adesso Robbie Frusciante è rientrato nel gruppo e questo nuovo album “Progress” in Gran Bretagna ha subito stabilito la miglior prima settimana di vendita degli ultimi 13 anni, alla faccia della crisi del disco.

L’inizio dell’album gioca con l’epicità, come era lecito attendersi da una buona reunion che si rispetti, con il primo singolo “The Flood”.


Il secondo pezzo “SOS” è davvero un grido di SOS, ma persino eccessivamente lamentoso, con una voce stridula e acuta che domina (dev’esserci lo zampino di Mark Owen…).
“Wait” è un pezzo con una basetta electro anni ’80 venato di malinconia tra Duran Duran e Pet Shop Boys: pezzo migliore del lotto? Mi sa di sì.


“Kidz” è da apprezzare per il titolo e per il ritornello da sbronza al pub mentre “Happy now” è un pezzo disco-gay che sembra rubato agli Scissor Sisters. Poi, come succedeva abitualmente negli album commerciali degli anni ’90 (e ogni tanto ancora oggi) la seconda parte scema decisamente e viene piazzato qualche riempitivo di troppo con i pezzi più deboli che, non a caso, sono quelli in cui la presenza di Robbie Williams si sente meno (o per nulla).
La produzione, ad essere pignoli, sarebbe potuta essere migliore, soprattutto se paragonata a certe sborronerie electro-hip-hop del mainstream americano attuale, ma le canzoni hanno comunque una buona piacevolezza pop e soprattutto c’è quel sapore di nostalgia che riporta indietro ai brufolosi anni ‘90. The boys are back in town.
(voto 6+)

giovedì 25 novembre 2010

Un popolo civile


Un popolo civile, quale noi siamo, dovrebbe menare uno come te.
E infatti ieri te le sei prese.

Questione di karma, fratello

Ryan Reynolds in Buried
Buried – Sepolto
(Spagna 2010)
Regia: Rodrigo Cortes
Cast: Ryan Reynolds
Genere: tombale
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Phone Booth, Kill Bill

Sei il marito di Scarlett Johansson? Sei stato eletto uomo più sexy del mondo dalla rivista People? Sì, sei tu? E allora per punizione la polizia del karma ha deciso che ti meriti di startene un bel po’ rinchiuso in una bara. Scusa, ma è giusto per ristabilire un po’ di cazzo di giustizia in questo mondo.

Dev’essere da questo spunto che sono partiti il regista e lo sceneggiatore di “Buried”: prendiamo Ryan Reynolds e diamogli ciò che gli spetta per essere l’uomo più fortunato del mondo. Bene, peccato che oltre a questa soddisfazione, comunque non da poco, il film non è che conceda molto altro.

Ancora Ryan Reynolds in Buried
La trama è davvero minimal: il camionista Ryan Reynolds si trova chiuso in una bara sepolta sotto terra da qualche parte nel deserto dell’Iraq. Tutto ciò che ha disposizione sono una luce, un po’ d’acqua e un cellulare. Perché siamo nel 2010 e i cellulari te li tirano dietro pure nelle bare.
Il film si lascia vedere perché pone alcuni dubbi amletici, come “Chi ha messo Ryan lì dentro?” o “Riuscirà Ryan a uscire dall tomba come la Sposa di Kill Bill?”, “Ryan è finito in una puntata di Scherzi a parte o Punk’d” o ancora “Ryan avrà attivato la Vodafone passport?” In caso contrario, a telefonare dall’Iraq spende una fortuna e se anche si salva quando torna a casa Scarlett mi sa che lo ammazza di botte.

E, a sorpesa: Ryan Reynolds in Buried.
Oh, non ci sono altri attori in sto ca**o di film
Su questo film avevo sentito pareri parecchio contrastanti, tra chi parlava di capolavoro assoluto e chi parlava di cagata altrettanto assoluta. Chi parlava di capolavoro o dev’essersi fatto di metanfetamine e quindi vedere un tizio chiuso in una bara per un’oraemezza dev’essergli apparso come un trip irripetibile, oppure non ha mai visto "Phone Booth - In linea conl'assassino" o "Kill Bill". Dal primo riprende la stessa struttura, solo che quello era ambientato in una cabina telefonica e aveva una sceneggiatura molto più inventiva. Da "Kill Bill Vol. 2" riprende invece la memorabile scena di Uma rinchiusa sotto terra, solo che in quel caso l’immobilità della scena veniva animata da un memorabile flashback. Tarantino aveva preso l’idea tra l’altro dall’episodio “Usignolo” della quarta stagione di “Alias”, in cui Sydney Bristow alias Jennifer Garner si risvegliava dentro una bara e l’ha poi riproposta pure nell’episodio da lui diretto di “CSI”.
Quindi diciamo che questo “Buried” è sì un film estremo, visto che è interamente ambientato dentro una bara, però non rappresenta certo qualcosa di nuovo o mai visto, anche perché poi quella di limitare l’azione in un solo claustrofobico ambiente non è pure questa una novità. Si vedano in proposito “Saw”, “Paranormal Activity”, “Devil”, “Lebanon”, etc. Ma da cosa è partita questa claustro tendenza? Credo che la colpa sia da attribuire al geniale (e parecchio inquietante) “Cube – Il cubo” di Vincenzo Natali, uno di quei film che vanno visti una volta nella vita e poi basta, a meno che non si goda nello stare male. E poi alla crisi economica: cosa c’è di più low-cost del girare in una location sola con un numero limitato di attori?

Ridi ridi, David Silver.
Ma il karma prima o poi verrà a prendere anche te

“Buried” porta tutto questo discorso alle estreme conseguenze: una location piccolissima (la bara) e un unico attore (il fortunello Reynolds). Per il resto può essere considerato magari non una cagata totale, ma solo una mezza-ciofeca, visto che il film si lascia comunque vedere fino alla fine, seppure con una tensione non sempre alle stelle. La sceneggiatura a tratti non sa più che pesci pigliare (ad esempio quando compare persino un serprente), ma a tratti se la cava con qualche riflessione sulla guerra; anche se pure in questo caso uno “Shadow” del nostro Federico Zampaglione presenta spunti decisamente più interessanti e originali.
Buona infine la prova di Reynolds, però chi ha parlato di possibile nomination all’Oscar per lui mi sembra decisamente fuori strada. Primo: un horror claustro del genere non credo sia minimamente preso in considerazione dall’Academy. Secondo: Ryan, sei un figo, sei sposato con Scarlett Johansson, ti seguo dai tempi di “Maial college” e mi stai pure simpatico, però da qui ad arrivare a dire che sei un attore da Oscar ne passa di terra sopra la bara.

Per un eventuale sequel del film propongo come protagonista Brian Austin Green (il David Silver di “Beverly Hills 90210”). Ti sei sposato Megan Fox? E allora adesso per penitenza ti becchi la tua bella permanenza in una bara. Perché come insegna “My Name is Earl” il karma non perdona mai, tiè!
(voto 5)

mercoledì 24 novembre 2010

Indie-sfigati uniti contro il mondo

Scott Pilgrim vs. The World
(USA, Canada, UK 2010)
Regia: Edgar Wright
Cast: Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Ellen Wong, Kieran Kulkin, Jason Schwartzman, Anna Kendrick, Alison Pill, Johnny Simmons, Chris Evans, Brie Larson, Brandon Routh, Aubrey Plaza, Mark Webber, Mae Whitman, Erik Knudsen, Bill Hader
Tratto dalla graphic novel di: Bryan Lee O’Malley
Genere: fumettoso
Link: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: American Splendor, Se mi lasci ti cancello, Juno, Zoolander, (500) giorni insieme, Sky High – Scuola di superpoteri
Frase cult del film: “I’m in lesbian with you”

Già prima della sua uscita, “Scott Pilgrim vs. The World” si candidava prepotentemente come film indie-nerd dell’anno. Dopo averlo visto posso dire che è di più: è il film indie-nerd per eccellenza di tutti i tempi. Una vera goduria per gli occhi e per le orecchie.

“Scott Pilgrim” è una serie a fumetti creata da Bryan Lee O’Malley poco conosciuta in Italia ma un cult assoluto dall’altra parte dell’Oceano, però Scott Pilgrim non è certo uno di quei supereroi Marvel/DC alla Clark Kent o Bruce Wayne. O meglio, in qualche strambo modo un supereroe lo è (ma più alla Peter Parker) visto che per amore si ritrova a combattere e lo fa anche senza esclusione di colpi. Però fondamentalmente lui è ben altro: cazzeggia in giro (per non dire che è disoccupato) è un bassista nella fichissima rock band dei Sex Bob-omb ed è una sorta di versione nerd di un playboy che indossa le t-shirt degli Smashing Pumpkins.

Dopo aver rotto con la sua ex storica, la biondazza bonazza rockstar Envy Adams, Scott si ritrova invischiato in un triangolo amoroso tra una ragazzina liceale groupie della sua band e una nuova misteriosa ragazza ganza dai capelli viola arrivata in città: Ramona Flowers è il suo nome. Per mettersi insieme a lei dovrà però prima affrontare 7 suoi folli, diabolici, maligni ex ragazzi (e ragazze): lo spunto geniale del fumetto e del film è infatti quello di trasformare le relazioni sentimentali in una sorta di videogame a livelli.


A tradurre un fumetto del genere, il rischio era però quello di finire per fare il solito cine-videogame fracassone idiota e visivamente inguardabile. Per fortuna il regista Edgar Wright (il fenomeno già dietro al super cult comedy-horror inglese “L’alba dei morti dementi” e alla parodia degli action-movies “Hot Fuzz”) utilizza uno stile che ruba dal mondo dei fumetti e dei videogame in maniera davvero creativa e originale, senza dimenticarsi comunque che sta pur sempre facendo un film e non giocando alla Playstation: a livello visivo direi che quindi questa è tra le pellicole più innovative e particolari viste negli ultimi 150 anni. Mica esagero.
Stupenda già la sigla iniziale con musica e grafica in 8-bit, più l’uso creativo dei baloon e di altri espedienti fumettistici in varie scene, ma tutta la pellicola è un vero luna park di invenzioni stilistiche e narrative ge-nia-li! Roba che uno non fa in tempo a rimanere stupito per una trovata che subito ne spunta un’altra che ti lascia ancor più senza fiato.
Senza tralasciare una notevole colonna sonora (ovviamente indie, anzi indieissima) che va da Beck ai T-Rex, con il momento più emozionante sulle note della cover di “By Your Side” di Sade firmata Beachwood Sparks. E naturalmente ci sono anche loro, i mitici Sex Bob-omb di Scott Pilgrim.


Assurdo poi quanti giovani talenti riesca a racchiudere un film solo. Il protagonista ovviamente non poteva essere che lui, il volto degli indie sfigati per eccellenza: il Michael Cera di “Juno”, chi se no? La ragazza dei suoi sogni (letteralmente, visto che la vede prima in sogno e poi nella realtà) è interpretata da quello schianto di una Mary Elizabeth Winstead, una delle Grindhouse girls di Tarantino nonché figlia di Bruce Willis nell’ultimo Die-Hard, una che nel film passa con disinvoltura dai capelli rosa, al blu e al verde senza perdere mai fascino, una che al solo pronunciare il suo lungo nome ci si fa in tempo ad innamorarsene.
La sorella impicciona (e pure stronza) di Scott che sa tutto ancor prima che una cosa succeda è la mia super preferita Anna Kendrick di “Tra le nuvole”, ancora una volta stellare seppure in una piccola parte, mentre l’ex storica Envy Adams è interpretata dalla Brie Larson della serie cult “United States of Tara”.
Sul fronte malvagi ex di Ramona Flowers troviamo invece: il macho Chris Evans (“I fantastici 4”) nell’ironica parodia di se stesso, un superficiale e idiota vegano Brandon Routh (“Superman Returns”) davvero esilarante, il solito immenso divertentissimo Jason Schwartzman (quello della serie “Bored to Death” e dei film di Wes Anderson e della cuginetta Sofia Coppola) e la ex lesbo Mae Whitman dall’ottima serie tv “Parenthood”.

Spassoso pure il miglior amico gay di Scott, interpretato da Kieran Culkin (fratello di quello che aveva perso l’aereo) e da tenere d’occhio la batterista Alison Pill (già segnalatasi in “Milk”) e la scatenata cinesina Ellen Wong, mentre un altro piccolo ruolo cult che fa morir dal ridere è quello della rompiballe Julie interpretata da Aubrey Plaza.

Tutti i personaggi sono assolutamente fumettistici e idealizzati e le situazioni sono talmente assurde che niente in questo cine-fumetto potrebbe sembrare reale o anche solo con un minimo di senso logico. Eppure dietro la scintillante e divertentissima patina della strabiliante costruzione citazionista-registica c’è tutto il fascino dell’infatuazione, dell’innamoramento, della disillusione di una storia d’amore vera, che come sottolinea il buon Mr. Ford è “l'amore di Alta fedeltà, Se mi lasci ti cancello, (500) giorni insieme, Juno”.

Il film indie-nerd-sfigato definitivo di tutti i tempi e di tutte le galassie, quindi. Ma con dentro un cuoricino che pulsa.
(voto 9+)

E-e-e-e-e-e-e-e-e stop telephonin' me

Quando ti telefona un operatore del call center, che chiami da Telecom, Infostrada, Tele2 o quant'altro, sai già cosa aspettarti.
Quando ti telefona Silvio Berlusconi è uguale: o cerca eroicamente di salvare la vita a una figa minorenne, oppure ti si attacca con Floris, forse la persona forse più pacifica e pacata di questo mondo dalla scomparsa di Mahatma Gandhi:

Lei crede che la Rai sia sua. Siete dei mistificatori!

Al ché la tattica migliore è tirar fuori la scusa standard che si usa con gli operatori dei call center:

Silvio, non ci chiami più per favore: stiamo cenando. E comunque adeschh.. ci dev'esser un'interf... shch... mignott... shsch.. puttan.... schch.. non... la... schhch.... scento... più.. shchcsh



martedì 23 novembre 2010

Au revoir

La vera rivoluzione? Ritirare i soldi dalle banche.
A proporla è un politico? Certo che no, ma quest'uomo qui.
Non so se sarebbe la soluzione giusta, o la migliore.
Sicuramente però sarebbe un bello scossone.
Tanto può andare peggio di così?

Au revoir banque

(dal sito: Lo sai, pagina Facebook)

Noi non abbiamo voglia di fare un ca**o

Puntata scoppiettante ieri sera di “Vieni via con me”. Peccato che in un programma come questo originale, ben realizzato, dove trovano spazio voci che spesso non si sentono in tv, il livello musicale sia alquanto discutibile e fuori dal tempo: Ivano Fossati? Sbadigli. Fiorella Mannoia che interpreta “Sally” di Vasco Rossi? Una lagna inascoltabile. Dobbiamo poi per forza far cantare anche Luca Zingaretti? Ma per favore.
Si parla tanto di giovani talenti e di fuga di cervelli, perché allora dare spazio a una come la Mannoia che imperversa già ovunque, da Sanremo a X-Factor fino ad Amici di Maria de Filippi? Perché non invitare invece Fabri Fibra o, come suggerisce il blog Onan Records, è così assurdo immaginare ospite Le luci della centrale elettrica? Entrambi sarebbero assolutamente perfetti per elencare la vera Italia di oggi.
Agghiacciante poi la comparsata (obbligata) di Roberto Maroni, che ha tradito lo spirito del programma con una non-lista che in realtà si è trasformata nella solita sequenza autocelebrativa dei successi del Super Governo.
Ma passiamo alle cose positive. Che sono davvero positive.
Corrado Guzzanti è stato esilarante, una vera macchinetta fabbrica risate con le sue "battute che non aiuteranno il programma".

Su tutte cito

Berlusconi: “Scopo tutto il giorno. Vi dà così fastidio se la sera lavoro un’oretta?”

e la gran chiusura

Non abbiamo fatto la fine della Grecia. Non abbiamo fatto la fine del Portogallo e dell’Irlanda. Speriamo di non fare la fine dell’Italia.


Ma il vero idolo della serata è stato lui, David Anzalone, che ha presentato un elenco dei privilegi degli handicappati senza ipocrisie e con un umorismo infinito. Standing ovation

lunedì 22 novembre 2010

Elliott

I White Lies, gruppo dalle sonorità dark wave tra Joy Division ed Editors, sono tornati con il singolo che anticipa il nuovo album “Ritual”, in arrivo a gennaio 2011, e con un video omaggio a E.T. (tanto per rimanere in tema con il post di oggi su Harry Potter e sui film in qualche modo legati alla magia dell’infanzia).

Breve guida babbana al magico mondo di Harry Potter

Non sono un fan di Harry Potter e un babbano che parla di Harry Potter, ne sono cosciente, rischia di fare la brutta fine di uno che vuole esprimere una libera opinione a un convegno del Popolo della Libertà. In ogni caso corro questo grave pericolo per cercare di analizzare la fenomenologia potteriana e quale diavoleria magica si nasconda dietro al suo enorme successo.

Pillole di trama: Harry Potter non è un ragazzino come tutti gli altri; i suoi genitori erano infatti dei maghi morti per mano del potente e crudele stregone Voldemort. Nello scontro, Harry poppante è riuscito (magia) a sopravvivere e sembra anche sia il Prescelto (come Neo di “Matrix”) in grado di sconfiggerlo.

Harry cresce così con gli odiosi zii babbani (i babbani sono le persone normali, quelli che non hanno poteri), fino a che verrà reclutato nella scuola di magia di Hogwarts. Se nella vita reale è fondamentalmente uno sfigato, a Hogwarts invece rivela subito doti magiche incredibili e dopo poco diventa una specie di nuovo mago Merlino. Con lui a scuola ci sono l’amico imbranato Ron (il personaggio più divertente, cui però dovrebbero dedicare più battute e gag) e la mitica Hermione: è la prima della classe nonostante i suoi genitori siano dei babbani, ha una cotta per Ron (ma probabilmente pure per il suo migliore amico Harry) ed è una nerd totale. Insomma, è il personaggio numero 1 della saga.

Dalla parte di Harry ci sono poi anche il preside della scuola Albus Silente, un tizio che sembra Gandalf ma quando parla è noioso quanto Barbalbero, la sua guida Hagrid, un ciccione barbuto che ho scoperto con somma sopresa NON essere Hurley di “Lost” e Ginny la sorellina di Ron per cui Harry si prende una cotta, mettendo quindi a tacere le insistenti voci su una sua presunta omosessualità.
Contro quel maghetto odioso di Harry ci sono invece tutte le forze del male capitanate da Lord Voldemort, che ha anche alcuni infiltrati all’interno della scuola di Hogwarts: Severus Piton (il sosia ufficiale di Renato Zero, uno che prima o poi sai già che griderà: "Non dimenticatemi!") e Draco Malfoy, il ragazzino anti-Potter per cui faccio il tifo in maniera spudorata.

Harry Potter by J.K. Rowling è un brand talmente forte che può essere paragonato al McDonald’s: se i panini dello zio Mac per un intenditore di cibo sono delle autentiche schifezze, fanno ingrassare, fanno male alla salute e non hanno certo un gusto per palati fini, grazie forse a delle sostanze magiche e dopanti inserite al loro interno creano dipendenza e possono essere considerati buonissimi.
Allo stesso modo i film di Harry Potter sono cinematograficamente poca cosa, presentano trame arzigogolate e ricchi di riferimenti che un babbano fa molta fatica a seguire (“Inception” al confronto è una vera passeggiata) e sono prodotti in serie. Prendi il primo e gli altri ricalcano la stessa struttura. Che poi ogni episodio incomincia con il ritorno alla scuola di Hogwarts saltando a piè pari le vacanze estive dei personaggi, cosa che a me personalmente interesserebbe molto: vorrei vedere ad esempio se Harry al mare si mette la protezione 50 oppure fa una magia per proteggersi dal sole, o se Hermione si esercita con gli incantesimi anche sotto l’ombrellone.

Quando mi sono avvicinato al primo film La pietra filosofale speravo di trovarci dentro la magia dei miei cult infantili, come ad esempio “Mamma ho perso l’aereo” dello stesso regista Chris Columbus, aiutato dall’incantato tema musicale creato dal grande John Williams (Guerre stellari, Indiana Jones, E.T., Jurassic Park e un sacco di altre colonne sonore memorabili); però, pur apprezzandolo in parte non sono riuscito a calarmi al 100% nella storia e nelle sue avventure fantasy come mi era capitato da bambino. Ero diventato troppo grande? Pensavo di sì, però nello stesso periodo la trilogia de “Il signore degli anelli” è riuscito (e senza incantesimi) a farmi tornare bimbo e allora ho capito che il problema era un altro: laddove Peter Jackson era riuscito a creare un mondo cinematografico fantastico, a Harry Potter manca invece un tocco autoriale forte e il continuo cambio di registi ne è la dimostrazione.
Al di là di una questione meramente generazionale, mancano poi in Harry Potter quelle scene davvero “magiche” come la corsa in bici con la luna sullo sfondo di “E.T.” o il volo di Bastian in groppa al drago ne “La storia infinita”. Ammettetelo potteriani: Harry e i suoi amichetti che volano su Londra sopra le loro scope non sono proprio la stessa cosa.

Il secondo episodio La camera dei segreti segue la linea tracciata dal primo capitolo ma è vivacizzato dalla presenza dell’elfo Dobby, un personaggio ambiguo che pur non ai livelli del Gollum tolkeniano diventa il mattatore dell’episodio.
Con Il prigioniero di Azkaban nonostante Gary Oldman comincio ad accusare il colpo e a diventare annoiato dalle avventure sempre uguali dei maghetti di Hogwarts. Alfonso Cuaron, tra la commedia caliente “Anche tua madre” e l’ottimo fantascientifico “I figli degli uomini” si prende l’assegno dalla Warner Bros. ma non sembra del tutto a suo agio con le storie della Rowling.


Dopo una lunga pausa dal mondo potteriano, in occasione dell’uscita dell’ultimo capitolo mi sono quindi recuperato in questi giorni i restanti capitoli.
Ne Il calice di fuoco diretto dal buon mestierante Mike Newell (uno che passa con disinvoltura da “Donnie Brasco” a “Prince of Persia”), Harry partecipa alla Tre Maghi, un torneo che è una sorta di Champions League per giovani stregoni, in cui alla fine a rimetterci le penne è il povero Robert Pattinson. Poco male per lui visto che di lì a poco tornerà in vita come vampiro e diventerà l’idolo teen di “Twilight”, una serie che, nonostante i potteriani lo negheranno fino alla morte, ha maggiori punti di contatto con Harry piuttosto che con Dracula o Buffy.
Tra le cose da notare di questa pellicola ci sono i capelloni assurdi di Harry e c’è la scena del ballo, forse il mio momento preferito dell’intera saga, con Jarvis Cocker dei Pulp che a sorpresa sbuca fuori e si mette a cantare supportato da Jonny Greenwood (chitarra) e Philip Selway (batteria) dei Radiohead!



Con L’ordine della fenice arriva il nuovo regista David Yates, visivamente il meno dotato del lotto eppure da apprezzare per il suo tentativo di cambiare almeno un po’ le carte in tavola, visto che i primi 4 episodi sono tutti uno la copia dell’altro. E così si ritorna a dare un po’ di spazio al mondo babbano, con qualche scena a Londra, c'è Helena Bonham Carter e i personaggi si fanno un pochino più adulti, anzi adolescenti e cominciano a fornicare tra loro. Aspetti che hanno fatto storcere un po’ il naso ai fan hardcore della saga, ma che arrivano come una boccata d’ossigeno per chi fa fatica a reggere 2ore emmezza di sproloqui sulla magia che sembrano arabo.

La vena teenager viene però fuori ancora di più nel successivo Il principe mezzosangue, a mio parere il film più divertente della serie.
Harry è praticamente circondato da tipe: dopo essersi fatto una asiatica nel capitolo precedente, c’è una tizia che vuole rimorchiarlo in un bar a Londra, nel mondo babbano quindi e non in quello magico dove è una specie di rockstar. Peccato che arrivi quel rompimaroni di Silente a portarlo via in una delle sue stupide missioni magiche: Harry invece di incazzarsi come una iena per essersi perso una scopata assicurata se ne sbatte allegramente, felice di tornare al suo mondo magico. Ecco, tra tanti incantesimi, pozioni, elfi, maghi e cose strambe, questa è certo la cosa più assurda di tutte. Un sedicenne in preda agli ormoni che si comporta così non è normale, ma d’altronde uno che se ne va in giro con una civetta a voi sembra normale?


Ne Il principe mezzosangue finalmente veniamo a scoprire poi qualcosa di più sul cattivone supremo di tutta la saga: Berlusc… ehm, Voldemort, che da ragazzino era una sorta di incrocio tra Samara di The Ring e Carrie sguardo di Satana, e anche Harry per la prima volta è in qualche modo attratto dal lato oscuro. Peccato che il maghetto sia sempre tutto perfettino e buono al 100% e non venga dato davvero spazio alla sua potenziale malvagità, cosa che prima o poi capita a tutti i veri eroi, da Frodo a Spider-Man. Persino a quella lagna di un Clark Kent di “Smallville” che quando indossa l’anello nero diventa finalmente cattivo e finalmente interessante. Capisco che il target di riferimento potteriano sia principalmente (ma non solo) quello dei bambini, però la distinzione tra bene e male è troppo definita e assoluta.

Qual è dunque il grande fascino esercitato da questa saga? Finora forse non sono riuscito a spiegarlo, eppure anche per un babbano come me ritrovare quei tre, Harry Hermione e Ron, tutti insieme di nuovo a ridere per una battuta che non fa ridere nessuno e che capiscono solo loro è comunque qualcosa di stranamente emozionante, cui si resta affezionati e che commuove persino, perché in questi 10 anni è stato bello vederli crescere di film in film come fratellini o sorelline. Anche se Emma Watson negli ultimi tempi comincio a non vederla più tanto come una sorellina.
In Harry Potter c’è quindi un ingrediente segreto, come nella Coca-Cola o nei panini del McDonald’s, una droga che crea dipendenza e realizza la magia. E poi se i potteriani sono incuriositi soprattutto dallo scoprire come finirà lo scontro tra Potter e Voldemort (e avendo letto 1.000 volte i libri lo sanno già benissimo), noi babbani continuiamo a seguire questa saga fantasy per avere risposta alla nostra principale domanda: ma Harry e/o Ron alla fine se la trombano Hermione?
(Potteriani, non rispondete alla domanda please che se no mi rovinate tutta la sorpresa!)

Harry Potter e la pietra filosofale, 2001, regia: Chris Columbus (voto 7+)
Harry Potter e la camera dei segreti, 2002, regia: Chris Columbus (voto 6/7)
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, 2004, regia: Alfonso Cuaron (voto 6)
Harry Potter e il calice di fuoco, 2005, regia: Mike Newell (voto 6+)
Harry Potter e l'ordine della fenice, 2007, regia: David Yates (voto 6,5)
Harry Potter e il principe mezzosangue, 2009, regia: David Yates (voto 7+)

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